L'erbarioWolf Periodico di comunicazione, filosofia, politica
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Nuova Rivista Cimmeria

 Filosofia Italiana

 

di Ester Basile

 

In versi di commiato

Inesplicabile o esemplare

generosa e trita ti concedi qualche piccolo

ritorno alle abitudini.

La lingua scuote nella sua bocca, uno sbatter d’ale

ch’è linguaggio.

Sentì bisogno allora d’innalzare, piramidi alla

verità (o il suo mettersi in moto)

In parole di commiato

Parlava cautamente della sua poesia e amava dire che essa costituiva il suo tramite personale per salvare dallo spreco il flusso interiore del pensiero, per sottrarlo all'esaurimento. Era la sua via che alimentava la sua spiritualità, per provocarla: spiegava in questo modo la valenza etica del suo scrivere versi. E citava Virginia Woolf perché lei per prima aveva parlato dello stream of thought, perché "coltivando la sua femminilità aveva guadagnato forza alla sua mente e raggiunto una certa serenità". Vestiva spesso di nero e le sue parole nervosamente sussurrate risentivano di quella lotta interiore e della consapevolezza del suo estenuante corpo a corpo con la vita. Una voce un po’ metallica intonata all'enfasi dei ricordi, la alternanza di alti e bassi con cui scandiva la metrica dei suoi versi nelle pubbliche letture, come quella di una decina d'anni or sono presso l'Istituto Suor Orsola Benincasa. A Parigi dove era nata nel ‘30, aveva imparato il francese insieme all'italiano del padre e all'inglese della madre e il suo trilinguismo se l'è portato dietro tutta la vita: "Sospetto che se si pensa in tre lingue vuol dire che non ci si è ancora risolti a decidere dove si vuole vivere."

Garzanti fece uscire la sua antologia di versi scritti in inglese e ordinati cronologicamente con il titolo “Sleep”, una sorta di iter verso la maturazione di temi adolescenziali e tra le righe l'eco delle letture preferite traslate in una presa in giro del teatro shakesperiano. L'ironia di Amelia Rosselli si era calata, qui, in una manifesta intenzionalità parodistica, poiché è evidente come nella voce parlante risuoni quella del fool che si burla del re e delle sue corti, mentre negli pseudosonetti alla John Donne si ritrova l'imitazione della poetica metafisica. Ma dietro le immagini evocate dai versi, il ricordo intramontabile restava quello del palcoscenico dove Laurence Olivier aveva interpretato Amleto, Otello, Re Lear.

Sleep vuol dire sonno: " Morire, dormire... nient'altro; e con un sonno dire che noi poniamo fine alle doglie del cuore, e alle mille offese naturali, che son retaggio della carne; è un epilogo da desiderarsi devotamente, morire e dormire!" viene da qui, un passo del famoso soliloquio di Amleto, questo titolo scelto da Amelia Rosselli. Come sempre, l'eco è satura di ironia: perché mentre alludono all'abbandono del sonno, i versi di Sleep si accendono in una frenetica attività dell'immaginazione. "E poi di questa parola mi piace il suono, diceva Amelia Rosselli, la doppia che porta con sé una alta densità femminile; senza contare che in quel periodo avevo una grande nostalgia del sonno, non mi era ancora stato diagnosticato il morbo di Parkinson così non mi curavo e soffrivo di una insonnia feroce."

Aveva studiato il violino e a Firenze il pianoforte. Continuò a studiare poi a Roma. Fu la musica a farla emigrare verso Darmstadt la meta dei giovani compositori: vi insegnavano Stockhausen, Boulez, Tudor il pianista di John Cage con il quale lavorò a uno spettacolo al quale partecipava anche Marce Cunningham. Della stagione musicale della Rosselli rimane un saggio pubblicato sul Verri: è un lavoro di etno-musicologia, frutto di quattordici anni di ricerca in Italia, in Francia e a Londra. "Partendo dallo studio della Teoria dodecafonica e da quello della musica di Bartok – scriveva - ho tentato di introdurre ciò che si potrebbe chiamare un allargamento della teoria, in rapporto con la musica popolare, e in particolare con la costruzione di strumenti le cui scale differiscono da quella del pianoforte poiché sono basate sulla realtà fisica e le leggi acustiche, mentre è noto che questo non è il caso nella scala temperata. A questo scopo ho fatto costruire ad una fabbrica italiana, la Farfisa, un piccolo pianoforte che riproduce la serie degli armonici..."

Stessa armonia nei versi della Rosselli. Ricordiamo Variazioni belliche del ‘64, Serie Ospedaliera del ‘69 o Documento 1966/73 o gli scritti giovanili che vanno dal ‘52 al ‘63 apparsi negli Appunti sparsi e poi Impromptu 81. Certo è che tutta la scrittura di Amelia Rosselli è un impasto di sovrapposizioni linguistiche, consapevolezze musicali, echi di autori amati.

Con Diario Ottuso aveva tentato un esperimento di prosa selvaggia. "Partì - recita una frase di Diario Ottuso - partì senza dire a nessuno che partiva; partiva ed era obbediente ad altri nel partire”. Una scrittura inquietante, reale, dura con la violenza di una parola alienata ma non diversa fino a coniugare l'emozione con il furore della mente. C'è uno spazio infinitamente più vasto di questa stretta contrada che davvero "trema d'ingiuria" ed é TEMPO doloroso, rallentato; sistema complesso all'interno del quale le parole sono suoni e insieme pensieri.