|
|
di Annamaria
Abbamonte
La messinscena dellOtello di William Shakespeare,
per la regia di Antonio Calenda e con Michele Placido nel ruolo del
Moro, rientra in un lungo ed importante progetto produttivo portato
avanti da Il Rossetti, Teatro Stabile del Friuli-Venezia Giulia, nel
corso di più stagioni teatrali. Conclusione di un laboratorio di ricerca
e di sperimentazione che nel 1996 ha visto in scena Franco Branciaroli
nei panni di Riccardo III, e l Amleto interpretato da Kim Rossi Stuart
nel 1998. Un cantiere shakespeareiano, che è stato diretto con
maestria dal suo regista e che si è avvalso di artisti di profonda
esperienza e presenza scenica. Al di là del dramma del
personaggio su cui il plot si concentra, la passione damore, la gelosia
ossessiva e la follia che essa può generare, in un confronto parallelo e
continuo con lattualità, lallestimento vuole concentrarsi su quello
che è la causa e la diretta conseguenza dellinganno di Iago di cui
Otello rimane vittima: la diversità degli uomini e la solitudine che ne
deriva, inevitabilmente. Lo spettacolo è ambientato su uno spazio quasi
vuoto, pochi riferimenti per rammentare allo spettatore che il dramma si
sta svolgendo tra gli spazi chiusi di una reggia, a Venezia, e le
distese marine che circondano lisola di Cipro, non uno spazio
naturalisticamente reale, ma creato e condizionati dalluso delle luci,
in un tempo però ben definito dai ricchissimi costumi seicenteschi di
Elena Mannini. Questi elementi, insieme alla recitazione intensa e
vibrante degli attori, enfatizza la diversità dei tormentati animi e
delle intricate menti dei personaggi, che proietta Otello e Iago ai due
lati opposti di un confine che divide inesorabilmente due razze, due
civiltà: luna raffinata, e fortemente ipocrita e malvagia, e laltra
diversa e indifesa, proprio per la sua semplicità primitiva. La regia di
Calenda trasporta la solitudine dei protagonisti nella dimensione
metafisica del palcoscenico, al resto contribuiscono le pagine
shakespeariane, e il testo con le sue parole immortali che riempiono lo
spazio come fisicamente presenti. Michele Placido dà una grande
dimostrazione della sua professionalità scenica, nata allAccademia
darte drammatica di Roma e formatasi tra gli anni 68 e 69,
sperimentando testi sacri del teatro classico e moderno, quali La
Figlia di Iorio di Gabriele D'Annunzio, con regia di Roberto De
Simone, nel 1982 e al Girotondo di Arthur Schnitzler nel 1988,
nel quale interpretava la parte dei dieci personaggi maschili, e
alternatasi sin dallinizio con il cinema, nella regia e nella
recitazione. In palcoscenico abbiamo visto muoversi un Otello forte e
possessivo, ma debole e sensibile alo stesso tempo, vittima
shakespearianamente dellinvincibile arma dellamore, la cui presenza
scenica è stata certamente supportata da quella del suo interprete.
|