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Nuova Rivista Cimmeria

 Filosofia Italiana

 Sotto l’eterna luna. Racconti aragonesi di Raffaele Ruggiero (Eurocomp 2000)

di Dissimulo Confini

 

“L’anziano priore si asciugò il sudore della fronte, poi cinse col braccio le spalle di Matteo: “E’ questa la mia verità, più cupa ahimè, più terrena di quella esaltata, esaltante che illuminò  la mente del fratello Gherardo. D’altronde se ponessimo più persone di fronte agli stessi eventi, alle stesse tracce, ciascuno di loro  costruirebbe ragionando la sua ipotesi, diversa da tutte le altre, eppur credibile. La verità assoluta è solo nella mente di Dio, al quale giungono certamente gradite le invocazioni e le preghiere dei fedeli che affollano la nostra certosa, grazie anche alla leggenda di Ludovico, il santo, indimenticabile priore.” (La leggenda di fra Ludovico.)

Con queste parole si chiude l’ultimo dei quattro racconti che si svolgono in questo paesaggio lunare, frutto dell’allucinazione melanconica che rivive un passato lontano e dimenticato, ubicato sull’astro visitato da Astolfo. I riferimenti storici della Napoli rinascimentale sono suggestivi cenni di una ricerca che si rivolge altrove nel tempo. Nei passaggi vivi delle descrizioni si ritrova, tra i tanti, l’antico vicolo del Cavone , aperto solo stagionalmente per evitare il defluire delle acque, luogo notturno che conosce solo la luce della luna, “fino a che , spenta la lanterna celeste, la più nera oscurità si addensava nel canalone e sussurri, fruscii e fugaci fiammelle animavano la notte. ” (La leggenda di fra Ludovico).

In questo buio abissale sembra ritrovarsi la follia della protagonista de L’Isola dei desideri, che tutto trasforma continuamente della sua vita e dei suoi sentimenti sottomettendoli, di volta in volta, ad una nuova prospettiva.

Questa nuova, unica dimensione è, indiscutibilmente, quella del cunto. Tutti i racconti si svolgono per un intimo piacere narrativo di ricostruire luoghi situazioni, personaggi, e storie che non si risolvono nella stanca ripetizione del materiale novellistico, pur copioso nell’esperienza napoletana ed italica.

L’immaginifico piacere della narrazione sembra incontrare i personaggi stessi che tutti amano raccontare ciò che essi dicono la propria vita. Ed ecco disegnarsi i contorni di una Napoli ora angioina, ora aragonese, d’un’epoca in cui il cunto era il fiore più maturo della civiltà da cui traeva le mosse. La dimensione esperienziale, fondativa per tutta l’epoca umanistico- rinascimentale, si vuole riflettere nella narrazione che i personaggi stessi fanno delle loro vite, in modo da sembrare esemplare.

Ne Il bosco il viaggio dei due protagonisti allude chiaramente ad una dimensione iniziatico- esperienziale che, non a caso, si riflette nella narrazione della vita vissuta dai futuri amanti. L’esperienza del mondo qui si riassume nei cunti dei due innamorati che si salveranno dalla morte per congelamento proprio raccontandosi i propri trascorsi. Ma la fine del racconto, la fine d’ogni narrazione porta i due protagonisti a cedere anch’essi alla propria effimera scomparsa. La loro morte non lascerà alcuna traccia se non il dubbio che tutti gli anfratti del cunto stesso, compresi personaggi e vicende siano semplicemente frutto di un sogno.

Se dunque la parola sembra rincorrere un senso antico e rassicurante stabilendo un contatto con la sua ancestrale natura di tradizione, contemporaneamente essa si sgretola con un tono tutto novecentesco che si riflette nella scrittura stessa. Se lo stile vuole inseguire una tradizione novellistica assai viva in passato sia in Italia e che nel regno meridionale, la narrazione è continuamente sospesa da citazioni che si sostituiscono alla voce del narratore lasciandolo distante osservatore e “montatore” di cunti, poetici e non, che s’affastellano come echi della narrazione stessa.

Nel suo mettersi alla prova la parola novecentesca si maschera e si atteggia come frutto d’un tempo in cui fu costrutto e veicolo di senso, ma contemporaneamente percepisce il chiarore della morte e della fine come dischiudersi delle possibilità infinite al di là di essa:

“Mansueto si sentì mancare del tutto e s’accasciò, ripiegandosi come una marionetta senza vita, mentre Lampo e Tuono, che avevano percepito la presenza della morte molto prima degli uomini, già guaivano disperati. Tuttavia sussurrò ancora qualche parola, ma talmente piano che nessuno capì-..Sono un cantastorie che ha concluso il suo racconto..il mio corpo ora muore…e l’anima?...La mia anima? Si chiama fantasia e già vola e s’aggira per il mondo alla ricerca di un’altra storia.-” (Le medaglie di Federico Imperatore.)

 

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