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Su
Cenni biografici e testo
Libretto

  

 

INTERLOCUTORI
Costanza, moglie di Gernando.
Silvia, di lei sorella minore.
Enrico, compagno di Gernando.
Gernando, consorte di Costanza.

SCENA PRIMA

[Parte amenissima di picciola e disabitata isoletta a vista del mare, ornata distintamente dalla natura di strane piante, di capricciose grotte e di fioriti cespugli. Gran sasso molto innanzi dal destro lato, sul quale si legge impressa un'iscrizione non finita in caratteri europei.]

[Costanza, vestita a capriccio di pelli, di fronde e di fiori, con elsa e parte di spada logora alla mano, in atto di terminare l'imperfetta iscrizione.]

COSTANZA
Qual contrasto non vince
L'indefesso sudor! Duro è quel sasso,
L'istromento è mal atto,
Inesperta la mano; e pur dell'opra
Eccomi al fin vicina. Ah sol concedi
Ch'io la vegga compita,
E da sì acerba vita
Poi mi libera, o Ciel. Se mai la sorte
Ne' dì futuri alcun trasporta a questo
Incognito terreno,
Dirà quel marmo almeno
Il mio caso funesto e memorando.
[Legge l'iscrizione.]
"Dal traditor Gernando
Costanza abbandonata i giorni suoi
In questo terminò lido straniero.
Amico passeggiero,
Se una tigre non sei,
O vendica o compiangi..." i casi miei.
Questo sol manca. A terminar s'attenda
Dunque l'opra che avanza
[Torna al lavoro.]

 

SCENA SECONDA
[Silvia frettolosa ed allegra, e detta.]

SILVIA
Ah germana! Ah Costanza!

COSTANZA
Che avvenne, o Silvia? Onde la gioia?

SILVA
    Io sono
Fuor di me di piacer.

COSTANZA
    Perché?

SILVIA
        La mia
Amabile cervetta,
In van per tanti dì pianta e cercata,
Da se stessa è tornata.

COSTANZA
    E ciò ti rende
Lieta così?

SILVIA
    Poco ti pare? E' quella
La mia cura, il sai pur, la mia compagna,
La dolce amica mia. M'ama, m'intende,
Mi dorme in sen, mi chiede i baci, è sempre
Dal mio fianco indivisa in ogni loco:
La perdei; la ritrovo; e ti par poco?

COSTANZA
Che felice innocenza! [Torna al lavoro.]

SILVIA
    E ho da vederti
Sempre in pianti, o germana?

COSTANZA
    E come il ciglio
Mai rasciugar potrei?
Già sette volte e sei
L'anno si rinnovò, da che lasciata
In sì barbara guisa,
Da' viventi divisa,
Di tutto priva e senza speme oh Dio!
Di mai tornar su la paterna arena,
Vivo morendo; e tu mi vuoi serena?

SILVIA
Ma per esser felici
Che manca a noi? Qui siam sovrane. E' questa
Isoletta ridente il nostro regno;
Sono i sudditi nostri
Le mansuete fiere. A noi produce
La terra, il mar. Dalla stagione ardente
Ci difendon le piante, i cavi sassi
Dalla fredda stagion; né forza o legge
Qui col nostro desio mai non contrasta.
Or di', che basterà, se ciò non basta?

COSTANZA
Ah tu del ben, che ignori,
La mancanza non senti. Atta del labbro
A far uso non eri, o del pensiero,
Quando qui si approdò; né d'altro oggetto
Che di ciò che hai presente,
Serbi le tracce in mente. Io, ch'era allora
Quale or tu sei, paragonar ben posso,
Oh memoria molesta!
Con quel ben che perdei, quel che mi resta.

SILVIA
Spesso esaltar t'intesi
Le ricchezze, il saper, l'arti, i costumi,
Le delizie europee; ma con tua pace
Questa assai più tranquillità mi piace.

COSTANZA
Silvia, v'è gran distanza
Dall'udire al veder.

SILVIA
    Ma pur le belle
Contrade, che tu vanti,
D'uomini son feconde; e questi sono
La spezie de' viventi
Nemica a noi. Tu mille volte e mille
Non mi dicesti...

COSTANZA
    Ah sì, tel dissi, e mai
Non tel dissi abbastanza. Empi, crudeli,
Perfidi, ingannatori,
D'ogni fiera peggiori,
Che sia pietà non sanno;
Non conoscon, non hanno
Né amor, né fé, né umanità nel seno. [Piange.]

SILVIA
E ben, da lor qui siam sicure almeno.
Ma... tu piangi di nuovo! Ah no, se m'ami,
Non t'affligger così. Che far poss'io,
Cara, per consolarti? [La prende per mano.]
Brami la mia cervetta? Asciuga il pianto,
E in tuo poter rimanga.

COSTANZA
Ah troppo, o Silvia mia, giusto è ch'io pianga.
[Abbracciandola.]
Se non piange un infelice,
Da' viventi separata,
Dallo sposo abbandonata,
Dimmi, oh Dio, chi piangerà?
Chi può dir ch'io pianga a torto,
Se né men sperar mi lice
Questo misero conforto
D'ottener l'altrui pietà. [Parte.]

[Alla replica dell'Aria si vede passar di lontano a vele gonfie una nave, dalla quale scendono sul palischermo Gernando ed Enrico in abito indiano, che sbarcan poi sul lido.]

 

SCENA TERZA
[Silvia sola.]

SILVIA
Che ostinato dolor! Quel pianger sempre
Mi fa sdegno e pietà. Prego, consiglio,
Sgrido, accarezzo, ed ogni sforzo è vano.
Ma l'enigma più strano è che, qualora
Consolarla desio,
Il suo pianto s'accresce, e piango anch'io.
Seguiamo almeno i passi suoi...
[Nel voler partire s'avvede della nave.]
    Ma... quale
Sorge colà sul mar mole improvvisa?
Uno scoglio non è. Cangiar di loco
Un sasso non potrebbe. E un sì gran mostro
Come va sì leggier! L'acqua divisa
Fa dietro biancheggiar! Quasi nel corso
Allo sguardo s'invola:
Porta l'ali sul dorso, e nuota, e vola!
A Costanza si vada:
Ella saprà se un conosciuto è questo
Abitator dell'elemento infido;
E almen...
[Nel partire vede non veduta Gernando ed Enrico.]
    Misera me! Gente è sul lido.
Che fo? Chi mi soccorre? Ah... di spavento
Così... son io ripiena...
Che a fuggir... che a celarmi... ho forza appena.
[Si nasconde fra' cespugli.]

 

SCENA QUARTA
[Gernando, Enrico in abito indiano dal palischermo, e Silvia in disparte.]

ENRICO
Ma sarà poi, Gernando,
Questo il terren che cerchi?

GERNANDO
    Ah sì; nell'alma
Dipinto mi restò per man d'amore,
E co' palpiti suoi l'afferma il core.

SILVIA
(Potessi almen veder quei volti.)

ENRICO
    E' molto
Facile errar.

GERNANDO
    No, caro Enrico; è desso:
Riconosco ogni sasso. Ecco lo speco,
Dove in placido obblio con Silvia in braccio
Lasciai l'ultima volta
La mia sposa, il mio ben, l'anima mia,
E mai più non la vidi. Ecco ove fui
Da' pirati assalito:
Qua mi trovai ferito;
Là mi cadde l'acciaro. Ah caro amico,
Ogn'indugio è delitto;
Andiam. Tu da quel lato,
Da questo io cercherò. L'isola è angusta;
Smarrirci non possiam. Poca speranza
Ho di trovar Costanza;
Ma l'istesso terreno,
Ch'è tomba a lei, sarà mia tomba almeno.
[Parte.]

 

SCENA QUINTA
[Enrico, e Silvia in disparte.]

SILVIA
(Nulla intender poss'io.)

ENRICO
    Tenero in vero
E' il caso di Gernando. Appena è sposo,
Dee con la sua diletta
Fidarsi al mar. Fra gl'inquieti flutti
Languir la vede; a ristorarla in questa
Spiaggia discende; ella riposa, ed egli
Da barbari rapito,
Tratto a contrade ignote,
In servitù vive tant'anni, e senza
Notizia più del sospirato oggetto.

SILVIA
(Pur si rivolse al fin. Che dolce aspetto!)

ENRICO
Parla a ciascun l'umanità per lui,
L'obbligo a me. La libertà gli deggio,
Primo dono del Ciel. Spietato ogni altro
Sarebbe; ingrato io sono,
Se manco a lui. D'abborrimento è degna
Ogni anima spietata;
Ma l'orror de' viventi è un'alma ingrata.
Benché di senso privo,
Fin l'arboscello è grato
A quell'amico rivo
Da cui riceve umor.
Per lui di frondi ornato
Bella mercé gli rende,
Quando dal sol difende
Il suo benefattor.
[Parte.]

 

SCENA SESTA
[Silvia sola.]

SILVIA
Che fu mai quel ch'io vidi!
Un uom non è: gli si vedrebbe in volto
La ferocia dell'alma. Empi, crudeli
Gli uomini sono, e di ragione avranno
Impresso nel sembiante il cor tiranno.
Una donna né pure: avvolto in gonna
Non è, come noi siam. Qualunque ei sia,
E' un amabile oggetto. Alla germana
A dimandarne andrò... Ma il piè ricusa
D'allontanarsi. Oh stelle!
Chi mi fa sospirar? Perché sì spesso
Mi batte il cor? Sarà timor. No; lieta
Non sarei, se temessi. E' un altro affetto
Quel non so che, che mi ricerca il petto.
Fra un dolce deliro
Son lieta e sospiro:
Quel volto mi piace,
Ma pace non ho.
Di belle speranze
Ho pieno il pensiero;
E pur quel ch'io spero
Conoscer non so.
[Parte.]

 

SCENA SETTIMA
[Gernando solo affannato, indi Enrico.]

GERNANDO
Ah presaga fu l'alma
Di sue sventure. In van m'affretto; in vano
Cerco, chiamo, m'affanno: un'orma, un segno
Dell'idol mio non trovo. Ov'è l'amico?
Forse ei più fortunato... Enrico... Enrico?
Cerchisi... Oh Dio, non posso: oh Dio, m'opprime
La stanchezza e il dolor! Là su quel sasso
Si respiri e si attenda...
[Nell'appressarsi Gernando vede l'iscrizione.]
Come! Note europee? Stelle! Il mio nome!
Chi ve l'impresse e quando? [Legge.]
"Dal traditor Gernando
Costanza abbandonata i giorni suoi
In questo terminò lido straniero..."
Io manco. [S'appoggia al sasso.]

ENRICO
    Ah mi conforta.
Sai Costanza ove sia?

GERNANDO
[Appoggiato al sasso.] Costanza è morta.

ENRICO
Come!

GERNANDO
    Leggi. [Accennando l'iscrizione.]

ENRICO
        Infelice! [Legge piano le prime parole, e poi esclama.]
            "I giorni suoi
In questo terminò lido straniero.
Amico passeggiero,
Se una tigre non sei,
O vendica o compiangi..." Appien compita
L'opra non è.

GERNANDO
    Non le bastò la vita. [Cade piangendo sul sasso.]

ENRICO
Oh tragedia funesta! Ah piangi, amico;
Le lagrime son giuste. Io t'accompagno,
T'accompagnano i sassi. Unico in tanto
Dolor, ma gran conforto, è che rimorsi
Almen non hai. Facesti
Quanto da un uom richiede
E l'amore e la fede,
E la ragione e l'onestà. Non piacque
Al Ciel di secondarti. Or non ti resta
Che piegar, come pio, la fronte umile
Ai decreti supremi; e, come saggio,
Abbandonar questa crudel contrada.

GERNANDO
Abbandonarla! E dove vuoi ch'io vada?
Ove speri ch'io possa
Più riposo trovar! Questo è il soggiorno,
Che il Ciel mi destinò.

ENRICO
    Ma che pretendi?

GERNANDO
Respirar, fin ch'io viva,
Sempre quell'aure istesse,
Che il mio ben respirò: di questi oggetti
Nutrire il mio tormento;
Tornare ogni momento
Questo sasso a baciar; viver penando;
Compire il mio destino
Col suo nome fra' labbri, a lei vicino.

ENRICO
Ah Gernando, ah che dici!
E la patria? E gli amici?
E il vecchio genitor?...

GERNANDO
    L'ucciderei
Se in questo stato io mi mostrassi a lui.
Va'; per me tu l'assisti:
Mi fido di te. Se del mio caso ei chiede,
Raddolcisci narrando il caso mio.

ENRICO
E tu speri ch'io possa...

GERNANDO
    Amico, addio.
Non turbar quand'io mi lagno,
Caro amico, il mio cordoglio:
Io non voglio altro compagno
Che il mio barbaro dolor.
Qual conforto in questa arena
Un amico a me saria?
Ah la mia nella sua pena
Renderebbesi maggior! [Parte.]

 

SCENA OTTAVA
[Enrico solo.]

ENRICO
Non s'irriti fra' primi
Impeti il suo dolor. Merita il caso
Questo riguardo; e s'ei persiste, a forza
Quindi svellerlo è d'uopo. Olà. Dovrebbe
Colà sul palischermo alcun de' nostri
Trovarsi pure. Olà. [Escono due marinari.]
    Conviene, amici,
Rapir Gernando. Ei di dolore insano
Non vuol con noi partir. V'è noto il sito,
Dove colà fra' sassi
Scorre limpido un rio? Selvoso è il loco,
E all'insidie opportuno. Ivi nascosti,
Ch'egli passi aspettate,
E alla nave il traete. Udiste? Andate.
[Partono i marinari.]

 

SCENA NONA
[Enrico innanzi dalla sinistra, Silvia indietro dal medesimo lato, avanzandosi verso la destra senza vederlo.]

SILVIA
Dov'è Costanza? Io non la trovo. A lei
Tutto narrar vorrei.

ENRICO
[Enrico la sente e si rivolge.] Che miro! Ascolta,
Bella ninfa.

SILVIA
    Ah di nuovo
Tu sei qui! [In atto di fuggire.]

ENRICO
    Perché fuggi? Odi un momento.

SILVIA
Che vuoi da me? [Dalla scena.]

ENRICO
    Solo ammirarti, e solo
Teco parlar.

SILVIA
    Prometti
Di parlarmi da lungi. [Dalla scena.]

ENRICO
    Io lo prometto.
(Che sembiante gentil!) [Scostandosi.]

SILVIA
[Avvicinandosi.] (Che dolce aspetto!)

ENRICO
Ma di tanto spavento
Qual cagione in me trovi? Al fin non sono
Un aspide, una fiera. Un uomo al fine
Render non ti dovria così smarrita.

SILVIA
Un uom sei dunque? [Turbandosi.]

ENRICO
    Un uom.

SILVIA
[Fugge spaventata.] Soccorso! Aita!

ENRICO
Ferma. [La raggiunge e la trattiene.]

SILVIA
    Pietà, mercé! Nulla io ti feci:
Non essermi crudel. [Inginocchiandosi.]

ENRICO
[La solleva.] Deh sorgi, o cara:
Cara, ti rassicura. Ah mi trafigge
Quell'ingiusto timore.

SILVIA
(Ch'io mi fidi di lui mi dice il core.)

ENRICO
Di', se cortese sei, come sei bella,
La povera Costanza
Dove, quando restò di vita priva?

SILVIA
Costanza? Lode al Ciel, Costanza è viva.

ENRICO
Viva! Ah, Silvia gentil, ché al sito, agli anni
Certo Silvia tu sei, corri a Costanza.
A Gernando io frattanto...

SILVIA
    Ah dunque è teco
Quel crudel, quell'ingrato?

ENRICO
Chiamalo sventurato,
Ma non crudele. Ah, non tardar: sarebbe
Tirannia differir le gioie estreme
Di due sposi sì fidi.

SILVIA
    Andiamo insieme.

ENRICO
No; se insieme ne andiam, bisogna all'opra
Tempo maggior. Va'. Qui con lei ritorna;
Con lui qui tornerò. [In atto di partire.]

SILVIA
    Senti: e il tuo nome?

ENRICO
Enrico. [Come sopra.]

SILVIA
    Odimi. Ah troppo [Con affetto.]
Non trattenerti.

ENRICO
    Onde la fretta, o cara?

SILVIA
Non so. Mesta io mi trovo
Subito che mi lasci; e in un momento
Poi rallegrar mi sento, allor che torni.

ENRICO
Ed io teco vivrei tutti i miei giorni. [Parte.]

 

SCENA DECIMA
[Silvia sola.]

SILVIA
Che mai m'avvenne! Ei parte,
E mi resta presente? Ei parte, ed io
Pur sempre col pensier lo vo seguendo?
Perché tanto affannarmi? Io non m'intendo.
Non so dir se pena sia
Quel ch'io provo, o sia contento;
Ma se pena è quel ch'io sento,
Oh che amabile penar!
E' un penar, che mi consola,
Che m'invola ogni altro affetto,
Che mi desta un nuovo in petto,
Ma soave palpitar. [Parte.]

 

SCENA UNDICESIMA
[Costanza sola.]

COSTANZA
Ah che in van per me pietoso
Fugge il tempo e affretta il passo:
Cede agli anni il tronco, il sasso;
Non invecchia il mio martìr.
Non è vita una tal sorte;
Ma sì lunga è questa morte,
Ch'io son stanca di morir.
[Finita la seconda parte dell'Aria, s'abbandona a sedere sopra un tronco alla sinistra, e ripete sedendo la prima parte.]
Giacché da me lontana
L'innocente germana
Mi lascia in pace, al doloroso impiego
Torni la man. [Torna al lavoro.]

 

SCENA DODICESIMA
[Gernando e detta.]

GERNANDO
    Giacché il pietoso amico [Senza veder Costanza.]
Lungi ha rivolto il passo,
Quell'adorato sasso
Si torni a ribaciar. Ma... Chi è colei? [La vede.]
Donde venne? Che fa?

COSTANZA
    Tu sudi, e forse
Resterà sempre ignoto,
Infelice Costanza, il tuo lavoro.

GERNANDO
Costanza! Ah sposa!
[L'abbraccia: Costanza si rivolge e lo riconosce.]

COSTANZA
Ah traditore! Io moro. [Sviene sopra il sasso.]

GERNANDO
Mio ben! Non ode. Oh Dio!
Perdé l'uso de' sensi. Ah qualche stilla
Di fresco umor... Dove potrei... Sì; scorre
Non lungi un rio; poc'anzi il vidi... E deggio
L'idol mio così solo
Abbandonar? Ritornerò di volo. [Parte in fretta.]

 

SCENA TREDICESIMA
[Enrico, e Costanza svenuta.]

ENRICO
Ignora il caro amico
Le sue felicità. Da me s'asconde;
Rinvenirlo non so... Ma su quel sasso
Una ninfa riposa! [S'appressa e l'osserva.]
Silvia non è; dunque è Costanza. Oh come
Ha pien di morte il volto!

COSTANZA
[Comincia a rinvenire.] Aimè!

ENRICO
        Costanza?

COSTANZA
Lasciami. [Senza guardarlo.]

ENRICO
    Ah del tuo sposo
Vivi all'amor verace.

COSTANZA
Lasciami, traditor, morire in pace. [Come sopra.]

ENRICO
Io traditor! Non mi conosci.

COSTANZA
    Oh stelle!
[Si rivolge, e lo guarda con ammirazione e spavento.]
Gernando ov'è? Tu non sei più l'istesso?
Ho sognato poc'anzi, o sogno adesso?

ENRICO
Non sognasti, e non sogni. Il tuo Gernando
Vedesti, a quel che ascolto:
Di lui l'amico or vedi.

COSTANZA
E mi ritorna innanzi? Ei che ha potuto
Lasciarmi in abbandono!

ENRICO
    Ah l'infelice
Non ti lasciò, ma fu rapito.

COSTANZA
    Quando?

ENRICO
Quando immersa nel sonno
Tu colà riposavi. [Accennando la grotta.]

COSTANZA
Chi lo rapì?

ENRICO
    Di barbari pirati
Un assalto improvviso. Ei si difese,
Ma, nella man ferito,
Perdé l'acciaro; il numero l'oppresse,
E restò prigionier.

COSTANZA
    Ma sino ad ora...

ENRICO
Ma sino ad or non ebbe
Libero che il pensiero; e a te vicino
Col suo pensier fu sempre.

COSTANZA
    Oh Dio, qual torto,
Mio Gernando, io ti feci!

ENRICO
    Eccolo al fine
Sciolto da' lacci: eccolo a te. Ritorna
Fido e tenero sposo
A renderti il riposo,
A calmare il tuo pianto,
A viver teco ed a morirti accanto.

COSTANZA
Ah mio Gernando, ah dove sei?
[Incamminandosi alla sinistra.]

 

SCENA ULTIMA
[Silvia dalla destra e detti; indi Gernando dal lato medesimo.]

SILVIA
    Costanza,
Costanza? Il tuo Gernando
In van cerchi colà. Per te poc'anzi
Quinci al fonte affrettossi, ed assalito
[Accennando alla destra.]
Ritornar non poté.

COSTANZA
    Stelle! Assalito?
Da chi? Perché?

ENRICO
    Perdona;
Il fallo è mio. Perch'ei ti tenne estinta,
E qui restar volea, rapirlo a forza
A' nostri imposi.

COSTANZA
    Andiamo
A toglierlo d'impaccio. [Vuol partire.]

SILVIA
    Aspetta: io tutto
Già lor spiegai.

COSTANZA
    Che aspetti ancor? Tant'anni
Non attesi abbastanza? E' tempo, è tempo
Che di mia sorte amara
Io trovi il fine.
[Rivolgendosi per partire si trova fra le braccia di Gernando.]

GERNANDO
    In queste braccia, o cara.

COSTANZA
Ed è vero?

GERNANDO
    E non sogno?

COSTANZA
Gernando è meco?

GERNANDO
    Ho la mia sposa accanto?

ENRICO
Quegli amplessi, quel pianto,
Quegli accenti interrotti
Mi fanno intenerir.

SILVIA
[Va ad Enrico.] Che pensi, Enrico?
Di te Gernando è più gentile. Osserva
Com'ei parla a Costanza;
E tu nulla mi dici.

ENRICO
    Eccomi pronto,
Se pur caro io ti sono,
A dir ciò che tu vuoi.

SILVIA
[Tenera e lieta molto.] Se mi sei caro?
Più della mia cervetta.

ENRICO
    E ben mi porgi
Dunque la man: sarai mia sposa.

SILVIA
    Io sposa?
Oh questo no. Sarei ben folle. In qualche
Isola resterei
A passar solitaria i giorni miei.

COSTANZA
No, Silvia, il mio Gernando
Non mi lasciò: tutto saprai. Non sono
Gli uomini, come io dissi,
Inumani ed infidi.

SILVIA
Quando Enrico conobbi, io me ne avvidi.

COSTANZA
A torto gli accusai. Dell'error mio
Or mi disdico.

SILVIA
    E mi disdico anch'io. [Porgendo la mano ad Enrico.]

 

CORO
Allor che il ciel s'imbruna
Non manchi la speranza
Fra l'ire del destin.
Si stanca la Fortuna;
Resiste la Costanza;
E si trionfa al fin.

 

Jacopo Peri (1561-1633)

EURIDICE

Favola in Musica

su testo di Ottavio Rinuccini

 

 

Prologo

 

La Tragedia  

Io che d'alti sospir vaga e di pianti

Spars'hor di doglia hor di minaccie il volto

Fei negli ampi teatri al popol folto

Scolorir di pietà volti e sembianti.

 

Non sangue sparso d'innocenti vene,

Non ciglia spente di tiranno insano,

Spettacolo infelice al guardo umano

Canto su meste, e lagrimose scene.

 

Lungi via lungi pur da regi tetti

Simulacri funesti ombre d'affanni

Ecco i mesti coturni, e i foschi panni

Cangio e desto nei cor più dolci affetti

 

Hor s'avverrà, che le cangiate forme

Non senz'alto stupor la terra ammiri

Tal ch'ogni alma gentil ch'Apollo inspiri

Del mio novo cammin calpesti l'orme

 

Pastore del coro

Ninfe ch'i bei crin d'oro

Sciogliete liete à lo scherzar de'venti

E voi ch'almo tesoro

Dentro chiudete à bei rubini ardenti

E voi ch'à l'Alba in ciel togliete i vanti

Tutte venite, ò Pastorelle amanti;

E per queste fiorite alme contrade

Risuonin liete voci, e lieti canti:

Oggi à somma beltate

Giunge sommo valor santo Imeneo.

Avventuroso Orfeo

Fortunata Euridice

Pur vi congiunse il Ciel, o dì felice

 

Ninfa del coro

Raddoppia e fiamme e lumi

Al memorabil giorno, Febo,

Ch'il carro d'or rivolgi intorno

 

Pastore dei coro

E voi celesti Numi

Per l'alto Ciel con certo moto erranti,

Rivolgete sereni Di pace, e d'amor pieni

Alle bell'alme i lucidi sembianti

 

Ninfa del coro

Vaghe Ninfe amorose

Inghirlandate il crin d'alme viole

Dite liete e festose:

Non vede un simil par d'amanti il Sole

 

Coro

Non vede un simil par d'amanti il Sole

 

Euridice

Donne ch'a miei diletti

Rasserenate sì lo sguardo, e'l volto

Che dentro à vostri petti

Tutto rassembr'il mio gioir raccolto

Deh come lieta ascolto

I dolci canti, e gli amorosi detti

D'amor di cortesia graditi affetti.

 

Ninfa del coro

Qual in sì rozzo core

Alberga alma sì fèra, alma sì dura

Che di sì bell'amor l'alta ventura

Non colmi di diletto, e di dolcezza

 

Aminta

Credi Ninfa gentile,

Pregio d'ogni bellezza,

Che non è fera in bosco, augello in fronda

O muto pesce in onda,

Ch'oggi non formi e spiri

Dolcissimi d'amor sensi, e sospiri.

Non pur son liete l'alme e lieti i cori

De' vostri dolci amori.

 

Euridice

In mille guise, e mille

Crescon le gioie mie dentr'al mio petto

Mentr'ogn'una di voi par che scintille

Dal bel guardo seren gioia, e diletto;

Ma, deh, compagne amate,

Là tra quell'ombre grate

Movian di quel fiorito almo boschetto

E quivi al suon de' limpidi cristalli

Trarren liete caròle e lieti balli.

 

Ninfa del coro

Itene liete pur, noi qui fra tanto

Che sopraggiunga Orfeo

L'ore trapasseren con lieto canto

 

Coro

Al canto, al ballo, all'ombra, al prato adorno

Alle bell'onde liete

Tutti o pastor correte

Dolce cantando in sì beato giorno.

 

Ninfa del coro

Selvaggia Diva e boscherecce ninfe,

Satiri e voi silvani

Reti lasciate e cani

Venite al suon delle correnti linfe.

 

Coro

Al canto....

 

Aminta

Bella madre d'amor, da l'alto coro

Scendi ai nostri diletti

E coi bei pargoletti

Fendi le nubi e il ciel con l'ali d'oro

 

Coro

Al canto....

 

Dafne

Corrin di puro latte e rivi, e fiumi

Di mel distilli e manna

Ogni selvaggia canna

Versate ambrosia e voi celesti numi

 

Orfeo

Antri, ch'a miei lamenti

Rimbombaste dolenti,

Amiche piagge,

E voi, piante selvagge,

Che alle dogliose rime

Piegaste per pietà l'altere cime,

Non fia più, no, che la mia nobile cetra,

Con flebil canto a lagrimar v'alletti.

Ineffabil mercede, almi diletti

Amor cortese oggi al mio pianto impetra.

Ma deh, perchè sì lente

Del bel carro immortal le rote accese

Per l'eterno cammin tardano il corso?

Sferza, Padre cortese,

A' volanti destrier la groppa e il dorso!

Spegni ne l'onde omai,

Spegni o nascondi i fiammeggianti rai!

Bella madre d'amor,

Da l'onde fuora sorgi

E la notte ombrosa

Di vaga luce scintillando indora.

Venga, deh, venga omai la bella sposa

Tra il notturno silenzio e i lieti orrori

A temprar tante fiamme e tanti ardori!

 

Arcetro

Sia pur lodato il ciel, lodato amore,

Che d'allegrezza colmo

Pur ne la fronte un dì ti vidi il core.

 

Orfeo

O mio fedel! Neppur picciola stilla

Agli occhi tuoi traspare

De l'infinito mare

Che di dolcezza Amor nel cor mi stilla.

 

Arcetro

Or non ti riede in mente

Quando fra tante pene

Io ti dicea sovente:

Armati il cor di generosa speme!

Che dei fedeli amanti

Non ponno alfin de le donzelle i cori

Sentir senza pietà le voci e i pianti.

Ecco che ai tuoi dolori

Pur s'ammolliro alfine

Del disdegnoso cor gli aspri rigori.

 

Orfeo

Ben conosco or che tra pungenti spine

Tue dolcissime rose

Amor serbi nascose.

Or veggio, e sento,

Che per farne gioir ne dai tormento.

 

Tirsi

Nel puro ardor della più bella stella

Aurea facella di bel foco accendi

E qui discendi su l'aurate piume

Giocondo nume, e di celeste fiamma

L'anime infiamma.

 

Lieto Imeneo, d'alta dolcezza un nembo

Trabocca in grembo ai fortunati amanti

E tra bei canti di soavi amori

Sveglia nei cori una dolce aura, un riso

Di Paradiso.

 

Arcetro

Deh, come ogni bifolco, ogni pastore,

Ai tuoi lieti imenei

Scopre il piacer ch'entro racchiude il core

 

Tirsi

Del tuo beato amor gli alti contenti

Crescano ognor come per pioggia suole

L'onda gonfiar de' rapidi torrenti.

 

Orfeo

E per te, Tirsi mio, rimeni il sole

Sempre le notti e i dì lieti e ridenti.

 

Dafne

Lassa, che di spavento e di pietade

Gelami il cor nel seno.

Miserabil beltade!

Come in un punto, ohimè, venisti meno.

Ahi, che lampo o baleno

In notturno seren ben ratto fugge!

Ma più rapida l'ale

Affretta umana vita al dì fatale.

 

Arcetro

Ohimè, che fia giammai?

Pur or tutta gioiosa

Al fonte degli allor costei lasciai.

 

Dafne

O giorno pien d'angoscia e pien di guai!

 

Orfeo

Qual così ria novella

Turba il tuo bel sembiante

In così lieto di, gentil donzella?

 

Dafne

O, del gran Febo e delle sacre dive

Pregio sovran, di queste selve onore,

Non chieder la cagion del mio dolore!

 

Orfeo

Ninfa, deh, sì contenta

Ridir perchè t'affanni,

Che taciuto martir troppo tormenta!

 

Dafne

Com'esser può giammai

Ch'io narri e ch'io riveli

Sì miserabil caso?

O fato, o cieli!

Deh, lasciami tacer, troppo il saprai...

 

Arcetro

Di pur: sovente del timor l'affanno

E' dell'istesso mal men grave assai

 

Dafne

Troppo più del timor fia grave il danno!

 

Orfeo

Ah, non sospender più l'alma turbata!

 

Dafne

Per quel vago boschetto

Ove, rigando i fiori,

Lento trascorre il fonte degli allori

Prendea dolce diletto

Con le compagne sue la bella sposa.

Chi violetta o rosa

Per far ghirlanda al crine

Togliea dal prato o dall'acute spine.

Ma la bella Euridice

Movea danzando il più sul verde prato

Quando ahi, ria sorte acerba,

Angue crudo e spietato

Che celato giacea tra i fiori e l'erba

Punsele il piè con sì maligno dente

Che impallidì repente

Come raggio di sol che nube adombri.

E dal profondo core

Come un sospir mortale

Sì spaventoso ohimè sospinse fuore

Che quasi avesser l'ale

Giunse ogni ninfa al doloroso suono.

Et ella in abbandono

Tutta lasciossi allor fra l'altrui braccia.

Spargeva il volto e le dorate chiome

Un sudor vieppiù freddo assai che ghiaccio

Indi si udì il tuo nome

Tra le labbra sonar, fredde e tremanti,

E volti gli occhi al cielo,

Restò tanta bellezza immobil gelo.

 

Arcetro

Che narri! Ohimè, che sento!

Misera ninfa, e più misero amante,

Spettacol di miseria e di tormento!

 

Orfeo

Non piango e non sospiro

Che sospirar, che lagrimar non posso,

Cadavero infelice,

O mio core, o mia speme, o pace, o vita!

Ohimè, chi mi t'ha tolto,

Chi mi t'ha tolto, ohimè, dove sei gita?

Tosto vedrà che invano

Non chiamasti morendo il tuo consorte,

Non son, non son lontano,

Io vengo, o cara vita, o cara morte.

 

Arcetro

Ahi, morte invida e ria!

Così recidi il fior dell'altrui speme,

Così turbi d'amor gli almi diletti!

Lasso, ma indarno ai venti

Ove morte n'assal volan le strida.

Fia più senno il seguirlo acciò non vinto

Da soverchio dolor se stesso uccida.

 

Dafne

Va pur, che ogni dolor si fa men grave

Ove d'amico fido

Reca conforto il ragionar soave

 

Qui tornano le compagne di Euridice

Tirsi

Dunque è pur ver che scompagnate e sole

Tornate, o donne mie,

Senza la scorta di quel vivo sole?

 

Pastore

Sconsolati desir gioie fugaci

O speranze fallaci

E chi creduto avrebbe

In sì breve momento

Veder il Sol d'ogni bellezza spento?

 

Tirsi

Bel dì che in sul mattin sì lieto apristi,

Deh, come avanti sera

nube di duol t'avvolge oscura e nera!

 

Dafne

Cruda morte, ahi pur potesti

Oscurar sì dolci lampi!

Sospirate aure celesti

Lacrimate, o selve, o campi.

Sospirate

 

Coro

Sospirate, aure dolenti.

Lagrimate, o selve, o campi

 

Dafne

Quel bel volto almo fiorito

Onde Amor suo seggio pose

Pur lasciaste scolorito

Senza gigli e senza rose.

Sospirate

 

Coro

Sospirate...

 

Dafne

Fiammeggiar di negre ciglia

C'ogni stella oscura in prova

Chioma d'or, guancia vermiglia

Contro a morte, ohimè, che giova?

Sospirate

 

Coro

Sospirate...

 

Trio

Ben nocchier costante e forte

Sa schernir marino sdegno.

Ahi, fuggir colpo di morte

Già non val mortal disegno.

Sospirate

 

Coro

Sospirate...

 

Arcetro

Se fato invido e rio

Di queste amate piagge ha spento il sole

Donne, ne riconsole!

Che per celeste aita

Il misero pastor rimaso é in vita

 

Dafne

Benigno don degli immortali dei,

Se vive ancor, da tanta angoscia oppresso!

Ma tu, perchè non sei

In sì grand'uopo al caro amico appresso?

 

Arcetro

Con frettoloso passo,

Come tu sai dietro gli tenni: orquando

Da lungi il vidi, che dolente e lasso

Sen gìa com'huom d'ogni allegrezza al bando,

Il corso alquanto allento,

Pur tuttavia da lungi

Tenendo al suo cammin lo sguardo intento.

Et ecco al loco ei giunge

Ove fù morte il memorabil danno.

Ivi, con tanto affanno,

Sì dolenti sospir dal cor gli usciro

Che le fere e le piante, e l'erbe e i fiori

Sospirar seco e lamentar s'udiro.

Et egli: o fere, o piante, o fronde, o fiori

Qual di voi per pietà m'addita il loco

Ove ghiaccio divenne il mio bel foco?

E come porsi il caso o volse il fato

Girando intorno le dolenti ciglia

Scorse sul verde prato

Del bel sangue di lei l'erba vermiglia

 

Dafne

Ahi miserabil vista! Ahi fato acerbo!

 

Arcetro

Sovra il sanguigno smalto

Immobilmente affisse

Le lacrimose luci e il volto esangue,

Indi tremando disse: o sangue

O caro sangue

Del mio ricco tesor misero avanzo!

Deh, con i baci insieme

Prendi dell'alma ancor quest'aure estreme!

E quasi ei fosse d'insensata pietra

Cadde sulle erba. E quivi

Non dirò fonti o rivi

Ma di lacrime amare

Da quegli occhi sgorgar pareva un mare.

 

Dafne

Ma tu, perchè tardavi a darle aita?

 

Arcetro

Io che pensato avea di starmi ascoso

Fin che l'aspro dolor sfogasse alquanto

Quando sul prato erboso

Cader lo viddi, e crescer pianto a pianto

Volsi per sollevarlo. O meraviglia!

Et ecco un lampo ardente

Dall'alto Ciel mi saettò le ciglia.

Allor gli occhi repente

Rivolsi al folgorar del nuovo lume

E sovruman costume

Entro bel carro di zaffir lucente

Donna vidi celeste, al cui sembiante

Si coloriva il ciel di luce e d'oro.

Ivi dal carro scese

L'altera Donna, e con sembiante umano

Candida man per sollevarlo stese.

Al celeste soccorso

La destra ei prese e fe' sereno il viso.

Io di sì lieto avviso

Per rallegrarvi il cor mi diedi al corso.

 

Pastore

A te, qual tu ti sia degli alti Numi,

Che al nobile pastor recasti aita

Mentre avran queste membra e spirto e vita

Canterem lodi ognor tra incensi e fumi.

 

Coro

Se de boschi i verdi onori

Raggirar su nudi campi

Fa stridor d'orrido verno

Sorgon anco, e frond'e fiori

Appressand'i dolci lampi

Della luce il carro eterno.

 

S'al soffiar d'Austro nemboso

Crolla in mar gli scogli alteri

L'onda torbida spumante

Dolce increspa il tergo ondoso

Sciolti i nembi oscuri e feri

Aura tremola, e vagante.

 

Al rotar del Ciel superno

Non pur l'aer, e'l foco intorno

Ma si volge il tutto in giro

Non è il ben, nel pianto eterno

Come or sorge or cade il giorno

Regna qui gioia e martiro.

 

Tirsi

Poi che dal bel sereno

In queste piagge humil tra noi mortali

Scendon gli Dei pietosi a nostri mali,

Pria che Febo nascondi a Teti in seno

I rai lucenti,e chiari,

Al tempio a sacri altari

Andian devoti e con celeste zelo

Alziam le voci e il cor cantando al cielo

 

Coro

Alziam le voci e il cor cantando al Cielo

 

FINE ATTO I

 

 

Venere

Scorto da immortal guida

Arma di speme e di fortezza l'alma

Che avrai di morte ancor trionfo e palma.

 

Orfeo

O Dea, madre d'Amor, figlia al gran Giove,

Che tra cotante pene

Ravvivi il cor con sì soave speme,

Dove mi scorgi, dove

Rivedrò quelle luci alme serene?

 

Venere

L'oscuro varco onde siam giunti a queste

Rive, pallide e meste,

Occhio non vide ancor d'alcun mortale.

Rimira intorno, e vedi

Gli oscuri campi e la città fatale

Del Re che sovra l'ombre ha scettro e regno.

Sciogli il tuo nobil canto

Al suon dell'aureo legno:

Quanto morte t'ha tolto ivi dimora.

Prega, sospira e plora,

Forse avverrà che quel soave pianto

Che mosso ha il Ciel

Pieghi l'Inferno ancora.

 

Venere si parte e lascia Orfeo nell'Inferno

 

Orfeo

Funeste piagge, ombrosi orridi campi,

Che di stelle o di sole

Non vedeste giammai scintille o lampi

Rimbombate dolenti

Al suon delle angosciose mie parole

Mentre con mesti accenti

Il perduto mio ben con voi sospiro.

E voi, deh, per pietà del mio martiro,

Che nel misero cor dimora eterno,

Lagrimate al mio pianto, ombre d'Inferno.

 

Ohimè, che sull'aurora

Giunse all'occaso il sol degli occhi miei!

Misero, e in su quell'ora

Che scaldarmi ai bei raggi io mi credea,

Morte spense il bel lume, e freddo e solo

Restai fra il pianto e il duolo,

Come angue suol in cruda piaggia il verno.

Lagrimate al mio pianto, ombre d'Inferno.

 

E tu, mentre al Ciel piacque,

Luce di questi lumi,

Fatti al tuo dipartir fontane e fiumi,

Che fai per entro i tenebrosi orrori?

Forse t'affliggi e piangi

Líacerbo fato e gli infelici amori.

Deh, se scintilla ancora

Ti scalda il sen di quei sì cari ardori,

Senti mia vita, senti

Quai pianti e quai lamenti

Versa il tuo caro Orfeo dal cor interno

Lagrimate al mio pianto, ombre d'Inferno.

 

Plutone

Ond'è cotanto ardire

Che avanti il dì fatale

Scende ai miei bassi regni un huom mortale?

 

Orfeo

O degli orridi e neri Campi d'inferno,

O dell'altera Dite Eccelso Re

Che alle nude ombre imperi

Per impetrar mercede

Vedovo amante a questo abisso oscuro

Volsi piangendo, e lagrimando il piede

 

Plutone

Si dolci preghi, e sì soavi accenti

Non spargeresti invan, se nel mio regno

Impetrasser mercè pianti, o lamenti

 

Orfeo

Deh, se la bella Diva

Che per l'acceso monte

Mosse a fuggirti invan ritrosa, e schiva

Sempre ti scopri, e giri

Sereni i rai della celeste fronte

Vagliami il dolce canto

Di questa nobil cetra

Ch'io ricovri da te la donna mia

L'alma, deh, rendi a questo sen dolente

Rendi a questi occhi il desiato Sole

A queste orecchie il suono

Rendi delle dolcissime parole

O me raccogli ancora

Tra l'ombre spente ove il mio ben dimore.

 

Plutone

Dentro l'infernal porte

Non lice ad huom mortai fermar le piante

Ben di tua dura sorte

Non so qual nuovo affetto

M'intenerisce il petto.

Ma troppo dura legge

Legge scolpita in rigido diamante

Contrasta ai preghi tuoi misero amante

 

Orfeo

Ahi, che pur d'ogni legge

Sciolto è colui che gli altri affrena, e regge

Ma tu dei mio dolore

Scintilla di pietà non senti al core?

Ahi, lasso, e non rammenti

Come trafigga amor, come tormenti

E pur sul monte dell'eterno ardore

Lagrimasti ancor tu servo d'Amore.

Ma deh, se il pianto mio

Non può nel duro sen destar pietate,

Rivolgi il guardo a quell'alma beltate

Che t'accese nel cor sì bel desio;

Mira signor, deh, mira

Come al mio lagrimar dolce sospira

Tua bella sposa, e come dolci i lumi

Rugiadosi di pianto a me pur gira

Mira signor, deh, mira

Queste ombre intorno, e questi oscuri Numi

Come d'alta pietà vinti al mio duolo

Par che ciascun si strugga, e si consumi

 

Proserpina

O Re nel cui sembiante m'appago sì

Che'l ciel sereno, e chiaro

Con quest'ombre cangiar m'è dolce, e caro

Deh, se gradito amante

Già mai trovasti in questo sen raccolto

Onda soave all'amorosa sete

Se al cor libero, e sciolto

Dolci fur queste chiome e laccio, e rete

Di sì gentile amante acqueta il pianto.

 

Orfeo

A sì soavi preghi

A sì fervido amante

Mercede anco pur nieghi

Che sia però? Se fra tante alme e tante

Riede Euridice à rimirar il Sole

Rimarran queste piagge ignude, e sole?

Ahi, che me seco, e mille e mille insieme

Diman teco vedrai nel tuo gran regno!

Sai pur, che mortai vita all'ore estreme

Vola più ratta, che saetta al segno.

 

Plutone

Dunque dei regno oscuro

Torneran l'anime in ciel, et io

Le leggi spezzerò dei nostro regno

 

Caronte

Sovra l'eccelse stelle

Giove a talento suo comanda, e regge

Nettuno il mar corregge

E muove a suo voler turbi e procelle

Tu sol dentro à confin d'angusta legge

Havrai l'alto governo

Non libero Signor del vasto inferno?

 

Plutone

Romper le proprie leggi è vil possanza

Anzi reca sovente, e biasmo, e danno

 

Orfeo

Ma degli afflitti consolar l'affanno

E' pur di regio cor gentil usanza.

 

Caronte

Quanto rimira il Sol volgendo intorno

La luminosa face,

Al rapido sparir d'un breve

Cade morendo, e fà qua giù ritorno

Fa pur legge, o gran Re, quanto te piace

 

Plutone

Trionfi oggi pietà ne' campi Inferni

E sia la gloria, e'l vanto

Delle lagrime tue, dei tuo bel canto.

O della Reggia mia ministri eterni

Scorgete voi per entro all'aere oscuro

L'amator fido alla sua donna, avante,

Scendi gentil amante

Scendi lieto, e sicuro

Entro le nostre soglie,

E la diletta moglie

Teco rimena al Ciel sereno e puro

 

Orfeo

O fortunati miei dolci sospiri!

O ben versati pianti!

O me felice sopra à gli altri amanti!

 

Coro I

Poi che gi'etern'imperi

Tolto dal ciel Saturno

Partiro i figli alteri

Da quest'orror notturno

Alma non tornò mai

Del Ciel à dolci rai.

 

Coro II

Unqua ne mortal piede

Calpestò nostre arene

Che d'impetrar mercede

Non nacque al mondo speme.

In questo abisso dove

Pietà non punge, e muove.

 

Caronte

Hor di soave Plettro

Armato, e d'aurea cetra,

Con lagrimoso metro,

Canoro amante, impetra

Che il Ciel rivegga, e viva

La sospirata Diva.

 

Coro I

Si trionfàro in guerra

D'Orfeo la cetra, e i canti.

O figli della terra

L'ardir frenate, e i vanti:

Tutti non sète prole

Di lui, che regge il Sole

 

Coro I e II

Scendere al centro oscuro

Forse fia facil opra

Ma quanto, ahi quanto è duro

Indi poggiar poi sopra.

Sol lice alle grand'alme

Tentar sì dubbie palme.

 

FINE ATTO II

 

Arcetro

Già del bel carro ardente

Rotan tepidi rai nel ciel sereno

E già per l'oriente

Sorge l'ombrosa notte e il dì vien meno;

Né fa ritorno Orfeo

Né pur di lui novella anco si sente.

 

Ninfa

Già temer non si dee di sua salute

Se de campi celesti

scender nume divin per lui vedesti

 

Arcetro

Viddilo e so che il ver questi occhi han visto

Né regna alcun timor nel petto mio.

Ma di vederlo men dolente e tristo

Struggemi l'alma e il cor caldo desio.

 

Aminta

Voi che si ratte il volo spiegate aure volanti

Voi de felici a manti

Per queste piagge e quelle

Spargete le dolcissime novelle

 

Ninfa

Ecco il gentil Aminta, tutto ridente in viso:

Forse reca d'Orfeo giocondo avviso

 

Aminta

Se de tranquilli petti

Il seren perturbò nuntia dolente

Messaggero ridente

La torbida tempesta e i foschi orrori

Ecco disgombro E rassereno i cori.

Non più non più lamenti

Dolcissime compagne

Non sia chi più si lagne

Di dolorosa sorte

Di fortuna, o di morte.

Il nostro Orfeo

Il nostro Semideo

Tutto lieto e giocondo

Di dolcezza e di gioia

Nuota in un mar che non ha riva o fondo

 

Ninfa

Come tanto dolore

Quetossi in un momento?

E chi cotanto ardore

In sì fervido cor si presto ha spento?

 

Aminta

Spento è il dolor ma vive

Del suo bel foc'ancor chiar,e lucenti

Splendon le fiamm'ardenti.

La bella Euridice

Che abbiam cotanto sospirato, e pianto

Più che mai bella e viva

Lieta si gode al caro sposo accanto.

 

Arcetro

Vaneggi, Aminta? O pur ne speri

Rallegrar con tai menzogne?

Assai lieti ne fai se n'assicure

Che il misero pastor

Prenda conforto in sì mortal dolore.

 

Aminta

Voi del regno celeste

Voi chiamo testimon superni numi

S'il ver parlo o ragiono!

Vive la bella Ninfa e questi lumi

Pur hor miraro il suo bel viso

E queste orecchie udir

Delle sue voci il suono

 

Arcetro

Quai dolci e care nuove

Ascolto, o dei del cielo!

O sommo Giove!

Ond'è cotanta grazia e tanto dono!

 

Aminta

Quand'al tempio n'andaste io mi pensai

Che opra forse saria non men pietosa

Dell'infelice sposa

Gli afflitti consolar mesti parenti.

E la ratto n'andai

Ove tra schiera di pastori amici

La sventurata sorte

Lagrimavan quei vecchi orbi, e infelici.

Or mentre all'ombra di quell'elce antiche

Che giro al prato fanno

Con dolci voci amiche

Erano intenti a disasprir l'affanno,

Come in un punto appar baleno o lampo

Tal a nostri occhi avanti

Sopraggiunti veggiam gli sposi amanti.

 

Arcetro

O di che bel seren s'ammanta il cielo

Al suon di tue parole

Fulgido più che sul mattin non suole!

E più ride la terra e più s'infiora

Al tramontar del dì che in su l'aurora!

 

Orfeo

Gioite al canto mio, selve frondose!

Gioite amati colli e d'ogni intorno

Ecco rimbombi dalle valli ascose.

 

Risorto è il mio bel sol, di raggi adorno

E coi begli occhi onde fa scorno a Delo

Raddoppia foco all'alme e luce al giorno

E fa servi d'Amor la terra e il cielo.

 

Ninfa

Tu sei, tu sei pur quella

Che in queste braccia accolta

Lasciasti il tuo bel velo alma disciolta?

 

Euridice

Quella, quella son io per cui piangeste!

Sgombrate ogni dolor, donzelle amate.

A che più dubbie, a che pensose state?

 

Ninfa

O sempiterni Dei!

Pur veggio i tuoi bei lumi e il tuo bel viso

E par che anco non creda agli occhi miei.

 

Euridice

Per quest'aer giocondo

E vivo e spiro anch'io

Mirate il mio crin biondo

E del bel volto mio

Mirate, donne, le sembianze antiche,

Riconoscete omai gli usati accenti,

Udite il suon di queste voci amiche.

 

Dafne

Ma come spiri e vivi?

Come oggi nell'Inferno

Spoglian dei pregi suoi gli eterei divi?

 

Euridice

Tolsemi Orfeo dal tenebroso regno.

 

Arcetro

Dunque mortal valor cotanto impetra?

 

Orfeo

Dell'alto don fu degno

Mio donce canto e il suon di questa cetra.

 

Aminta

Come fin giù nei tenebrosi abissi

Tua nobil voce udissi?

 

Orfeo

La bella dea d'amore

Non so per qual sentiero

Scorsemi di Pluton nel vasto impero.

 

Dafne

E tu scendesti nell'eterno orrore?

 

Orfeo

Più lieto assai che in bel giardin donzella

 

Dafne

O magnanimo core!

Ma che non puote Amore!

 

Arcetro

Come quel crudo rege

Nudo d'ogni pietà placar potesti?

 

Orfeo

Modi or soavi or mesti,

Fervidi preghi e flebili sospiri

Temprai sì dolci ch'io

Nell'implacabil cor destai pietate.

Così l'alma beltate

Fu mercè, fu trofeo del canto mio.

 

Aminta

Felice Semideo,

Ben degna prole di lui che su nell'alto

Per celeste sentier rivolge il sole

Rompersi d'ogni pietra il duro smalto

Viddi ai tuoi dolci accenti

E il corso rallentar fiumi e torrenti,

E per udir vicini

Scender dagli alti monti abeti e pini.

Ma vieppiù degno vanto oggi s'ammira

Della famosa lira

Vanto di pregio eterno:

Mover gli Dei del Ciel, placar l'Inferno.

 

Coro

 

Biondo arcier che d'alto monte

Aureo fonte

Sorger fai di sì bell'onda

Ben può dirsi alma felice

Cui pur lice

Appressar l'altera sponda.

 

Ma qual poi del sacro umore

Sparge il core

Tra i mortal può dirsi un Dio

Ei degli anni il volto eterno

Prende a scherno

E la morte e il fosco oblio

 

Se fregiato il crin d'alloro

Bel tesoro

Reca al sen gemmata lira

Farsi intorno alma felice

D'Elicona

L'alte vergini rimira

 

Ma se schiusa a bei desiri

Par che spiri

Tutto sdegno un cor di pietra

Del bel sen l'aspra durezza

Vince e sprezza

Dolce stral di sua faretra.

 

Non indarno a incontrar morte

Pronto e forte

Muove il piè guerriero,o Duce

La 've Clio da nube oscura

Fa secura

L'alta gloria ond'ei riluce.

 

Ma che più se al negro lito

Scende ardito

Sol di cetra armato Orfeo

E del regno tenebroso

Lieto sposo

Porta al Ciel palma e trofeo

 

FINE