L'erbarioWolf Periodico di comunicazione, filosofia,politica

Rubriche
 

Nuova Rivista Cimmeria

 Filosofia Italiana

 

Enrico Caniglia, Berlusconi, Perot e Collor come political outsider. Media, marketing e sondaggi nella costruzione del consenso politico, 2000, Rubettino editore

 di Valentina Reda

1.                  Il political ousider: caratteristiche e stratégie elettorali di un nuovo attore politico

(Ousider in politica: una definizione; elementi per una spiegazione: trasformazione della politica e dei nuovi attori politici)

2.                  Perot: ovvero il sogno della democrazia diretta

(un ousider contro il sistema; la strategia comunicativa di Perot: sidestapping e new media; il ruolo delle appartenenze sociali, dei sondaggi e dei media nella sconfitta dell’outsider; la campagna elettorale del 1996: ovvero come il sistema politico ferma l’outsider)

3.                  La costruzione di un presidente: Collor de Mello

(politica e mass media nel Brasile della Nuova Repubblica; la campagna elettorale di Collor: media, marketing e battaglia per la visibilità; televisione e sondaggi: cospirazione o logica della campagna?; l’esperienza di governo)

4.                  Berlusconi e Forza Italia

(il contesto delle elezioni del 1994. Crisi del sistema partitico e “partito dei media”; la campagna elettorale di Forza Italia alle elezioni nazionali del 1994; l’identikit di Berlusconi: un caso di marketing politico televisivo; la campagna elettorale del 1996)

5.                  Rischi e prospettive per la democrazia elettorale

(incontro tra offerta e segmento elettorale: il ruolo dei sondaggi e dell’agenda dei media; le campagne degli avversari: imitazioni vincenti e ritardi; democrazia virtuale e opinione pubblica: verso un autoritarismo mediatico?) Il contesto all’interno del quale si colloca l’esperienza dei tre personaggi definiti political outsider è quello degli Stati Uniti, del Brasile e dell’Italia degli anni ’90. La realtà politica che ha permesso, e probabilmente favorito, l’insorgenza di questa nuova figura all’interno delle moderne competizioni elettorali è caratterizzata dal compiersi delle tendenze che hanno portato il moderno mercato politico a somigliare sempre più ad un mercato di prodotti. La personalizzazione e la laicizzazione dell’elettorato risultano essere i due elementi base su cui si fonda la trasformazione del gioco elettorale in un sistema in cui è ormai impossibile disgiungere la strategia mediatica da quella più propriamente di marketing. Il candidato è diventato il messaggio stesso della proposta politica, il prodotto da piazzare ad un pubblico di consumatori sempre più indifferente e quindi sempre meno raggiungibile attraverso l’utilizzo dei tradizionali strumenti di campaining. La figura del political outsider sfrutta esattamente queste forme di evoluzione realizzatesi all’interno del sistema politico attuale. L’essere un soggetto esterno al mondo della politica crea infatti al political outsider problemi assolutamente nuovi, che questi hanno affrontato proprio grazie alle esperienze maturate nei campi di attività da cui provenivano (Berlusconi – imprenditore in vari settori tra cui quello televisivo e quello editoriale; Perot – imprenditore in campo informatico; Collor – attività affaristiche legate in vario modo a Rede Globo. Famiglia con tradizione politica cui si è poi affiancata l’imprenditoria nel campo dei media e delle edizioni). Gli elementi riscontrabili in tutti i casi sono: un consistente uso dei media, l’impiego delle nuove tecnologie, l’adozione di un programma “antipolitico” e una grande disponibilità di ricchezza.Un ultimo elemento di comunione tra i tre differenti casi sta nella strutturazione della campagna elettorale in una strategia in quattro fasi: una fase di preparazione della campagna (in cui organizza la gestione stessa della campagna), una di precampagna (in cui i sondaggi sono lo strumento principale per conferire credibilità alla candidatura), una di conquista della centralità nell’agenda dei media e nei sondaggi, e una fase finale (la campagna elettorale ufficiale).

La necessità di un inizio tanto “prematuro” si deve probabilmente alla consapevolezza che i meccanismi della campagna ufficiale mettono il political outsider in una posizione di evidente svantaggio nei confronti degli insider.

Infatti, in questa fase vengono introdotti: regolamenti relativi ad es. alla diffusione dei sondaggi, alla presenza in ambito televisivo (equal time), e alla possibilità di acquisto degli spazi televisivi, o criteri discriminanti per gli ousider per la partecipazione alle finestre d’opportunità.

Inoltre, in coincidenza con l’attivazione delle campagne degli attori insider si assiste al ritorno verso le logiche di voto tradizionali: secondo il meccanismo del waste vote, per evitare la dispersione del proprio voto, favorendo così indirettamente la vittoria di un partito che avversano.

L’inizio delle stratégie elettorali può realizzarsi quindi anche con qualche anno di anticipo rispetto alla campagna elettorale ufficiale, il che comporta la piena realizzazione di uno stato di permanent campaign.

La necessità di un tale allungamento della permanenza dell’attore politico nell’agenda del cittadino elettore è implicita nella stessa natura del political outsider che ha inevitabilmente bisogno di affermare un suo posizionamento all’interno del gioco politico. La coscienza, inoltre, della disaffezione e della disattenzione maturate da parte dei cittadini alle vicende politiche determina non solo la necessità di una presenza pubblica prolungata, ma anche la ricerca di nuove stratégie di comunicazione che forniscano all’elettore le scorciatoie informative di cui sembra avere bisogno.

In relazione al modo di usare e di reagire alle campagne elettorali, il moderno corpo elettorale può essere classificato in tre categorie principali: i partisans (soggetti già schierati dall’inizio della campagna elettorale), i campaign deciders (soggetti più istruiti e di status più elevato che tendono a seguire con attenzione l’intera campagna elettorale) e i casual end deciders (meno istruiti, di status inferiore e meno interessati che seguono la campagna in modo più superficiale e sono più condizionabili dai sondaggi). Queste categorie si caratterizzano anche per il diverso grado di esposizione a diverse fonti di informazione e alle campagne dei diversi concorrenti. Elementi anch’essi condizionati dalle variabili livello di istruzione e grado di interesse verso la politica.

In questo quadro, il massiccio uso del mezzo televisivo rappresenta certamente il tentativo di raggiungere un target elettorale medio-basso (i casual end deciders) che può, in questo modo, riuscire a costruire un’opinione abbassando quelli che la teoria della scelta razionale chiama “costi dell’informazione”.

Le stratégie definite media centered si fondano su escamotages, che a livello comunicativo si sono dimostrati efficaci come ad esempio l’estrema semplificazione del linguaggio e l’elaborazione di pseudoeventi. Quest’ultimo elemento, in particolar modo fa parte di un più complesso fenomeno di sidestapping, che fa riferimento alla tendenza a evitare le occasioni di visibilità (finestre di possibilità) offerte dai “media convenzionali” (ad esempio confronti in dibattiti televisivi e forum politici) e quindi il confronto diretto con la funzione gatekeeper esercitata dai giornalisti più critici.

Il primo tentativo di operare questo superamento è rappresentato dall’utilizzo dei cosiddetti “media non convenzionali” come ad esempio i talkshow. All’interno di questo tipo di trasmissioni televisive il filtro che gestisce il dialogo tra gli ospiti e il rapporto con il pubblico è rappresentato da presentatori non necessariamente competenti in ambito politico. Questo consente un maggiore controllo del dibattito da parte del candidato, che non si troverà mai costretto a presentare nel dettaglio il proprio programma elettorale né a rispondere a pungenti domande proposte da un competente.

La stessa finalità viene raggiunta anche attraverso il ricorso alla strategia del going public, che consente di evitare qualsiasi forma di mediazione del messaggio, se non quelle stabilite dallo stesso soggetto emittente. Tra gli strumenti utilizzati, e a volte abusati, si possono ricordare gli spot (in cui si ritrova ancora il messaggio semplice, diretto e ripetuto), la telediffusione di comizi, raduni e altri tipi di occasione in cui il candidato abbia la possibilità di proporre se stesso e il suo programma senza soluzione di continuità e senza interferenze. I sondaggi rappresentano l’altro lato di questa strategia di eliminazione delle intermediazioni, offrendo anche al cittadino/elettore la possibilità di esprimere la propria opinione secondo un modello referendario. Lo sviluppo futuro di miglioramento delle potenzialità legate a queste forme comunicative dirette è rappresentato dagli strumenti del tutto nuovi offerti dai new media. I nuovi mezzi di comunicazione di massa infatti costituiscono un potente strumento di trasmissione del messaggio politico, più veloce ed economico di quanto sia stato pensabile fino a tempi relativamente recenti. La possibilità continua di aggiornamento delle informazioni presenti sul sito, la possibilità di organizzare forum, chat e sondaggi on line producono per il candidato come per il partito un’alternativa (potenzialmente sempre più perfetta) al radicamento sul territorio, che nel contesto politico attuale risulta visibilmente indebolito.

Nel caso di Berlusconi e Collor, anche se con le dovute differenze, si è assistito ad una concentrazione dell’attenzione, nella fase finale della campagna, verso i casual end deciders. La possibilità (e la scelta) di puntare principalmente sullo strumento televisivo gli ha permesso di mantenere una forte attenzione e visibilità, il che a sua volta a innescato un effetto di focalizzazione (che in fondo gli ha permesso di vincere le elezioni).

Nel caso di Perot (che oltre che sui media tradizionali ha puntato molto sui new media, essendo stato prima imprenditore in questo campo) nella prima fase della campagna godeva principalmente del sostegno dei ceti medio-alti, da cui aveva scaturito quell’attenzione dei media in grado di canalizzare l’attenzione dei meno interessati. Nella fase finale lo stesso meccanismo si è sviluppato nella direzione opposta. Per lui, quindi, l’effetto agenda setting e quello di focalizzazione hanno prima contribuito ad attribuirgli credibilità e visibilità e poi ad escluderlo dalla contesa elettorale (alla fine infatti poteva contare solo su quei media non convenzionali che, con l’insorgere del meccanismo del waste vote, non potevano garantirgli più del 20% su cui si è attestato).

Il sondaggio è lo strumento per eccellenza, presente in maniera determinante in ogni fase di queste nuove stratégie elettorali. Negli specifici casi i sondaggi ricoprono tre funzioni principali: 1. posizionare il candidato al centro dell’attenzione dei media (per i political outsider a volte la loro stessa candidatura può rappresentare la notizia stessa e quindi scaturire l’interesse mediale. In ogni caso i sondaggi rappresentano in pratica degli pseudoeventi che attirano l’attenzione dei media); 2. attribuire credibilità al candidato come potenziale vincitore, innescando quindi l’effetto focalizzazione e quello di agenda setting (centrale soprattutto la fase di precampagna, in cui l’elettore forma i criteri di giudizio. Nelle nuove campagne non si tratta “di ridurre l’eventuale dissonanza cognitiva, ma di fornire dei punti su cui ancorare si e rispetto ai quali cercare informazione”. “una forza politica emergente nei sondaggi e che ne occupa stabilmente la testa finisce per far scattare a proprio favore l’effetto focalizzazione” p.45); 3. mobilitare forme diverse di partecipazione alla campagna elettorale, dai contributi finanziari, alla partecipazione attiva, fino al semplice sostegno.  

In relazione al problema dell’utilizzo politico dei sondaggi, può sembrare chiaro a questo punto che la presenza così forte dello strumento nelle campagne elettorali sia in qualche modo determinato dall’ingresso sulla scena politica dei political outsider. Infatti si sviluppa l’esigenza di realizzare degli effetti di canalizzazione selettiva dell’informazione per ottenere che l’attenzione pubblica si sposti, almeno per dei periodi più o meno prolungati, su di se, in modo da collocarsi come prodotto all’interno del mercato elettorale. Il sondaggio è esattamente lo strumento che viene usato nel campo del marketing per sondare il pubblico di consumatori e individuare quindi il target per la propria proposta commerciale.  In tal modo risulta possibile modificare o perfezionare il prodotto in funzione delle esigenze espresse dall’utenza, e, se necessario, riorganizzare la campagna pubblicitaria, in modo da espandere le possibilità di vendita. La questione dunque dovrebbe essere ancora una volta puntata sulla relazione esistente tra l’emergenza del sondaggio come strumento privilegiato di comunicazione in ambito elettorale, in grado di determinare consistenti spostamenti dell’opinione, e il nuovo gioco politico. Il legame risulta essere particolarmente forte in casi “estremi” come quelli dei political outsider dove le necessità del loro ruolo rendono più evidenti certe forme di utilizzo dello strumento, comunque presenti anche nelle dinamiche politiche “normali”. Infatti, è vero che l’Italia di Berlusconi ha visto un’esplosione di questo fenomeno, ma altrettanto vero che la Francia (anche in assenza di una situazione realmente atipica) rimane uno dei paesi europei con più alta produzione di sondaggi politici.