La presente occasione che vede qui convenuti insigni studiosi di
scienze umane e di scienze delleducazione per trattare del tema del
gioco nelle sue molteplici implicazioni, nella società complessa del
nostro tempo e quale modalità trasversale della vita umana in
generale, mi fornisce la possibilità di esporre in rapidissima
sintesi la rilevanza della
dimensione ludica nella prospettiva di studio della pedagogia
contemporanea.
E pressochè ovvio richiamare
qui la triplice dimensione resa celebre da Huizinga, per la quale
allhomo sapiens e allhomo faber va connesso lhomo
ludens, non come forma dellumano (Hegel) aggiuntiva, ma come struttura costitutiva e
alimentatrice della stessa produttività immaginativa e creativa
dellhomo faber e dellhomo sapiens.
Lelaborazione
teorico-pratica della pedagogia occidentale è ovviamente talmente
ricca di stimoli creativi e di valenze riconducibili alla dimensione
ludica umana da rendere impraticabile qualsiasi tentativo di
ricognizione sia pur sintetica e schematica .
Basti richiamare
Froebel per tutti, quasi come modalità emblematica di quanto la
centralità della pedagogia del gioco
abbia rappresentato anche una forma di
interpretazione generale dellantropologia, considerata nella sua
dinamica evolutiva, e centrata sul nodo germinale dellinfanzia.
Nel nostro secolo, lapprofondimento
delle tematiche connesse alla dimensione ludica vanno
dallelaborazione strutturale della scuola attiva europea e
americana (da Claperède a Dewey) ,fino alla cruciale messa a punto
più recente di Bruner e Gardner.
La dimensione ludica è sicuramente non solo la fonte del pensiero
divergente, dellideazione produttiva e creatrice, della
capacità umana di produrre ipotesi, ma anche della relativa
possibilità umana di costruire un mondo di artefatti
delluniverso della tecnica, che, ad esempio secondo Ghelen
costituisce lo specifico antropomorfico della specie umana.
Appare ad esempio centrale lintercettazione della dimensione
ludica non solo da parte della metodologia
pedagogico-didattica di impianto attivistico, ma di qualsiasi
impostazione pedagogico- didattica che voglia configurarsi come
lettura antropo-pedagogica della condizione umana.
E Claparède che allinterno di una visione antropopedagogica
funzionalista e bio-evolutiva dellinfanzia propone il gioco come
modalità del come se. Se la fillette gioca con la
bambola come se fosse una bambina, mette in gioco lelemento
formativo della personalità che non concerne soltanto lambito
ludico, ma pertiene ad una forma globale delleducabilità umana.
Il gioco è una sorgente della stessa configurazione
antropologica di base dellumanità in formazione.
Essa caratterizza ed esprime la fonte
della stessa dimensione simbolica.
Lanimal simbolicum di cui parla Cassirer è figlio della
ludicità generale della configurazione psico - fisica delluomo.
Appare evidente che la dimensione
ludica trova la propria espressione pedagogica in modo concreto
nella fase evolutiva che va dalla prima infanzia alla giovinezza, ma
non cessa di esercitare per tutta la vita un ruolo di grande
importanza.
E stato sempre chiaro ai grandi interpreti delleducazione umana
che bisogna fortemente preoccuparsi non solo quando un bambino non
parla, ma anche quando un bambino non gioca.
Dalla Montessori alle sorelle Agazzi, da Claparède a Chateau, da
Bruner a Gardner, la linfa vitale della ludicità appare non solo
come il discrimine tra produttività simbolica e capacità generale di
traslazione metaforica di significati, ma anche come forte
indicatore della linea di demarcazione tra sana evoluzione psichica
e cosiddette disgrazie evolutive, in una parola tra salute e
malattia psichica.
Lungo questo versante di indagine è probabile che bisogna tener
conto della onnipervadenza organica e totalizzante dellattività
ludica nella pienezza della fase evolutiva dellumanità. Delle tre
grandi dimensioni formative dellumanità in evoluzione moderna (il
gioco - il lavoro - lo studio) è probabile che, nella prima e nella
seconda infanzia e per tutta lambigua fase adolescenziale, il gioco
finisce per essere la pregnanza generale delle altre due attività
costitutive. Talchè è probabile dire che i bambini non giocano e
lavorano, ma giocano lavorano , ludicano, in una
bipolarità che può essere sicuramente utile alle attività di
studio, allorché essa riesce ad intercettare il regno profondo del
come se, rappresentato dalla qualità del gioco infantile.
Appare del tutto evidente che la negazione di questa tonalità
diffusiva di fondo della psichicità specifica dell infanzia non fa
guadagnare nulla alle attività cosiddette serie , ma estremizzata
spesso in forma burocratico-curriculare , produce soltanto
lessiccazione delle fonti motivazionali e separa in modo
artificiale e doloroso la qualità psichica dellapprendimento, la
sua intelligenza emotivamente profonda , dagli aspetti
condizionatori di esso e dalla meccanica acquisizione di riflessi
necessitanti.
Appare evidente, altresì, che la recente sottovalutazione degli
aspetti ludici non è tanto da rintracciare in una fin troppo
insistita separazione tra diverse forme di attività delle quali
alcune ritenute aperte alla ricreazione ed allo svago, oppure
considerate non formali e prevalentemente, oggi come oggi, tendenti
all ipertestualità.
La questione è assolutamente diversa: il grande scienziato è grande
perché studia e produce le sue ipotesi come il bambino produce le
sue forme ludiche; il grande poeta o gioca con le parole, anche
quando è tragicamente serio come Leopardi, o dalle parole è giocato
e non è più grande poeta.
Non si tratta di ridurre tutto a gioco linguistico, come pure
per tanti aspetti vorrebbe Wittengstein; si tratta invece di
conservare non solo la traccia mnestica , ma la fonte viva della
ludicità quale motore profondo della capacità umana di produrre
simboli , metafore, teorie e tutto quanto è legato ad un polo che
solo i superficiali ritengono slegato dallessere .
La pedagogia e la didattica che accentuano il momento ludico sanno,
altresì, assai bene che leducazione è anche gioco nella misura in
cui non è ridotta alla dimensione adultistica del gioco.
Questultima, essendo una forma di fuoriuscita dalla radicale
pregnanza del gioco infantile, non è la dimensione intercettabile da
una formazione adeguata alle polivalenti potenzialità umane .
Insomma, vi è una prossimità distanza tra dimensione
infantile e dimensione adultistica della ludicità. Bisogna sempre
evitare di scambiarle.
Ed è evidente che molta pedagogia didattica affidata ad un eccesso
di razionalizzazione scientifico-scientista , scambia luna
con laltra.
Si impone, insomma, un riconoscimento
pieno proprio della qualità specifica della ludicità infantile.
Lavvenire delleducazione vuole che essa sia filtrata e non
negata.
Ordinario di Pedagogia Generale,
Preside della Facoltà di Scienze della Formazione
dellUniversità di Salerno