L'erbarioWolf Periodico di comunicazione, filosofia, politica
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Nuova Rivista Cimmeria

 Filosofia Italiana

 

di

Giovanna Annunziata

E' probabilmente l'attualità dei temi - l'antisemitismo, l'odio razziale e, più in generale, quello scontro delle civiltà profetizzato qualche anno fa da Samuel Huntington e dopo l'11 settembre divenuto così drammaticamente manifesto - a dare al film The Believer quell'intensità e quello spessore che lo hanno portato ad aggiudicarsi il premio della giuria al Sundance Film Festival (la più illustre rassegna del cinema indipendente) del 2001. La pellicola racconta la storia vera di un ebreo americano, Danny Balint, divenuto giovane naziskin attivamente impegnato, all'inizio degli anni Sessanta, nelle fila del partito neonazista americano: egli trascorre la sua vita esercitando violenze di ogni sorta e attentati dinamitardi, ostentando deliri di onnipotenza in nome della superiorità di una razza su un'altra - quella ebraica appunto - cui, beffardamente, appartiene. Una parte della sua vita è questa. L'altra parte, - e qui emerge l'aspetto più forte ed interessante del personaggio che sarebbe altrimenti una delle tante banali raffigurazioni cinematografiche politically correct esibite in funzione moralizzatrice - meglio, l'altra faccia di Danny l'odioso sprezzante nazista, è quella dell'ebreo educato in sinagoga, che conosce la lingua ebraica e le leggi del giudaismo alla perfezione e che s'infervora recitando la sua Torah (i numerosi discorsi tenuti da Danny forniscono un istruttivo spaccato degli usi e costumi del popolo ebraico). "Amo e odio le stesse cose che mi sono care senza sapere il perché": è il bel verso di Catullo dal quale - a tutto schermo - prende le mosse il film: e l'odio e l'amore, ma anche una cultura e un'intelligenza profonde sono i tratti salienti della personalità di Danny, figura complessa e contraddittoria e per questo votata al dramma esistenziale. E la chiave di lettura del film - molto efficace - è tutta intrinseca alla doppia personalità del protagonista, che il regista abilmente costruisce attraverso, appunto, un doppio ambiguo binario, quello del presente di skinhead feroce e quello del passato - reso attraverso continui flashback in bianco e nero - in cui il bambino Danny si scaglia contro il suo maestro-rabbino animato da uno spirito critico vivacissimo e incapace di accettare fino in fondo, fideisticamente, i dogmi dell'odiosamato giudaismo. E' in quell'insoddisfazione, in quell'eccesso di curiosità e velleità ermeneutiche inappagate che trova terreno fertile la ribellione a un Dio tanto amato da risultare non all'altezza delle aspettative, imperfetto e, per certi versi, traditore. Qui sono le radici dell'odio antisemita che, lungi dall'essere, come oggi troppo spesso accade, figlio dell'ignoranza e della stupidità, sgorga dalla profonda conoscenza e insieme dalla frustrazione di non aver potuto possedere completamente l'amore e i segreti di quel Dio vendicativo e giusto, di quel credo profondo e insieme carente. Danny vibra di amore e odio mentre urlando, durante una riunione neonazista, ripete infinite volte la parola "ebreo", spiegando che nell'odio razziale non c'è altra motivazione se non un accanimento semantico verso questa parola: "ebreo"! E ancora - molti sono i messaggi che il regista, ebreo di New York, manda attraverso il protagonista - Danny arringa il suo pubblico sostenendo che il popolo ebraico vive e prospera grazie all'odio e dunque solo smettendo di odiare e cominciando ad amare esso verrà completamente, definitivamente annientato. L'intensità della pellicola nasce da questa eterna lotta tra odio e amore, tra rifiuto e accettazione, che si concluderà assai drammaticamente: l'unico ebreo che Danny riesce realmente ad uccidere - è ciò che dice di desiderare per tutto il film - è proprio se stesso facendosi esplodere, dopo aver letto la sua Torah, sul pulpito della sinagoga.

Scheda Film The Believer Regia di HENRY BEAN Con RYAN GOSLING, BILLY ZANE, THERESA RUSSEL, SUMMER PHOENIX Vincitore del Sundance Film Festival 2001