|
di Clementina Gily
MICROMEGA
1/2002 L'ULTIMO,
già famoso, volume di Micromega celebra il 17 febbraio come decennale
di Mani Pulite. La rivista ha commentato sempre con approvazione il
fenomeno storico che abbiamo tutti così appassionatamente vissuto:
dunque come era prevedibile la storia che si fa di quegli anni è in
positivo. Ma, come anche è d'uso della rivista, non si manca di
invitare anche Ferrara: anche se è l'unica voce discorde. Ma è certo
anche la più rumorosa: si deve dire che in questa temperie politica
sarebbe stato fuori di posto dare ulteriore spazio a Previti. La
storia di Mani Pulite è ricostruita passo passo nell'ultimo capitolo,
ad opera di Flores D'Arcais; i commenti di allora, spesso positivi, di
tanti che oggi cantano il requiem e la condanna, dal penultimo
capitolo di Marco Travaglio. Di Pietro in uno dei primi, racconta come
andavano le indagini, come mai hanno avuto tanto successo, quali sono
state le innovazioni che hanno consentito di promuovere unindagine
ricca di risultati. Le interviste di personaggi della letteratura e
del giornalismo ai protagonisti dell'esperienza, da Borrelli a Di
Pietro, a Del Ponte, a Colombo, a Davigo, a Rossi, fanno emergere un
quadro che restituisce a Mani Pulite quel volto che gli Italiani hanno
sostenuto ed amato, dove le scorrettezze non sono mai state tali da
inquinare il quadro dell'operazione. Perché le indagini sono andate
in tutti i sensi, anche se solo alcune sono state coronate da
successo. Di Pietro è stato ampiamente indagato, così gli attuali DS.
Solo che queste indagini nonostante l'accanimento non hanno prodotto
risultati. Ferrara dice chiaramente di sapere, come ex funzionario del
PCI, dell'esistenza di finanziamenti esteri e della ragione per cui le
indagini non hanno sortito successo. Non si comprende allora perché
non faccia lui stesso denunce esplicite, ora che si trova
all'opposizione degli antichi compagni, e non consenta il riequilibrio
della situazione. Forse il motivo per cui non lo fa è il profondo
cinismo con cui pensa allo stato di diritto, che documentiamo da
alcune affermazioni. "Se dovessi presentarmi in aula e difendermi
da tutte le querele per diffamazione, dovrei smettere di fare il mio
mestiere, cosa che forse le farebbe piacere ma che non sono disposto a
fare", risponde Giuliano Ferrara a Pier Camillo Davigo. Da ex
ministro della Repubblica mostra così il suo apprezzamento concreto
per le istituzioni dello Stato, comprovando nel fatto le sue
convinzioni, che lo pongono legibus solutus alla pari dei
politici - da cui pure nel corso dell'intervista dice di essersi
separato da tempo. La conclusione è che la nazione darebbe status di
persone che non devono considerare il codice civile e penale a due
ordini di privilegiati per cui non occorrono codici, politici e
giornalisti. Non si tratta di illazioni. Ferrara argomenta chiaramente
il percorso, per quanto riguarda il politico, che, giusto il detto, si
estende evidentemente ai cooptabili alla bisogna. Descriviamo in due
parole la discussione, che aveva toccato casi di corruzione in gruppo
presso la guardia di finanza per esemplificare il caso di corruzione
diffusa: la motivazione di personale delitto provato e confesso era
che l'ambiente di corrotti esigeva la partecipazione al delitto per
non uscire dalla corporazione. Un caso purtroppo facilmente
comprensibile in Italia: Davigo commentava che l'ambiente di vita non
dovrebbe essere tale che ci si debba sentire coraggiosi per non
diventare criminali. E anche qui, purtroppo, la comprensione è
facile. Sentiamo ora la teoria di Ferrara, alla pagina 140 di un
volume di ben 280 pagine. Riguarda la natura della politica, che non
è la morale: qui, "il punto fondamentale non è che tu devi
essere capace di ricattare, è che tu devi essere ricattabile.
Micromega: Vorrai dire che non devi essere ricattabile
Ferrara: No.
Devi essere ricattabile, per fare politica devi stare dentro un
sistema che ti accetta perché - proprio come diceva il ragazzo
dell'ufficio Iva di Pavia citato dal dottor Davigo - sei disponibile a
fare fronte, a essere compartecipe di un meccanismo comunitario e
associativo attraverso cui si selezionano le classi dirigenti. Ora, la
politica italiana, come tutta la politica europea di ieri, di oggi e
di domani, non può perdere del tutto questa caratteristica, e il
giudice che decide del livello e la soglia di tollerabilità di questi
comportamenti è il corpo elettorale". Scandaloso. Prima
obiezione. Che la morale non sia la politica, certo, da Machiavelli a
Marx a Croce è verità che migliora la comprensione della storia e
della politica. Che perciò la politica non abbia leggi atte a
distinguere l'utile personale dall'utile collettivo, questa è
un'opinione di Ferrara. Che dovrebbe sapere che la legge in un paese
democratico è uguale per tutti. Allora, delle due l'una: o cambia la
politica, se è vero quel che lui dice, oppure devono cambiare tutti i
cittadini: non devono più presentarsi in giudizio, devono aderire
quando qualcuno gli offre di partecipare ad una società
delinquenziale. Certo, tutti capiamo di che si tratta, ma questo non
vuol dire che tutti siamo corrotti. Molti, ed è la maggior parte,
rifiuta. La scellerataggine è e resta fatto di pochi. Perciò la
società va avanti, nonostante questa classe politica e giornalistica.
Seconda obiezione. I cittadini che votano danno la misura: se votano
un delinquente, il delitto è lecito. Solo quello commesso dal
delinquente eletto o tutti i delitti? Nella misura in cui lo votano.
Dunque, quel tipo di delitti, è lecito. Il punto è la competenza
dell'elettore. Hanno competenza ad emettere questo plebiscito
assolutorio? Quanti elettori sanno di votare un delinquente? Chi
informa i cittadini dell'eventuale delinquenza di un politico? E'
competente chi è informato dei fatti. Ma di quali fatti oggi è a
conoscenza l'elettore riguardo a questa classe politica che, se fosse
vero quel che ne dice il maligno Ferrara, giudica necessario un patto
di sangue per la cooptazione nel numero, tanto che sia ricattabile?
Come tra i giovani delinquenti comuni, l'effrazione con scasso segna
l'ingresso tra i ricattabili, l'entrata nel gruppo degli Amici. Se i
politici non devono essere attaccati da giudici perché soluti
legibus, manca chi renda competente l'elettore per una simile
scelta. L'elettore vota sulla base di un programma, non sulla base di
una connivenza ad una colpevolezza, non dimostrabile né dai giudici né
da altri organi preposti. Il corpo elettorale non è competente in
merito. La politica non è la morale, il programma non è la fedina
penale. E' una trasposizione illecita passare dalla fiducia ad un
leader alla sua assoluzione dinanzi alla legge. Sembrano parole di
comune civilizzazione, che dovrebbero essere del tutto inutili nella
patria di Cattaneo e Beccaria. Povero Beccaria: tanto si dice di lui
nel mondo, mentre quaggiù nemmeno si ricorda che la sua negazione
dell'efferatezza delle pene andava congiunta alla necessità della
certezza della pena, come unica salvezza di una società che voleva
abolire la pena di morte e dunque il deterrente più forte per il
criminale. Rimandiamo alla lettura gli altri interventi, da cui non
abbiamo rilevato novità rispetto al già noto. Nuovo invece quel che
dice Guido Rossi, ex presidente della CONSOB, che ricorda la positività
dell'intervento di Mani Pulite in un settore che di solito resta in
ombra nelle polemiche, il capitalismo italiano. Che è affetto dal suo
essere e tendere ad essere un capitalismo senza mercato. Crescere
all'ombra dell'industria di stato o comunque di protezioni
tendenzialmente monopolistiche è un'abitudine lunga a morire. La
tardività della legge sull'Antitrust (90) qui da noi ha fatto sì che
le regole siano state troppo a lungo incapaci di impedire il
capitalismo assistito, che tende al cartello tra gruppi economici per
evitare la concorrenza: Tangentopoli ne era l'espressione. Ed ecco la
supplenza esercitata da Mani Pulite, che sgombrando il campo da una
buona parte di quella rete di connivenze rendeva impellente una
legislazione sulla privatizzazione che restituiva al capitalismo la
libera concorrenza, cioè un aspetto centrale. La vivacità del
liberalismo sta nel fatto che vi siano strade aperte per
l'imprenditoria, suscitando nuove ricchezze per le nazioni. Che non si
appesantiscano queste strade con infiniti balzelli. Altrimenti non è
sociale e non è liberale: è società aristocratica o mafiosa.
Aggravata dall'enorme numero degli aventi diritto. Dalle interviste ai
giudici emerge chiaramente che non si può certo considerare la
corruzione un fatto da accogliere machiavellicamente, fatta per il
bene del partito o dello stato. Le tangenti accertate avevano
ripartizione multipla, e nessuno passava di mano in mano il maltolto
senza prendere qualcosa a scopo personale. E' logico che più si
diffonde un sistema così, più diventa asfittica l'economia nazionale
che non si pieghi a questo sistema di ricatti vicendevoli. Perciò
"a Mani Pulite dobbiamo in realtà la salvezza di un sistema che
poteva esplodere. Voglio dire, se l'Argentina avesse avuto Mani
Pulite, non sarebbe probabilmente nella situazione in cui si trova
oggi". A parte che l'immagine dell'Italia ha sicuramente
guadagnato all'estero grazie alla decisione, che pareva presa, di
voler una volta per tutte fare a meno di quel sistema di latrocinio
organizzato che per Ferrara è la normalità di un sistema politico.
|