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Nuova Rivista Cimmeria

 Filosofia Italiana

di Clementina Gily

Alla riunione annuale dei soci di Società Libera, Giancarlo Bosetti ha presentato il libro di Giles Keppel, "Jihad. Ascesa e declino" (Ed. Carocci - pp. 436 £ 43.000), un volume scritto prima dell’11 settembre 2001 che descrive le dinamiche di cui tutti, dopo, ci siamo interessati. Le descrizioni di Keppel si rafforzano nella convinzione che questi fenomeni vanno interpretati con la storia e la ragione, sulla base delle logiche politiche che vi si sono articolate, senza fare confusioni tra le divergenze storiche, le battaglie di emancipazione, le politiche, le guerre di religione.

Invece, basta il nome Jihad, cioè il parlar di guerra santa, per far trapelare sui musulmani lontani bagliori, che recano arcaiche paure di arabi e turchi, da avvistare con torri di guardia: il multiculturalismo è un processo troppo delicato, che ovunque ha avuto anche di recente scossoni limitanti, perché si possa anche rimettere in gioco una pesante, mitica, eredità di antichi odi tribali.

La guerra santa in effetti è nata da poco. Non è figlia di antiche storie, anche se vi si riallaccia, ovviamente: è il chiaro desiderio di risultare convincente, di trovare l’aggancio e la giustificazione del proprio dire. Collocarla nel posto giusto, di teoria novecentesca, già vale a collocarla nel luogo teorico in cui può essere adeguatamente discussa e messa in crisi (il combatterla con altri mezzi che la teoria esula dal discorso politico).

Si deve far risalire agli anni Settanta il primo impulso del movimento oggi protagonista della storia del vicino oriente, quando il declino di quella generazione nazionalista che si limitava soltanto a gestire il patrimonio petrolifero e l’antica società rurale dava spazio alla rivoluzione coranica. Si addensava così un blocco formato dalla gioventù rurale, dalla borghesia devota, dagli intellettuali islamici: saldato insieme da una forte ideologia centrata in una lettura fondamentalista della religione, esso riusciva alla presa del potere grazie alla sua potente azione critica nei confronti delle élite di governo, come accadde in Iran. Il successo giovò al diffondersi del movimento, che già negli anni Ottanta si sviluppò in Indonesia, in Marocco, in Francia: solo ora la riflessione ideologica sbocca nell’affermazione della Jihad, tema poi sempre più centrale specie nella lotta contro i russi in Afghanistan, che conduce, alla fine degli anni ’80, alla vittoria. E’ il 1989, la guerra vinta sembra un’affermazione della libertà dei popoli, una guerra di liberazione le cui conclusioni profondamente illiberali sono obnubilate dalla distrazione dell’Occidente (basta anche solo la politica verso le donne per dichiarare lo stato talebano come stato schiavista e dunque illegittimo). L’Occidente è distratto per via della caduta del muro di Berlino, che travolge l’attenzione generale, ma anche per un’altra operazione in corso nello stesso quadro musulmano. Cioè, dice Keppel, la condanna di Komeini contro Ruschdie – fatto praticamente contemporaneo all’altro: dunque, voluto apposta per distrarre l’attenzione da Kabul/vittoriosa dei Russi, a favore dell’Iran/in fase di stanca. Komeini, come Bin Laden, è una volpe della comunicazione, e non si lascia sfuggire la possibilità di conquistare la scena a danno dei fratelli musulmani dell'Afghanistan.

Come si vede, uno scenario postmoderno, altroché medievale. Con astuti comunicatori attenti a non lasciarsi strappare il palcoscenico della storia, convinti che vincere la politica dei media è lo stesso che vincere la guerra. Il desiderio di chiarezza teorica che oggi tutti avvertiamo, dedicandoci ad intense letture su queste problematiche sinora guardate con qualche distrazione, trarrà sicuro giovamento dalle pagine di Keppel, in cui non si rispolverano miti. Piuttosto si guarda con occhio contemporaneo a politici del duemila, che giocano con gellabe e presepi antichi per conseguire effetti virtuali, lasciando rimbombare echi di guerre sante tra i monti.

Come le montagne di cinta del set di Truman. Uno sfondo dipinto per una vita quasi reale. Nulla di atavico e destinale: solo politica, da discutere e combattere.