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Nuova Rivista Cimmeria

 Filosofia Italiana

 

Creazione artistica e composizione musicale nell’estetica crociana

 di Luca di Maio

“L’arte è ciò che tutti sanno che cosa sia”[1]. In questo modo Croce, nel Breviario di estetica, annuncia una delle linee fondamentali della sua concezione dell’arte: non c’è critico che possa dire cosa l’arte sia poiché, dinanzi all’opera d’arte, il suo valore sarà manifesto in maniera tanto automatico quanto necessario. L’arte non può essere definita, si autodefinisce: possiede un suo statuto autonomo di legittimità insindacabile. Infatti, poche righe dopo, Croce esplicita l’affermazione iniziale dicendo “Accade di pensare che si potrebbe fare arrossire, sempre che si volesse, ogni orgoglioso filosofo, il quale stimasse di avere <<scoperto>> la natura dell’arte, mettendogli sotto gli occhi e facendogli risonare agli orecchi proposizioni scritte nei libri più comuni e sentenze della più ordinaria conversazione, e mostrandogli che già contengono, nel modo più chiaro, la sua vantata scoperta. E il filosofo avrebbe […] nutrito l’illusione d’introdurre, con le proprie dottrine, qualcosa di tutto suo originale nella comune coscienza umana…”[2] quasi a voler dire che nella comune coscienza umana il concetto di arte è sempre esistito dalla notte dei tempi, dal cominciamento. Questo si lega, almeno nella forma, con un tema heideggeriano esplicitato nel suo Che cos’è la filosofia. Egli dice "Domandandoci infatti: che cos’è la filosofia, noi parliamo sulla filosofia. Ponendo la domanda in questi termini, ci collochiamo in una zona che si trova al di sopra e quindi al di fuori della filosofia. Ma lo scopo della nostra domanda è piuttosto quello di penetrare nella filosofia, di prendervi dimora e di comportarci nel modo che le è proprio, vale a dire di filosofare. Il cammino del nostro colloquio non deve perciò avere soltanto una direzione chiara, ma deve al tempo stesso far sì che tale direzione ci dia la certezza di muoverci all’interno della filosofia e non di girarvi intorno.”[3]A mio avviso il filosofo napoletano intendeva, appunto, entrare all’interno dell’arte non per de-finirla, chiuderla cioè in un recinto, ma per coglierne i passaggi principali, i suoi punti nevralgici, in modo da poterla inserire nella colonna vertebrale della sua filosofia: lo storicismo. Questo è, quindi, il compito dell’artista: penetrare in un mondo carico di illusioni magiche e regole spesso irrazionali che nascondono i segreti di una pratica poietica oscura e mistica; “poiesis, la quale si configura fondamentalmente come il compimento di una molteplicità di azioni, talvolta misteriose, quasi sempre imprevedibili”[4]. “L’arte è visione o intuizione. L’artista produce un’immagine o fantasma; e colui che gusta l’arte volge l’occhio al punto che l’artista gli ha additato, guarda per lo spiraglio che colui gli ha aperto e riproduce in sé quell’immagine.”[5] Una sorta di mago che riesce, attraverso la tecnica, a manipolare la materia facendo sì da concedere la vita ad un blocco di marmo come ad una tela bianca, ad una pagina vuota come ad un pianoforte silenzioso, così come Geppetto creò Pinocchio da un ceppo di legno! Ma questo individuo speciale riesce a far questo solo grazie a capacità innate: questo tipo di visione ed intuizione non sono caratteristiche comuni al genere umano poiché, se l’artista si addentra in questi mondi in maniera del tutto solitaria e autonoma, il comune individuo necessita di una guida, di un mentore che gli indichi dove rivolgere lo sguardo e la propria attenzione. Dunque l’artista è dotato di un certo segno interiore[6] che dialoga col fantasma artistico instaurando un certo feeling tra creazione e creatore: durante la sua creazione, Pinocchio chiedeva a Geppetto di costruirlo in un modo anziché in un altro!

L’opera d’arte si autodefinisce e, seguendo i passi crociani, si autoconcepisce. Si potrebbe giungere alla conclusione che nella creazione non si riesce a comprendere se dall’intuizione risulti più arricchito l’artista che l’opera d’arte.

“…La musica -diceva Schopenhauer- non è dunque, come le altre arti, una riproduzione di idee, ma una riproduzione della stessa volontà, una sua oggettivazione allo stesso titolo che le idee. Perciò il suo effetto è più potente, più penetrante che quello delle altre arti; queste non esprimono che l’ombra; quella celebra l’ essenza.”[7]

Schopenhauer riconosceva alla musica il ruolo di arte suprema poiché astratta; quasi fosse un uccello invisibile che, volteggiando attraverso gli animi degli ascoltatori sulle sue melodiose ali, dispone gli spiriti al più sommo dei dialoghi con la opera d’arte. In quest’arte il segno interiore entra in sintonia perfetta coll’essenza della creatura artistica, facendo sì da stabilire un dialogo, una forma di comunicazione superiore tra artista ed opera. Si pensi alla composizione musicale: comporre, nel suo significato più immediato ed empirico, vuol dire costruire un edificio di segni grafici posizionati secondo un preciso ordine armonico(del tutto simile alla grammatica di una lingua), ai quali corrispondono direttamente i suoni.

In questo processo costruttivo il compositore, dopo l’edificazione di un’ossatura di base(il tema principale), si trova dinanzi ad infinite soluzioni: scegliere una nota, una sequenza armonica, una variazione, una modulazione, un cambio di tempo, di tonalità…In base a quale criterio il musicista opera questa scelta? É qui che entra in gioco la capacità intuitiva dell’artista che, fra milioni di soluzioni possibili, ne sceglie una. Scelta dettata dal legame che si manifesta tra il segno interiore ed il segno artistico, forma di dialogo tra mago e fantasma. Egli riesce a distinguere, fra milioni di combinazioni, l’unica che abbia realmente senso al punto tale da poter essere opera d’arte, scorge nitidamente il visibile nell’invisibile decrittando gl’infiniti messaggi della poiesis. Forse, come dice Schopenhauer, dinanzi alla composizione il musicista è soggetto ad una specie di delirio narcisistico, effetto di visioni dell’ “Opera perfetta” descritta da Goethe nel Faust e da Mann nel Doctor Faustus, durante i quali è l’opera d’arte stessa ad imporre, attraverso la sua “<<intuizione>>, <<visione>>, <<contemplazione>>, <<immaginazione>>, <<fantasia>>, <<figurazione>>, <<rappresentazione>>, e via dicendo”[8] il suo sviluppo. Schopenauer distingue, difatti, in maniera decisa l’uomo normale dall’uomo artista. Quando l’individuo veste i panni di colui che dirige i fili della creazione musicale o artistica, non veste più quelli dell’uomo: diventa l’arte stessa poiché “…questa è l’ opera del genio; qui, più che altrove, il genio agisce evidentemente fuori di ogni riflessione, di ogni intenzione cosciente; qui abbiamo la vera e propria ispirazione.”[9] Ispirazione in Schopenhauer, dunque, come intuizione in Croce: se l’una vuol dire tocco irrazionale di un soggetto incosciente, l’altra significa connubio di tecnica e capacità innate fuori dal comune. Comunione, dunque, di musica e musicista come di arte ed artista, giustificata da quell’elemento innato, quel dono divino, la capacità d’intuizione, che permette di cogliere l’arte come “vera sintesi a priori estetica, di sentimento e immagine nell’intuizione”[10].


 

[1] B. Croce, Breviario di estetica, Adelphi Milano 2001 p.15

[2] ivi, p. 15-16

[3] M. Heidegger, Che cos’è la filosofia, tr. it. di Carlo Angelino, Il Melangolo Genova 1997 p. 9

[4] A. Trione, L’ordine necessario, Il Melangolo Genova 2001 p. 57

[5] B. Croce, op. cit. p. 22

[6] da G. Bettetini, Il segno, Edizioni i 7 Milano 1963

[7] A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, tr. it. di N. Palanga, Mursia Milano 1991 p. 302.

 

[8] B. Croce, op. cit. p. 22

[9] Theodor W. Adorno, Filosofia della musica moderna, tr. it. di G. Manzoni, Einaudi Torino 1960

[10] B. Croce, op. cit. p. 53