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 Orphée di Jean Cocteau ed Eurydice di Jean Anouilh (testo purtroppo trascurato dall'antologia, ma ben ricordato da Andrea Rodighiero nel suo contributo) rappresentano due fondamentali esempi dell'evoluzione novecentesca del mito. Cocteau, in questa sua prima produzione teatrale del 1926, impasta l'antico con il presente seguendo l'intera storia di Orfeo fino allo sbranamento finale. Assolutamente contemporaneo il messaggio di questa tragedia: "le invenzioni, artifici, magie – sottolinea la Ciani nell'Introduzione – non servono a evitare il logoramento che la vita infligge ai sentimenti come alla creatività, alla poesia come all'amore". E' proprio lo stesso Orfeo, poeta inquieto, che capovolge l'antica immagine di sé, quando si libera di Euridice due volte, la prima per distrazione e disamore, ma la seconda per lucida intenzione ("Ho voltato la testa apposta").