|
Francesco
De Martino, la mia militanza
nel Partito d’Azione, 1943-1947, a cura e introduzione di Antonio
Alosco, Lacaita, Bari 2003 Approfondire
la ricerca sul Partito d‘azione sembrò, a chi scrive, urgente negli
anni ’90, di fronte al modificarsi della vita politica italiana, che
dava inizio alla Seconda Repubblica, di cui il primo attributo da
tutti riconosciuto è quello di essere una transizione incompiuta.
Cambiavano le basi dei discorsi politici, dopo la caduta del muro
di Berlino, nell’orizzonte europeo e mondiale; la fine dei blocchi
contrapposti protagonisti del secondo dopoguerra in Italia si complicava dell’epocale rivolgimento
della classe politica: il fenomeno di Tangentopoli, in un’altra congerie
storica, avrebbe avuto probabilmente altra eco. Insieme
alla classe politica, mutavano le idee, rimaste più o meno le stesse
da un secolo nelle linee di fondo, se si fa eccezione per i totalitarismi
– anch’essi non giovani: ha ragione Veneziani, le idee politiche sono
latitanti da parecchio, tutte le visioni politiche nostre hanno in
genere almeno un secolo di vita. Le vecchie questioni su la-le libertà,
sull’antitesi libertà-giustizia, su democrazia e socialismo e comunismo,
discusse per tutto il secolo, erano ancora attuali sino al 1990 –
poi sono diventate incredibilmente demodé, anche senza mai essere
state capite a fondo né in qualche modo avviate ad una soluzione paradigmatica.
Ciò ha reso complesso la dialettica del momento attuale, dove all’affermazione
generale della liberal democrazia come unica concezione valida per
tutti gli schieramenti, corrisponde in realtà una nebulosa in cui
si stagliano posizioni personali più che approfondimenti politici.
La politica dell’immagine imposta dai media, facilita la soluzione
che annulla la riflessione, intorbida i confronti e le prospettive,
sostituisce all’analisi una serie di espressioni inconsulte. Tali
sono sia le affermazioni che provengono dalle informazioni televisive
– che col loro semplice accavallarsi si distruggono l’un l’altra nel
tessuto politico sociale; ma inconsulte sono anche le informazioni
dei giornali, più approfondite della politica spettacolo ma per lo
più incapaci di creare un punto di vista non fazioso; così anche la
politica in rete, di dove partono infiniti sproloqui emessi dalle
mailing list, che affaticano le caselle di posta elettronica con veri
e propri sfoghi senza misura, impossibili a leggersi senza abbandonare
ogni altro tipo di occupazione, oppure pagine web superinformatissime,
da cui non si capisce nulla. Negli
anni ’90 eravamo all’inizio di tutto ciò, ma già alcune cose si capivano:
come questa della caduta dell’opposizione libertà giustizia, democrazia
e socialismo, socialismo e comunismo. Il Partito d’Azione fu una breve
stella della nostra politica, ma pensava appunto su questo, con moltissimi
degli intellettuali poi protagonisti della vita politica. Ragionava
sulla inconsistenza di porre un aut aut fra categorie della politica
che invece dovevano dialogare. Sin da allora sarebbe stato opportuno
rendere centrale nella riflessione uno studio accurato di queste fonti,
di autori suggestivi, grazie ai quali si poteva cercare di stringere
le nuove idee in costrutti ordinati. Ma non si fece: le conferenze
sul Partito d’Azione allora organizzate non suscitarono l’attenzione
dei giornalisti né dei politici (poi raccolte nel ns. volume, con
prefazione di Antonio Maccanico, L’azionismo come partito, Storia e ideali, Centro Dorso, Avellino
1998). Qualcosa
forse è cambiato oggi, siamo lieti di constatare il peso degli interventi
che hanno contribuito alla presentazione a Napoli del volume di un
vero specialista del tema, come Antonio Alosco; la presenza congiunta
del Governatore Bassolino e del sindaco Iervolino fa pensare che si
voglia riflettere con maggiore attenzione su questo vero e proprio
crogiuolo di idee che fu il Partito d’Azione, oggi che tanto si avverte
la necessità di ripensare a fondo i patrimoni ideali. Per
un errore strano, si è confusa la fine delle ideologie con la fine
delle idee politiche; pare sia lecito solo parlare di pragmatismo
o di management, in politica, ma è un falso pericoloso. Unito alla
corruzione dell’ambiente virtuale dovuta ad una pessima gestione dei
media, il pericolo potrebbe essere esiziale per tutto, libertà, democrazia,
socialismo, tutte forme in cui si prevede la collaborazione attiva
ed intelligente della classe diretta. Mentre si diffonde ovunque un
disinteresse apolitico vincere il quale è possibile solo da parte
di una nuova interpretazione, che sappia riprendere nel passato quei
tratti d’intelligenza atti a ricostruire un quadro. Il
Partito d’Azione è uno di questi tratti, Francesco de Martino uno
degli interpreti più sensibili. Fino a quando fu sostituito con un
colpo di mano da Craxi, egli guidò il partito con equilibrio e passione,
facendone una delle solidità della politica nazionale, densa di razionalità
e di passione insieme. Alosco ricostruisce attraverso la sua introduzione
e la scelta di passi inediti – o editi su riviste ormai sperdute negli
archivi, la figura del giovane azionista De Martino, studioso di diritto
romano e professore, ma anche appassionato sostenitore della visione
politica tutta speciale che fu appunto di questa ampia cerchia di
intellettuali che si riunì intorno al Pd’A (cfr. alle pp. 65-68, 83-87,
137-141, 164-6, 171-174 per avere una descrizione d’autore degli ideali
comuni e dei tratti della storia del partito). Allora la DC s’identificava
con De Gasperi, bibliotecario sinallora al Vaticano, il comunismo
con il Togliatti della svolta di Salerno appena arrivato dall’URSS.
La radicalizzazione politica dominava: loro, gli azionisti, espressero
subito il giudizio equilibrato che è dell’oggi, che rifiuta la contrapposizione
di valori che hanno senso solo intesi in un sol processo d’azione.
Oggi molti potrebbero far loro le espressioni di De Martino, il pensiero
degli azionisti potrebbe fungere da correlato oggettivo, da argomento
comune su cui parlare per differenziarsi, tra il presente ed il passato,
tra i diversi presenti, in un graduale approfondimento di contenuto.
Temi
centrali degli articoli e appunti sono i temi di quel periodo infuocato,
l’Assemblea Costituente, la questione istituzionale. In una conferenza
del 20-5-44, De Martino descriveva la difficoltà di tracciare una
via chiara per il Partito d’Azione, cui aveva aderito già nel ’43,
nella ostilità dei partiti tradizionali che ne temevano la concorrenza.
Era l’alternativa inattuale che non prendeva bandiere, che disegnava
di suo la propria conformazione – rifiutando in blocco i partiti che
avevano consentito la vittoria del fascismo. Poi, pur definendosi
socialista per il credere in una economia capace di produzione non
capitalistica, nemmeno poteva darsi il modello sovietico, allora liberatore
dal nazismo, fulcro di successi mitici e mitizzati. De Martino mentre
li dà per certi prorompe: “ma l’Europa, che ha conosciuto dal 1789
i principi della società liberale, non può accettare una limitazione
di libertà, nemmeno allo scopo di fondare lo stato socialista”. Il
Pd’A propone “una terza via…. Il comunismo o socialismo libertario
di Carlo Rosselli, è l’esperienza della sintesi tra comunismo e libertà”
(p. 39). Rosselli è il collante del Pd’A, segna la linea e l’esempio,
un’esperienza profonda e luminosa che poi l’Italia non raccolse: perciò
l’esperienza del Pd’A restò vitale in coloro che vi parteciparono,
ricchi non solo di una visione politica ma anche di un patrimonio
ideale. De
Martino ne trasse il suo modo di vedere contrario alla dittatura,
ma aperto ai confronti, che possono solo sviluppare tendenze democratiche.
Le affermazioni si stagliano chiare nello statuto del Pd’A, da lui
redatto, qui pubblicato nella bozza: il punto 1 afferma: ”Il
partito d’Azione è un’associazione libera di uomini liberi, i quali
si propongono di attuare gli ideali di libertà, di giustizia e di
feconda ascesa economico sociale, espressi nel suo programma. Esso
accetta tutti i metodi di lotta, che le circostanze impongano, per
distruggere il vecchio stato autoritario e
capitalista” (p. 23) Risulta
chiara l’apertura a diverse definizioni per la fondazione di un unico
partito: Alosco ricorda la convinzione demartiniana della necessità
di ridurre la molteplicità delle idee politiche a pochi partiti organizzati,
tendenzialmente due, conservatore e rivoluzionario, capaci di alternarsi
al potere generando uno stato ben controllato dal meccanismo dell’alternanza
al potere. La triplice libertà che si afferma si unisce subito alla
democrazia, al socialismo ed anche al comunismo - l’accettazione di
tutte le forme di lotta è palesemente un’accettazione della rivoluzione
anticapitalista, Popper doveva ancora scrivere le sue pagine capitali
su come proprio questo mancato discrimine dalla violenza sia la contraddizione
di fondo che mina lo storicismo rivoluzionario. Ma si tratta di una
rivoluzione morale per la giustizia e la libertà: “la
democrazia può essere più audacemente rivoluzionaria dello stesso
social comunismo marxistico…. La democrazia oggi deve affermare la
necessità di una rivoluzione totale, che in un primissimo luogo trasformi
l’uomo e nella coscienza della sua riconquistata umanità ponga la
difesa delle istituzioni democratiche. In tal senso la democrazia
può rivendicare la sua superiorità sulle dittature” (p. 63, L’Azione
del 5.8.44). Nella
relazione al Convegno di Cosenza il giovane professore insisté sulla
logica da cui scaturiva il Pd’A nato per risolvere il dilemma libertà
o socialismo trovandone la misura, ampliando la visione della ‘classe’
con il contributo dei ceti medi, per realizzare un potente blocco
storico. E’ quel che Croce aveva chiamato ircocervo, contribuendo
non poco a diminuire l’importanza del partito, cui pure aderivano
il suo fido amico e collaboratore di tanti anni di antifascismo, Adolfo
Omodeo, Rettore dell’Università di Napoli, Guido de Ruggiero, La Malfa,
Lussu, la figlia Elena ed il genero Raimondo Craveri… De Martino è
duro nei suoi confronti, tanto più che, essendo anch’egli napoletano,
poteva misurare con mano il peso di quella ostilità nel tentare di
far sopravvivere il partito. Croce misconosce il problema delle masse,
mentre è il problema dell’oggi; con Gentile, ha generato col suo ottimismo
l’avvento del fascismo ( p. 59 appunto inedito). La rinascita del
partito liberale, da Croce caldeggiata, fu uno dei tanti elementi
che alla lunga indebolirono la vita del partito, minato soprattutto
dall’interno dalla coesistenza di anime diverse che non seppero trovare
la loro amalgama – quale appunto avrebbe potuto consentire una personalità
come Croce, amato e rispettato da tutti. La durezza del giudizio si
spiega così, ed in questa misura è giusto – e anche questo può dare
oggi qualche ammaestramento. L’ideologia
non è per forza dogmatica, e in questo caso è un costrutto ideale;
ma deve essere comunque paradigmatica, messa a coerenza. Questo non
nasce per caso, occorre che vi siano prospettive chiare e generalmente
condivise, idee vere ed articolate, luoghi di discussione. Il
quadro dell’oggi non consente nemmeno di capire le idee con cui si
concorda, lo lamenta Sartori. Ma non vi è chi possa non essere d’accordo.
Non è detto che poi con le idee di un singolo partito si debba essere
d’accordo: tutto è a capirle, oggi operazione della massima difficoltà,
forse perché sono volutamente o involontariamente non chiare agli
stessi leader dei partiti. Le
idee non sono la soluzione del problema che si presenta oggi, benché
anche questo richieda un’idea. Sono le scelte di massima verso cui
ci si dirige, le categorie di persone che si ha voglia di coinvolgere
dando peso ad argomenti che le interessano, le grandi linee di politica
internazionale che si intende seguire: tutto ciò sulla base di generalissime
analisi che consentano senza troppo sottilizzare di decidere per l’assenso
o per il dissenso. Solo chi è disposto al consenso sarà poi attento
alle decisioni sull’oggi che intendiamo prendere. I problemi qui e
ora per essere determinati in un certo modo richiedono quasi sempre
la stessa soluzione, o soluzioni molto simili. Quel che cambia è la
direzione in cui si va, dove da tante piccole differenze può risultare
una grande differenza di visione generale. Tutte
queste cose si possono pensare leggendo le osservazioni del giovane
De Martino, del suo legame al Partito d’Azione. Ma non si può non
notare l’acume politico con cui il 5 agosto del 44 disegnava le vie
nazionali al socialismo come differenziate nella storia, individualizzate:
una soluzione giusta nella Russia del 20 può non essere l’ideale per
altre storie (p. 61); e tante altre sagaci osservazioni. Chiudiamo
con una che non è tanto originale, ma che in questi strani tempi di
transizione incompiuta risulta appropriata proporre al lettore, anche
se si tratta di cose che dovrebbero essere ben note: “la
separazione dei poteri, legislativo, giudiziario ed esecutivo, è un
canone fondamentale della democrazia, è insieme al sistema elettivo
quello che distingue questa dal dispotismo. Ma separazione non significa
antitesi, né diffidenza reciproca, essa significa piuttosto relazione
od equilibrio dei poteri. Se non si comprende questo concetto e non
ci si convince della sua importanza, tutto il giuoco delle istituzioni
democratiche può restarne sconvolto” (p. 55).
|