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Pietro Metastasio

L'isola disabitata

 

Fonti

Pietro Metastasio, Tutte le opere, a cura di B.Brunelli, Milano, Mondadori, 1943-1954.
Pietro Metastasio, Opere, a cura di M.Fubini, Milano-Napoli, Ricciardi, 1968.
 

L'autore

Pietro Trapassi / Metastasio (Roma, 1698 - Vienna, 1782) è autore di poesie liriche e numerosi melodrammi, fra cui: Didone abbandonata (1724), Olimpiade (1731), La clemenza di Tito (1734) e Attilio Regolo (1740). Biografia: G.Natali, La vita e le opere di Pietro Metastasio, Livorno, Giusti, 1923.
 

Il testo

Questo breve pezzo teatrale (poi messo in musica, fra gli altri, da J.Haydn) può essere considerato come una riformulazione galante del modello fiabesco e, per certi versi, del mito di Orfeo ed Euridice. I motivi principali della fiaba ci sono tutti: dal viaggio, alla morte simbolica, alla resurrezione, al trionfo finale del bene. Così come si ritrovano alcuni nuclei narrativi del mito orfico: la separazione dei giovani sposi, il viaggio dello sposo, il ritrovamento dell'amata.
    Ma il tutto è stato in qualche modo semplificato e addomesticato, la discesa agli inferi è appena tratteggiata, l'esperienza dell'abbandono e della solitudine è già in qualche modo esaurita, così che alla fine rimane la "favola bella", una vicenda rassicurante in cui il percorso iniziatico è soltanto abbozzato e in cui, rovesciando l'esito del racconto di Orfeo, risalta, in una sorta di apoteosi, il lieto fine. L'esperienza simbolica della vita, in sostanza, appare fortemente deformata da una visione utopica dei rapporti umani che, nella costruzione musicale del testo, nel ritmo veloce delle frasi, nel tono retorico estremamente formalizzato, assume la forma di un blando rito magico propiziatorio, volto a esorcizzare il dolore dell'esistenza.
    Se ci è consentita una riflessione generale, vorremmo dire questo: in un testo letterario in cui sia rilevabile una vicenda narrativa, la presenza o l'assenza di certi motivi possono dare un'idea di come un autore o persino un'intera cultura interpretino l'animo umano. Nell'età del rococò e dell'Arcadia, probabilmente, quando anche certe tragedie shakespeariane venivano rielaborate in modo da farle finir bene, quando anche le frequentissime bizzarrie del caso sembravano seguire codici di occorrenza e convenienza, mal si tollerava di rappresentare la parte buia dell'anima. Così che la letteratura veniva spesso ad avere una funzione esorcistica o addirittura consolatoria, lasciando in secondo piano la funzione conoscitiva. [P.P.]

 

Questa azione teatrale fu scritta dall'autore in Vienna l'anno 1752, per la real corte cattolica, dove venne magnificamente rappresentata la prima volta con musica del Bonno, sotto la direzione del celebre cavalier Brioschi.

ARGOMENTO

Navigava il giovane Gernando colla sua giovanetta sposa Costanza e con la piccola Silvia, ancora infante, di lei sorella, per raggiungere nell'Indie Occidentali il suo genitore, a cui era commesso il governo di una parte di quelle; quando da una lunga e pericolosa tempesta fu costretto a discendere in un'isola disabitata per dar agio alla bambina ed alla sposa di ristorarsi in terra delle agitazioni del mare. Mentre queste placidamente riposavano in una nascosta grotta, che loro offerse comodo ed opportuno ricetto, l'infelice Gernando con alcuni de' suoi seguaci fu sorpreso, rapito e fatto schiavo da una numerosa schiera di pirati barbari, che ivi sventuratamente capitarono. I suoi compagni, che videro dalla nave confusamente il tumulto, e crederono rapite con Gernando la bambina e la sposa, si diedero ad inseguire i predatori; ma, perduta in poco tempo la traccia, ripresero sconsolati il loro interrotto cammino. Desta la sventurata Costanza, dopo aver cercato lungamente in vano lo sposo e la nave, che l'avea colà condotta, si credé, come Arianna, tradita ed abbandonata dal suo Gernando. Quando i primi impeti del suo disperato dolore cominciarono a dar luogo al naturale amor della vita, si rivolse ella, come saggia, a cercar le vie di conservarsi in quella abbandonata segregazion de' viventi; ed ivi dell'erbe e delle frutte, onde abbondava il terreno, si andò lunghissimo tempo sostenendo con la picciola Silvia, ed inspirando l'odio e l'orrore da lei concepito contro tutti gli uomini all'innocente, che non li conosceva. Dopo tredici anni di schiavitù, riuscì a Gernando di liberarsi. La prima sua cura fu di tornare a quell'isola, dove avea involontariamente abbandonata Costanza, benché senz'alcuna speranza di ritrovarla in vita.

L'inaspettato incontro de' teneri sposi è l'azione che si rappresenta.