Coca
Cola, la star dalle mille bollicine
di Daniela Pesacane
I
sette nani che si moltiplicano sul set televisivo Coca Cola anno 2004
sono un piccolo omaggio a mamme e bambini. La sindrome di Biancaneve
e i sette nani arriva al gasato mondo Coca Cola. Il piccolo mondo possibile
della pubblicità realizza una fiaba.Secondo Vladimir Propp, non c’è
fiaba senza sequenza.La sequenza è un ballo, una danza magica, eseguita
da nani coloratissimi. Il jingle non si sente, come se mancasse l’audio: la pubblicità esibisce musica
e colori, proprio come nella magia della fiaba; in cui esistono il bosco
degli incantesimi, i rituali magici, la casetta e la vegetazione stregata.La
fiaba è di otto fiabe: Cappuccetto Rosso e Cenerentola e Biancaneve.
I nani nascondono tutto, anche la mitica Coca Cola, nel tempo fermo
dove lo spazio è magia di colori.Il finale non esiste, non si dissolve,
è un’immaginazione persistente.Secondo antichi rituali, la danza è festa
tribale, il caos fa emergere la rigenerazione e l’ordine. La festa Coca
Cola è per tutti, ma i bambini vengono privilegiati. I nani sono i bambini
stessi, loro associano il gruppo socio etnico. Non si strepita non si
piange, non si urla, si sorride e si danza e si festeggia.Il lusso non
esiste, l’aggregato sociale vive nel magico della strada. Il buio che
fa paura ai bambini è sconfitto dall’orgia infantile di colori, il mondo
diventa rassicurante luce ed energia.Il bambino appartiene ad un mondo
primitivo, il possibile che ispira è veramente danza, come quella che
esegue nel ventre della madre, come i primi passi.Luce, colori, suoni,
silente il set respira, è un gioco antico; Biancaneve è solo tratteggiata,
ombreggiata, è presenza della memoria, Cenerentola è la sposa mitica
che discende dal mondo ancestrale dei sette nani. Cappuccetto Rosso
è l’antica bambina che appartiene ai sette nani per lignaggio.
La pubblicità è una forma di comunicazione apparentemente semplice,
in quanto immediata, sintetica, chiara, incisiva, ma in realtà rappresenta
un fenomeno estremamente complesso, che è esploso nella società contemporanea.
Benché sia in relazione alle forme di comunicazione ritenute spurie,
come radio e televisione, si può considerare un linguaggio artistico.
Come dice Abruzzese, ha contatti assai nobili, con l’impressionismo,
con l’espressionismo, il futurismo, il surrealismo. Claudia Salaris
nel suo bel libro Il futurismo e la pubblicità sottolinea come Marinetti esalti la luce elettrica come lotta del
bene contro il male, opposizione delle lune elettriche contro la luna
naturale, romantica e nostalgica, emblema di passatismo.Un esempio di
contaminazione tra arte e pubblicità può essere una delle trovate per
la pubblicità Coca Cola prodotto internazionale, Spot 1993. Il prodotto
si presenta nel suo fisico convenzionale, la bottiglia simile alla silhouette
di un mezzo busto femminile, visto dal di sotto, in gonna lunga (disegnata
nel 1915 da Alex Samuelson). La bevanda è marrone e serve a dissetare
e a tonificare. Ha ‘carattere’ dinamico, giovane, gasato, effervescente,
per esso si utilizzano dei quadri astratti come sfondo e si fa riferimento
ai ritmi del cosmo, in una serie di sequenze che pulsano come dei flash.
Si tratta di uno spot fortemente espressionista, in cui il tappo allude
alla bottiglia, gira su se stesso con riferimento alla rotondità della
terra e, come avverte il jingle, al fatto che “il mondo gira e sempre
girerà”; c’è un uso magistrale del colore rosso che predomina dando
il senso della brillantezza, della vivacità, della passione, mentre
le scritte sovraimpresse in bianco esprimono virtualità, una caratteristica
propria del bianco. I quadri astratti fanno pensare ad una pubblicità
fortemente creativa che esibisce l’arte. Il prodotto è connotato in
senso forte, esibisce la sua presenza dall’individualità della dama
liberty che pubblicizza il ridotto, alla collettività dell’albero di
Natale creato da una massa di giovani di diversi paesi, in fiaccolata.
Ma la Coca Cola non è solo una marca ma una vera star come sostiene
Jacques Séguéla. *Séguéla equipara il sistema delle marche allo star
system. Infatti ha le caratteristiche fondamentali della star: convincere,
durare, sedurre, sono anche delle marche che vendono. La marca come
la star esiste e si afferma attraverso il carattere che è il suo fondamento.
La pubblicità libera l’oggetto e l’uomo dalla reificazione e dalla serializzazione,
agisce come un demiurgo che si muove a suo piacimento e plasma l’oggetto
in una nuova direzione complessa e più umana. Si va “dall’oggetto al
rapporto sociale” e “dal rapporto sociale all’oggetto”. Il prodotto
seriale nel momento in cui è pubblicizzato esce dal mondo dell’industria,
entra in un mondo appositamente costruito per esso, che lo rende unico
e prestigioso, innovativo e soprattutto lontano dalla serialità.La pubblicità
non fa pensare all’oggetto in serie, ma ad un oggetto quasi scoperto
magicamente che nasce dalla dimensione stessa in cui è emerso.Dice Perniola
infatti: “nella cultura egizia le cose hanno facoltà umane, alle statue
degli dei sottratte allo sguardo degli uomini è attribuito il potere
di vedere i visitatori dei templi, alle mummie viene garantito l’esercizio
di tutte le funzioni vitali. E viceversa gli uomini del tutto inconsapevoli
di se stessi sono mossi da un formidabile impulso di oggettivazione”.Mentre
l’uomo si è deificato molto più che in passato, la cosa si umanizza
cioè assume caratteri sempre più umani. In tempi più recenti la stessa
esperienza è suggerita dal poeta Rainer Maria Rilke, la condizione del
poeta moderno è quella di farsi cosa. In pubblicità l’assimilazione
dell’uomo alla cosa e della cosa all’uomo è molto forte. Tra l’uomo
e l’oggetto si instaura uno scambio dinamico. Ciò sta a significare
che la reificazione dell’uomo non è mai totale e permanente, così l’umanizzazione
della cosa.Un rapporto con la morte può essere significativo. I rituali
della morte, il dolore legato ad essa, sono tutti segni vitali dell’uomo,
mentre le cose sebbene siano fortemente umanizzate e caricate di simboli
e attraversino il tempo, anzi sono attraversate dal tempo, non conoscono
i rituali della morte, il passaggio dalla vita all’inerzia; la cosa
può non più funzionare, ma non perde uno dei suoi caratteri
fondamentali: la staticità. L’uomo vive come se fosse eterno, cerca
di sfuggire al tempo, al dolore, alla sofferenza, appunto cerca di farsi
cosa e lasciarsi attraversare dalle cose, in questo sta anche la sua
grandezza, ma non conoscerà mai l’inerzia totale della cosa che può
essere manipolata e ricevere l’umanizzazione; se l’uomo non avesse la
distanza dalle cose, non potrebbe né crearle, né ricrearle e perciò
goderne come oggetto e come simulacro. L’uomo presta il suo essere,
al sua fantasia alle cose, ma poi se ne riappropria sotto forma di soddisfazione.
L’oggetto vive l’illusione della vita, l’uomo l’illusione del disfacimento
e della morte non creerebbe fantasmi, se l’oggetto potesse godere di
vita totale non sarebbe sottoposto all’estetizzazione e all’umanizzazione.L’uomo
crea e ricrea gli oggetti, attraverso al sua immaginazione e fantasia,
libera le proprie emozioni proiettandole sull’oggetto, si crea tra l’uomo
e quest’ultimo un rapporto di osmosi e un complesso linguaggio dell’immagine
che nella società post industriale è fortemente dominante. Bisogna perciò
cercare di leggere l’immagine attraverso vecchie e nuove categorie,
senza distruggerne la specificità, cioè l’onirico che c’è in essa.*La
pubblicità che sta creando una cultura e ha una sua storia non è come
dice Lipotopveskij, cultura ‘degradabile’ perché essa si stratifica
nella coscienza e nella memoria, sia sotto forma di impulso alla creatività,
sia come orientamento al consumo, sia come orientamento verso nuove
prospettive più umane, nel senso che veicolando valori edonistici, pone
all’uomo il problema del suo benessere, di nuovi rapporti con l’ambiente,
di un diverso rapporto con i suoi oggetti di desiderio e non. La pubblicità
nella società post-industriale complessifica l’esistenza, ci dona una
sorta di terzo sguardo, quello della mente che riorganizza secondo esperienze
individuali e differenziate la nostra convivenza con gli oggetti e con
il mondo, crea stili di vita. Come diceva Depero “l’arte dell’avvenire
sarà potentemente pubblicitaria”. La possibilità di riproduzione tecnica
fa pensare all’hegeliana morte dell’arte, la sparizione dell’hic et
nunc della scena teatrale in realtà non deve trarre in inganno. La riproducibilità
tecnica è possibilità meccanica che non per questo toglie originalità
al testo pubblicitario così come la nascita della stampa non ha impedito
che nascessero dei veri capolavori.La trovata “deep?” della coca cola
è un batterista stilizzato che suona tappi montati e
incastrati come una vera batteria, tutto disegnato e fotografato
al rosso, segno connotante della forza viva e passionale del prodotto,
giovane e gasato (una nota forte sono le celebri bollicine), fino al
punto che in un’altra fotografia il batterista crea dischi uno più piccolo,
uno più grande, apre la sequenza montata in una cassa stereo, il celebre
tappo di metallo dell’antica bottiglina di vetro; la Coca Cola suona,
nel senso che fa musica, spettacolo e moda, tutto suo; diventa una vera
star, il timpano esibisce la griffe “Coca cola”, come il nome proprio
del batterista stilizzato, al tempo di rock, di jazz, di pop, di funk,
o addirittura un po’ provocatoriamente, di musica classica.Il piccolo
fumetto in basso esibisce ill copy “Coca Cola / Live / TV / Music Television”
quasi un vero jingle suonato da un chitarrista, bassista, che sta simboleggiare
quasi il group televisivo, in cui il jingle e lo spot sono addirittura
limitati e limitanti, in quanto
linguaggio mediatico adatto a un pubblico di massa, rispetto alla foto
cartolina in sequenza del batterista, che suona musica per bambini e
adulti, di cui sono segno il disco piccolo e quello grande, “Stappiamoci
una Coca” il tappo sembra dire e “mettiamoci al mondo il piccolo in
nuce”.Coca cola live (vivere liberi) è un nuovo segno “deep?”, nuova
tendenza. Sul retro delle foto cartolina pubblicitarie, l’head line
“scolati un concerto” ne è segno caratterizzante. Nei teddy boys, rockettari
e cyber punk” Francesco Donadio e Marcello Giannotti sostengono che
compare una figura adolescenziale che negli anni Cinquanta tendeva a
scomparire, la figura del teen ager, ovvero l’adolescente che comprende
insieme il bambino e l’adulto, non esisteva come categoria e come destinatario
di attenzione pubblicitaria e studi specialistici: “o si era adulti,
pronti a lavorare, metter su famiglia e fare la guerra, o si era bambini
pronti a diventare adulti; non era stata ancora inventata una moda per
adolescenti e tanto meno un genere musicale fatto per loro”. Coca Cola
Live, con i suoi dischi piccoli e grandi del batterista stilizzato,
suona proprio la musica “deep?” dei teen ager degli anni Duemila.Se
non è arte nel senso antico della parola, mostra la creatività artistica
più raffinata. Il mondo Coca Cola sarà veramente eterno, come quello
di una vera star?