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Nuova Rivista Cimmeria

 Filosofia Italiana

di Antonio Gentile 

 

Il nuovo corso della storia europea è sempre più contrassegnato dalla critica mossa agli stati nazionali per la palese incapacità ad affrontare i bisogni delle popolazioni da essi rappresentate.

I processi legati alla globalizzazione, alla creazione della nuova unità europea, agli imponenti flussi immigratori e, più in generale, alla transnazionalizzazione dei rapporti materiali ed immateriali, creano sempre più confusione e smarrimento nelle popolazioni locali che, ormai, riconoscono sempre meno il ruolo dello Stato come unità politica sovrana ed ordinatore unico del territorio.

Il principio – sinora riconosciuto – di massimo centralizzatore, di unico amministratore della sovranità territoriale (concetto affermatosi con la frantumazione dell'unità pluralistica della Respublica Christiana) viene meno e con esso il mito organicistico ed olistico dello stato – nazione da tutelare e custodire in ogni modo.

La centralizzazione dei governi e delle istituzioni (a livello nazionale ma anche europeo) viene percepita sempre più come l'ostacolo maggiore allo sviluppo economico e civile delle comunità, le quali cercano, faticosamente, di recuperare i propri valori di identità e di esistenza.

La stessa travolgente onda di destra che sta scuotendo l'Europa con la sua "Nouvelle Droite" e le teorie regionaliste, trae vigore anche dal forte desiderio dei popoli di ricercare sempre più ampie forme di autogoverno legate alla maggiore funzionalità delle comunità di minori dimensioni. Solo queste ultime possono soddisfare i bisogni peculiari delle popolazioni valorizzando, nel contempo, le risorse comuni e i legami culturali più tipicamente identitari.

L'Inghilterra, per esempio, considerata da tutti modello di stato unitario, caratterizzata dalla sovranità parlamentare e da una consistente omogeneità della cultura politica ed economica, proprio recentemente, con l'istituzione dell'Assemblea del Galles e del Parlamento della Scozia ha assunto la struttura di un 'unione legislativa.

La stessa Lega Nord raccoglie vasti consensi con il suo federalismo etnonazionale, che si pone sul terreno dei neoregionalisti europei i quali enfatizzano l'idea di un popolo come "völkische Gemeinschaft", e si propone come strumento di garanzia del benessere economico dei territori padani e come argine al dilagare dell' "inquinamento etnico".

Lo Stato italiano, in particolare, nato in funzione di ampliamento territoriale del Piemonte e realizzato sin dall'origine sul modello fortemente centralistico della monarchia sabauda, si conferma come il più reticente a concedere forme sostanziali d'autonomia, limitandosi ad un decentramento più o meno significativo ed orientandosi (almeno nelle dichiarazioni ufficiali) verso quel tipo di trasferimento di poteri e competenze, dal centro verso livelli regionali, definito "devolution".

Il Sud Italia, poi, che ha storicamente pagato un prezzo pesantissimo per tale scelta scellerata, subendo un'unità che dava per scontata la tara genetica del sottosviluppo e trasformandosi da nazione autonoma in uno status coloniale, vede, oggi, dopo 140 anni di sola unità politico –amministrativa (non più condizionata dall'ideologia risorgimentale e dai bisogni di ricostruzione postbellica), la possibilità di accedere a forme d'autonomia federale che gli permettano di approdare a soluzioni decisamente innovative.

La stessa "questione meridionale", marchio di sottosviluppo e di perverso assistenzialismo, è frutto di una gestione volutamente paternalistica e protezionistica dello Stato italiano che ha mirato a soffocare ogni energia ed autonomia determinando, in tal modo, l'autodistruzione delle risorse locali in termini umani e materiali.

Dunque, la grande opportunità per il Mezzogiorno di arrestare la sua inesorabile marginalizzazione europea – favorita tra l'altro da forze politiche dichiaratamente antimeridionali presenti nel governo attuale – passa attraverso la " rivoluzione neofederalista", che ponga fine alla subordinazione nordica del Sud Italia rispetto al modello centralistico – assistenziale statale e favorendo, nel contempo, la massima autonomia gestionale del territorio.

Tale opportunità può verificarsi solo mediante la creazione di uno strumento profondamente innovativo nella storia meridionale e, cioè, attraverso la creazione di una "Comunità politica" del Mezzogiorno adeguata agli attuali scenari geopolitici. Una "Comunità politica" quest'ultima, legata da vincoli solidali ed ispirata da interessi condivisibili con il resto del Paese, libera, inoltre, da quel dogmatismo omologante ed ideologico del "pensiero unico" che ha condizionato i destini di milioni di persone.

Il Sud, pertanto, deve ritornare ad essere soggetto autonomo di pensiero ed azione sottraendosi, tra l'altro, a quelle forme di socialdarwinismo presente nel neoliberismo che, oggi, più che mai lo condanna al ruolo di luogo di fallimento ed emarginazione.