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  Secoli dopo Virgilio, e qualche decennio prima di Rilke, già Robert Browning aveva riscritto il mito di Orfeo dal punto di vista di Euridice, concedendole facoltà di parola e piena autocoscienza. Il componimento di Browning è brevissimo, appena otto versi, variamente rimati; in aggiunta, per essere decifrato, non può prescindere dal titolo: Eurydice to Orpheus: A Picture By Leighton. Come risulta evidente, questa poesia si ispira a un quadro di Frederick Leighton, l’Eurydice to Orpheus, nel quale è raffigurato con stile intenso e drammatico l’episodio virgiliano dello sguardo fatale, ma con un’inversione di parti: qui è Euridice che, abbracciando con impeto Orfeo, sembra cercarne lo sguardo, mentre questi, ritratto con espressione turbata e a occhi chiusi, tenta di sottrarsi e allontanarla da sé. Nel dare parola all’Euridice del quadro, Browning sembra riprodurne i tratti principali, l’impeto che ne accende i gesti e lo sguardo temerario. Riportiamo di seguito l’intera poesia:

But give them me, the mouth, the eyes, the brow!
Let them once more absorb me! One look now
Will lap me round for ever, not to pass
Out of its light, though darkness lie beyond:
Hold me but safe again within the bond
Of one immortal look! All woe that was,
Forgotten, and all terror that may be
Defied, - no past is mine, no future: look at me!

Dunque Euridice si rivolge ad Orfeo, parlando con la propria voce; marcando col tono esclamativo la forza insopprimibile, e totalmente umana, del suo desiderio. Lungi dal rassegnarsi alla morte, questa donna appassionata e vitale elude e rinnega il suo destino di ombra; ancora legata agli affetti terreni, aspira sopra ogni cosa allo sguardo di Orfeo.
Fatta eccezione per l’immagine della tenebra, del resto assai sfuggente, in questi versi di Browning manca ogni rimando al paesaggio ctonio, e quindi al suo attraversamento da parte di Orfeo. Questa mancanza di indizi che riguardano il mondo sotterraneo ci spinge a supporre che Browning, diversamente da Rilke, non voglia attribuire all’arbitrio della morte un luogo prescelto, uno spazio pertinente e appropriato. Espunto e isolato dal suo contesto narrativo, ossia la catabasi, l’incontro tra i due amanti risulta ora spogliato della sua dimensione di mito. In qualità di episodio a sé stante, qui esprime, al contrario, tutta la caducità e la fuggevolezza di un evento terreno:

Allo stesso modo di Browning, anche la poetessa statunitense Hilda Doolittle, nel suo poemetto Eurydice,6 affida la narrazione del mito ad una prima persona, ampliando, tra l’altro, e in maniera consistente, lo spazio del parlato. E adottando per questo scopo una tecnica specifica, il monologo, che Browning aveva già sperimentato per il suo personaggio, ma con minor convinzione. Attraverso «la tecnica della voce monologante che viene esplorando la coscienza femminile»,7 la Doolittle conferisce alla sua eroina un alto grado di autocoscienza e una raffinata capacità introspettiva. Questa voce, tuttavia, diversamente dall’Euridice di Browning, abbandona il registro patetico per farsi aspra e carica di rancore, producendosi in una vibrante denuncia contro l’egoismo di Orfeo. Secondo Segal, questa Euridice che dà sfogo alla sua ira «viene appassionatamente ricostituendo la nuova integrità della sua coscienza di persona. Ma si tratta di un’integrità conquistata a prezzo di durezza e di dolore, ben diversamente dalla pace nella morte dell’Euridice rilkiana. Questa è tutta intessuta di conflittualità e di sfida».8 Al riguardo, vediamo alcuni versi significativi:

So for your arrogance
and your ruthlessness
I am swept back where dead lichens drip
dead cinders upon moss of ash;
so for your arrogance
I am broken at last,
I who had lived unconscious,
who was almost forgot;
if you had let me wait
I had grown from listlessness
into peace,
if you had let me rest with the dead,
I had forgot you
and the past. [vv. 6-19]

So for your arrogance
and your ruthlessness
I have lost the earth,
and the flowers of the earth,
and the live souls above the earth,
and you who passed across the light,
and reached ruthless;
you who have your own light,
who are to yourself a presence,
who needs no presence;
yet for all your arrogance
and your glance,
I tell you this:
such a loss is no loss,
such terror, such coils and strands and pitfalls
of blackness
such terror
is no loss…
[vv. 83-100]

L’Euridice di questi versi è, senza dubbio, una donna combattiva, decisa a rivendicare la propria indipendenza contro l’arroganza degli atteggiamenti maschili. In questo senso, il tono accusatorio del personaggio della Doolittle sembra continuare l’intuizione di Virgilio nei confronti della sua eroina, quella consapevolezza tutta femminile che precede la sua seconda morte. L’accento sull’arroganza maschile e sugli eccessi incontenibili delle passioni umane, in verità, non è che una dilatazione delle parole dell’Euridice virgiliana «quis tantus furor», nelle quali risuona la stessa aspra denuncia contro l’egoismo di Orfeo