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Il
sonetto di Valéry, astri fiammante di simboli elegantissimi, filigrana liberty,
viene attraversato da un suono altrettanto luminoso e trasparente, ma spesso
-ecco l'invenzione- la musica, che non si sazia nel ricordo del mito, lo squassa
con interventi di drammatica espressività. Il canto è un'onda, non un percorso
spianato: in partitura, il segno grafico indica le oscillazioni, le vertigini
pericolose del ricordo e del desiderio. La libertà concessa all'eroe è rabbia,
se il viaggio ultraterreno fallisce. Voce e strumento esplodono in un grido e
"come un rullo di timpani"- quando il colore del suono è l'azzurro,
ai confini estremi della ragione: "vers l'azur délire". Poi il
brusco mutamento del ritmo e dell'intensità vengono usati in funzione
rappresentativa; dal canto al parlato lentissimo, dalle sonorità più accese ai
tremori di un pianissimo. Unghie, polpastrelli, dita, palmi, dorsi, avambracci:
sviscerata anatomia di un potere, inseguito, svelato nel suo pieno splendore.
Teatralità delle pause, loro uso per suggestionare, per sorprendere a far
tendere l'udito. Ritornare all'origine, allo stupore del suono ancora possibile.
Si azzardava, nella premessa, la necessità di riqualificare l'offerta acustica.
Orfeo dovrebbe acconsentire. "Tutto
quello che e' frenetico "Orphée"
è un'invocazione e un'assenza. Attigui, "rapido" e
"calmato" si alternano nella tastiera, l'urlo e il sussurro nel canto.
…Je
compose en esprit, sous les myrtes, Orphée |