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Nuova Rivista Cimmeria

 Filosofia Italiana

 

Ai Quaderni la Fondazione Cortese affida il ricordo di Roberto

di Giovanna Annunziata

 

Il Quaderno n°3 edito dalla Fondazione Cortese di Napoli dedica alla figura e alle opere di Roberto Cortese (1949 - 1994) un breve ma significativo ricordo redatto in una trentina di pagine e affidato alla penna della di lui madre Amelia Cortese Ardias. Affettuoso ma asciutto, puntuale nella esposizione delle attività svolte e insieme velatamente commosso nella descrizione dei legami familiari – particolarmente toccante è l’immagine del padre che legge alla piccola figlia brani della Divina Commedia - il saggio delinea nell’Introduzione  un profilo a tutto tondo di Roberto Cortese descritto insieme come uomo di cultura e impegnato nella vita politica per il ‘suo’ Mezzogiorno, come avvocato d’ingegno, come padre e marito affettuoso, come figlio devoto. Come uomo politico di spessore infine vicino al liberalismo  dei grandi pensatori assoluto come egli stesso riferisce nei suoi scritti, sinceramente schierato: “Roberto era un liberale ‘non di destra né di sinistra’, era un liberale e basta, come lo era stato suo padre Guido”.

Cinque sono gli scritti di Cortese raccolti nel Quaderno dai quali emerge vivida la sua figura: ora il carattere dell’uomo, ora gli ideali ed i valori del politico e del cittadino appassionato, ora infine la metodica del giurista scrupoloso. Il primo volume cui si fa riferimento è pubblicato nell’89 all’indomani dell’approvazione - il 22 settembre del 1988 - del Nuovo Codice di Procedura Penale cui è dedicato: nella prima parte vengono descritte ed analizzate le novità del nuovo Codice, mentre nella seconda Cortese risponde alle domande dei lettori de “Il Sole 24 Ore”. L’articolazione del libro mostra armonia nella divisione in capitoli e coerenza  nella trattazione degli argomenti. Comincia così Cortese scrivendo che “Lo scopo del processo penale non è combattere la criminalità, ma accertare i reati e perseguire i colpevoli”, per continuare nelle pagine seguenti con una meticolosa ricognizione delle parti che compongono il processo, ed infine concludere in un’ampia digressione sulla sentenza, sulla necessità di deliberare subito dopo la discussione rendendo partecipi i giudici che hanno assistito al dibattimento.

In tutti gli scritti, dietro ogni concetto, fra le righe di ciascuna pagina aleggia fortissimo lo spirito liberale dell’Autore che dedica poi al tema del liberalismo un importante volume del 1990 (Quale liberalismo, Alfredo Guida Editore) in difesa non soltanto dei valori liberali ma della politica tutta intesa “non solo come corretta gestione della cosa pubblica ma come difesa di ciò che si ritiene giusto e come volontaria partecipazione al continuo processo di trasformazione della società”. Dunque si torna a sottolineare il senso vero, e le funzioni, della politica oramai svilita e ridotta a semplice strumento per la contesa del potere da cui il cittadino comune è inesorabilmente allontanato. “In tutti i sistemi politici chi esercita il potere ha una posizione di privilegio. Ma - scrive più avanti Cortese - l’inamovibilità del potere può sfociare nell’arbitrio. Spesso coincide con la presunzione di immunità. L’alternanza, tout court, non risolve la questione morale, perché il ricambio di uomini non sempre ha una valenza positiva. Non è detto che il successore sia per forza migliore del predecessore. Ma è molto più facile che un lungo prepotere degeneri in prepotenza, anziché una presenza temporanea nella stanza dei bottoni.” E da Machiavelli Cortese riprende la lezione relativa alle doti necessarie ad un buon politico “non la virtù - precisa - ma la capacità progettuale”.  E torna ancora il tema dell’etica ricorrente in tutte le sue pagine più intense, e in tutti i suoi scritti, ripreso dal caro maestro Croce: “Il problema prioritario è sempre la questione morale. Non rendersene conto, significa assistere inermi ad un processo degenerativo che produrrà effetti sempre più deteriori. E’ alla parola politica che si deve restituire i suo significato come impegno civile. (…)”.

Sulla questione del diritto/dovere dei cittadini di prendere parte attivamente alla vita politica ancora tanto scrive Cortese nel successivo lavoro intitolato Fuori dal palazzo (ESI, 1991) arricchendo le proprie riflessioni con richiami ai grandi padri del liberalismo. Nel frontespizio introduce alla lettura del libro un intenso passo di Benjamin Constant: “Il pericolo della libertà moderna è che, assorbiti nel godimento della nostra indipendenza privata e nel perseguimento dei nostri interessi particolari, noi possiamo rinunciare troppo facilmente al nostro diritto di partecipare al potere politico”.  Segue una digressione di Cortese sulla necessità di riavvicinare le gente comune alla politica riabilitando il concetto stesso di politica su cui più volte ritorna l’Autore. Nel secondo capitolo il riferimento è a Diderot: “Poiché è nell’ordine naturale delle cose che vi siano venti stolti per un savio, il buon governo sarà quello dove la libertà degli individui sarà ristretta il meno possibile e quella del sovrano il più possibile.” E a questo punto Cortese non manca di tornare a sottolineare che “la politica è il mezzo per dar voce a tutti, compresi gli esclusi, i più deboli, gli emarginati”. Il capitolo quarto, l’ultimo, ricorda invece una frase di Jean Monnet: “Quando un’idea corrisponde alla necessità dell’epoca, essa cessa di appartenere a quelli che l’hanno inventata ed è più forte di quelli che ne hanno il compito”: idee e valori forti che, come quelli promossi da Roberto Cortese, restano in eredità ai posteri per guidarli nel cammino verso la civiltà e la democrazia. Pensieri come quelli espressi ancora da Cortese nelle Riflessioni sulla giustizia (ESI, 1992), ampia  raccolta di articoli di vario argomento (dalla libertà di stampa ai temi della giustizia e della criminalità, alla corruzione, al terrorismo, alla scuola come strumento preventivo da utilizzare contro il dilagare della delinquenza) apparsi su diversi quotidiani italiani. “Non è difficile cogliere il filo conduttore – scrive Gian Domenico Pisapia nella Prefazione – che caratterizza il pensiero dell’Autore. Sia che si occupi, infatti, della colpa professionale o della responsabilità dei giudici, della tutela del segreto professionale o della riforma del processo penale, è agevole risalire alle scelte ideologiche sottostanti. La cultura garantista è, per l’Autore, un presupposto essenziale dello Stato di diritto e tutela tanto la libertà quanto la certezza del diritto. A confutazione di certe critiche ricorrenti, dovute spesso a superficialità più che ad ignoranza, Cortese chiarisce che ‘il garantismo non coincide con il permissivismo e che anzi, è esattamente l’opposto, perché significa semplicemente rispetto della legge. Esso, pertanto, non solo non è compatibile con le esigenze di difesa sociale, ma è, anzi, in antitesi solo con l’arbitrio .’”

L’ultimo saggio segnalato in questo Quaderno affronta in maniera accurata la questione dei principi dello Stato di diritto (Per i principi dello Stato di diritto, ESI 1994) e Alfredo Biondi che ne ha curato l’Introduzione definisce questa sorta di elegante pamphlet insieme “una denuncia e un invito: una denuncia perché mette in luce la necessità di arginare il rischioso vezzo di sostituire al dialogo, al dibattito delle idee, benché serrato e perfino pungente, la pregiudiziale di schieramento. (…) Si tratta, poi, di un invito perché Cortese ha voluto raccogliere  in un unico volume decine di suoi interventi e riflessioni sparse nell’arco di vari anni della sua purtroppo breve esistenza”.

Dunque un invito a ricordare, quello di Roberto prima che scrupolosamente raccoglie idee, articoli, stralci di pensiero per dar loro forma unitaria nei volumi pubblicati in vita, e quello della Fondazione Cortese poi che pubblica, a quasi dieci anni dalla morte di Roberto, questo terzo Quaderno per continuare a ricordare, per non smarrire la memoria della persona e del suo pensiero limpido, coerente, appassionato. Un invito, inoltre, a riflettere sui  temi sempre attuali sui quali Roberto Cortese, e prima suo padre Guido, si era soffermato, sui quali aveva acutamente ragionato per raccogliere in poche pagine il senso di una vita trascorsa ad infondere nella professione di avvocato e di politico il suo liberalismo vivido, equilibrato, concreto.