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Nuova Rivista Cimmeria

 Filosofia Italiana

 

 

di

Clementina Gily

 

Il favoloso mondo di Amélie è una favola? Si direbbe, per il physique du rôle della protagonista, grandi occhi neri sognanti ed un faccino impegnato. Per l’arguzia dei montaggi, per il modo semplice di presentare i personaggi attraverso le loro idiosincrasie. Il padre, la madre, tutti, sono persone cui piace… non piace…, un modo semplice di dire un carattere, attraverso quel che ha scelto di fare.

Ma poi è una favola, perché è il mondo visto attraverso gli occhi di una bambina che non sa crescere, molto sola, che seguita a vivere in un sogno. Il che non le impedisce di avere contatti semplici con le persone, di inserirsi fra di loro, di collaborare alle loro vite. Non smette di essere curiosa, di cercare il lato divertente nelle cose, di farsi domande inutili. Ci riporta lontano, a quando si perdeva il tempo per chiederci sul serio cose inattuali. Tempo perso? Ma era la felicità di trovare risposte sognanti, di usare il tempo per coltivare le possibilità del mondo, gli altri lati delle cose, sospesi tra veglia e sonno. Tutto dev’essere utile?

Il sogno che continua ad un certo punto si svela ad Amélie una virtualità della realtà – una possibilità che non si è realizzata. Ad esempio: e se questa persona qui, che perde il tempo a viversi addosso senza sapersi, tutt’a un tratto ritrovasse i giocattoli della sua infanzia perduta; se quest’altra si accorgesse che un altro è infelice e dividesse con lui il suo tempo;  se quello lì capisse che si può fare qualcosa se appena si vuole… La bambina allora comincia a perdere tempo, con estrema fantasia, per seguire i suoi sogni, e dimostra con astuti inganni a quelle persone la via che era loro davanti e che non vedevano per via di non guardar la luna, gli occhi pieni di pianto per il sole che se n’è andato: troppe lagne e manie di persecuzione.

Amélie, così, s’ingegna per dimostrare ad un borioso che non è poi tanto bravo e tanto superiore ad altri come egli crede di essere, per indicare ad un vecchio la strada di una nuova gioventù. E, visto che è una fiaba, ci riesce e  alla fine trova anche l’amore.

Ma il racconto ti lascia addosso, com’è delle fiabe scritte con sentimento e capacità stilistica, qualche altra cosa. La sensazione che non sia una favola, una perdita di tempo. Che davvero sarebbe possibile, se solo non si considerasse utile solo il tempo speso per inseguire un goal, un temibile risultato conseguito nell’azione situata. Se si desse un po’ di spazio alla fantasia, si decostruisse il reale per ricostruirlo un po’ più in là, con appena una linea distorta, non si potrebbe, forse, migliorare la qualità della vita? Allora il mondo di Amélie si svelerebbe non una fiaba, ma un gioco, quel che di più serio c’è nella vita. Lo spazio di tempo per coltivare il tempo e reinventare il mondo.