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Marsilio La
figura di Marsilio Ficino è storicamente associata all'incarico, affidatogli da
Cosimo de' Medici, di tradurre le opere di Platone, recentemente acquistate in
Grecia. Per poterle tradurre, il nobile mecenate fiorentino mise a disposizione
del letterato una villa presso Firenze che successivamente divenne un luogo di
ferventi incontri culturali: la famosa Accademia Platonica. Marsilio Ficino Lettera a Domenico Beniveni sui
principi della musica traduzione
e note a cura di Andrea Melis Sui
principi della musica Marsilio
Ficino a Domenico Beniveni [1],
filosofo illustre e musico insigne s.d. Platone
[2] ritiene che la musica non sia altro
che consonanza dell'animo, naturale allorché le sue virtù siano consone alle
virtù dell'animo, acquisita allorché le sue
Le
proporzioni Come
ben sai, la proporzione doppia [2:1] è, per i musici, quella principale. Essa
determina il diapason, ovverosia la consonanza perfetta di ottava, che i poeti
designano col nome di Calliope[5]. In secondo luogo vi è la
proporzione sesquialtera [3:2] che determina l'armonia quasi perfetta di
diapente, ovverosia del quinto suono, al cui numero il poeta lirico attribuisce
il nettare di Venere. In terzo luogo la proporzione sesquiquarta [5:4] da cui
scaturisce la dolce armonia del terzo suono, attribuita a Cupido ed Adone[6]. In quarto luogo la proporzione
sesquiterza [4:3] da cui deriva l'armonia del quarto suono, quasi mediana fra la
consonanza e la dissonanza e che fonde alcunché di Marte e di Venere.
Principalmente la terza, la quinta e l'ottava, le più gradevoli fra tutte (le
armonie), ci rammentano le tre Grazie. Le proporzioni ripetute a piacimento al
di sopra della proporzione doppia possono essere ricondotte, per similitudine, a
quelle già elencate. Aggiungo infine la proporzione sesquiottava [9:8] che
genera l'intervallo di tono, e quella più piccola che caratterizza il semitono. E
così, procedendo per gradi secondo questo ordine (i suoni) si susseguono dal più
basso, che Orfeo chiama hypate fino a quello più alto[7],
che egli denomina nete, transitando attraverso i gradi intermedi che lo stesso
Orfeo definisce dorici. In primo luogo vi è il suono più grave che per la
lentezza del movimento cui partecipa sembra quasi esser fermo. Il secondo si
distacca dal primo e pertanto è del tutto dissonante [rispetto ad esso]. Ma il
terzo suono, quasi ritemprato nello spirito, sembra levarsi in alto, e recupera
la qualità consonante. Il quarto si distacca dal terzo ed è lievemente
dissonante, seppure non quanto il secondo, sia perché temperato
dall'amabilissimo appropinquarsi del quinto suono, che gli succede, sia perché
mitigato dalla dolcezza del terzo, che lo precede. Successivamente al tramonto
del quarto suono, risorge il quinto, e sorge in misura ancor più perfetta del
terzo, ed è con questo suono che il movimento ascendente del sorgere raggiunge
il proprio culmine. E del resto, infatti, i Pitagorici ritenevano che
successivamente ad esso, i suoni facessero nuovamente ritorno verso il loro
principio, piuttosto che levarsi ancora. Così il sesto pare riavvicinarsi al
terzo, da cui è composto per raddoppio [della terza], ed è massimamente affine
alla dolcezza del terzo. Quindi il settimo suono fa infelicemente ritorno - e
addirittura ricade scivolando - sul secondo, del quale segue il carattere
dissonante. Infine l'ottavo suono è felicemente ricongiunto al primo, e con
questa reintegrazione, unitamente alla ripetizione del primo suono, esso
conchiude l'intervallo di ottava e completa anche il coro delle nove Muse [8]
elegantemente disposto secondo i quattro gradi della stasi, del distacco, del
sorgere e del ritorno[9].
Ed affermano [i Pitagorici] il coro essere tondo, ma non tanto sferico, quanto,
invece, ovoidale. In esso l'ottavo suono, quasi congiungendo il vertice più
assottigliato alla parte più larga che corrisponde al primo, trae un solo suono
da se stesso e dal primo. E così come l'occhio scorge nella rotondità ovoidale
una sola figura, seppure più larga per un'estremità e più sottile nell'altra,
allo stesso modo l'orecchio percepisce un solo suono risultante da un suono
grave e dalla sua ottava, come una piramide che si elevi dolcemente e
gradatamente, da un basamento più ampio fino ad un vertice più acuto. E per
questa medesima ragione riteniamo per un verso che la natura abbia assegnato
forme analoghe allo strumento dell'ascolto ed a quello della parola, e che
l'arte, dal suo canto, si sforzi di creare qualcosa di affine con gli strumenti
musicali. E non vi è dubbio che questi ultimi siano tanto più armoniosi quanto
più siano caratterizzati da forme ovoidali o piramidali[10]. Le
cause comuni della consonanza
Le
cause fisiche della consonanza Quasi
tutti i filosofi ritengono che il piacere scaturisca dalla corrispondenza fra
l'oggetto ed il senso. Ricordo solo di sfuggita che i Platonici, nella loro
descrizione delle facoltà sensoriali assegnano la vista al fuoco, l'udito
all'aria, l'olfatto a una commistione vaporosa d'aria ed acqua, ed il tatto alla
terra. E giudicano che il piacere più alto sopravvenga qualora le proporzioni
di un oggetto sensibile corrispondano e siano consonanti, per qualità e grado,
a quelle di cui consta la complessione della sensazione e dello spirito. Abbiamo
già detto ampiamente cosa sia il piacere nel libro ad esso dedicato. Quindi,
per non discostarci dall'argomento prefissato, i Platonici assegnano alla
complessione dell'udito un grado di terra, un grado ed un terzo d'acqua, un
grado e mezzo di fuoco ed infine due d'aria[11]. Donde ritengono si fondi
principalmente la forza della proporzione sesquiterza, sesquialtera, e doppia. Le
cause astronomiche della consonanza
******************** [1]
La lettera, senza data (ma datata dal Kriseller attorno al 1484) è indirizzata
a Domenico Beniveni, membro dell'Accademia platonica fiorentina. [2]
Sympos. 187a e sgg. [3]
Ibid. 187 e. [4]
Asclepius 9. Ved.
anche saggio introduttivo. Per l'ascesa dell'anima attraverso le sfere
planetarie e per l'esperienza di audizione mistica che l'accompagna, ved. anche
Corpus Hermeticum, I, 24 e sgg. [5]
La musa "dalla bella voce", come recita il nome, che presiedeva alla
poesia epica ed all'eloquenza. [6]
È interessante osservare come Ficino attribuisca all'eros ed alla bellezza
sensuali l'intervallo di terza, a testimonianza di un evidente mutamento nella
sensibilità musicale dell'epoca rispetto alla valenza espressiva degli
intervalli. [7]
Ficino percorre la scala secondo una direzione ascendente anziché discendente,
come avrebbe voluto la teoria greca. È dubbio se col modo dorio egli intenda il
dorio antico - corrispondente al deuterus gregoriano, il frigio medievale,
ovverosia un modo di Mi - oppure un modo di Re, un protus corrispondente appunto
al dorio medievale. Tuttavia è ragionevole propendere per la seconda ipotesi. [8]
Nel ricondurre le nove muse agli otto gradi che "chiudono" la scala
diatonica Ficino allude probabilmente al De Nuptiis di Marziano Capella (I, 27 e
sgg.) che nel descrivere l'armonia delle sfere prodotta dalle muse assegna
Urania al cielo delle stelle fisse ed al suono più acuto, Polimnia alla sfera
di Saturno, Euterpe a quella di Giove, Erato a Marte, Melpomene al Sole,
Tersicore a Venere, Calliope a Mercurio, Clio alla Luna, mentre Talia - la musa
della commedia - lasciata sulla Terra è virtualmente muta, priva di suono.
Questa rappresentazione ritorna tra l'altro nella Musica practica di Ramos de
Pareja (1482) che dal 1472 soggiornò a Firenze per una decina d'anni, ed in una
celebre raffigurazione tratta dalla Pratica Musicae (1496) di Gafurius. In
questo caso, accanto ad Apollo sono rappresentate anche le tre Grazie. [9]
La descrizione che Ficino fa della struttura scalare ha un carattere
essenzialmente dinamico-processuale e di chiusura ciclica, nel senso che la
scala è costantemente avvertita - e descritta - secondo un'ottica relazionale
rispetto alla finalis/suono generatore, e come processo di attraversamento dei
cardini consonantici, processo che si chiude nel suono "virtualmente
Uno" della consonanza d'ottava. La reiterazione del medesimo processo su più
ottave, unitamente all'immagine sonora della struttura ovoidale che Ficino
espone poco oltre, disegna una struttura descrittiva dal carattere spiraliforme,
assottigliantesi verso l'apice superiore. [10]
Queste osservazioni di Ficino intorno alla forma "ovoidale"
dell'ottava sintetizzano istanze, ed argomenti di natura simbolica, mitologica,
fisiologica, percettiva e rappresentativa. La prima suggestione, di natura
mitologica, è sicuramente un richiamo all' "uovo cosmico" di orfica
memoria. La nascita del cosmo da un uovo è mitema assai ricorrente in svariate
tradizioni. Da un uovo argenteo deposto dalla Notte, secondo un insegnamento
orfico, sarebbe sorto il mondo. Segnaliamo di sfuggita anche la ricorrenza
simbolica dell'uovo, come struttura "originaria" per eccellenza,
all'interno della letteratura e dell'iconografia alchemica coeva rispetto a
Ficino. La forma ovoidale rappresenta un modello cosmogonico, un principio
generativo che si differenzia dal caos per portarvi ordine, ma anche unità e
relazione. Ma
i risvolti di questo argomento ficiniano rivelano ulteriori livelli di
sedimentazione semantica. Accanto alla raffinata rappresentazione di una
struttura percettiva come l'ottava - per cui è lecito e appropriato parlare di
"assottigliamento dello spazio sonoro" verso la regione superiore - ed
oltre all'acuta osservazione dei fenomeni di "fusione" e unificazione
percettiva che l'ottava suscita, occorre riconoscere che per Ficino, sul piano
simbolico, la forma "ovoidale" dell'ottava è icona pregnante del
principio di specularità ontologica, per cui un medesimo archetipo si riflette
sui diversi piani della manifestazione, secondo diversi gradi di
"grossolanità", dal principio incorporeo fino alla sua concertazione
materiale. La differenza dello "spessore" allude proprio a questo
aspetto della manifestazione che si differenzia per gradi di rarefazione e
densità. In questa chiave, su un livello concreto di manifestazione
"imitativa" di un archetipo, si spiegano finanche le osservazioni
concernenti la forma degli strumenti musicali o degli apparati fonatori ed
uditivi dell'organismo umano. Nel
suo complesso l'argomento ficiniano appare un caso piuttosto felice e pregnante
di risonanze analogiche e simboliche che si sviluppano e riverberano su
molteplici piani. [11]
Ficino ripropone le proporzioni numeriche [6:8:9:12] e musicali del tetracordo
pitagorico (o di Filolao) per spiegare l'equilibrio "elementare" che
sarebbe a fondamento della coerenza della facoltà uditiva. Questo tetracordo
contiene le consonanze primarie identificate dalla tradizione pitagorica:
l'intervallo di ottava (diapason, proporzione doppia, 1:2), di quinta (prop.
sesquialtera, 2:3), di quarta (prop. sesquiterza, 3:4) e di seconda maggiore (prop.
sesquiottava 8:9). [12]
Ficino si accinge a descrivere le analogie fra i rapporti interni alla scala e
egli "aspetti" astrologici. L'aspetto che contraddistingue due segni
zodiacali contigui può essere di semi-sestile o di semiquadrato. Ficino si
riferisce probabilmente a questo secondo aspetto, astrologicamente parlando
debolmente negativo. Questa tematica degli aspetti è ripresa dagli Armonici di
Tolomeo (libro III, 9), e tuttavia Ficino la sviluppa, in molte parti, secondo
un'ottica piuttosto personale e divergente rispetto alla sistematizzazione che
ne aveva dato Tolomeo. [13]
L'analogia è fra l'intervallo di terza e l'aspetto di sestile, moderatamente
benefico. [14]
Per far valere integralmente il proprio paradigma, Ficino opera una certa
forzatura. Secondo la concezione pitagorica il quarto suono è consonate. Al
contrario, astrologicamente parlando, l'aspetto di quadratura è decisamente
negativo. [15]
L'aspetto di riferimento dovrebbe essere il sesquiquadrato (135°), o più
probabilmente il quinconce (150°). Va detto tuttavia che l'astrologia antica -
specialmente nel caso di Tolomeo - procedeva poggiando sui fondamenti
geometrici, nominando e vagliando essenzialmente gli aspetti principali:
congiunzione, opposizione, quadrato, trigono e sestile. [16]
Si intende l'opposizione (180°), aspetto negativo. [17]
Qui la lettura di Ficino slitta dagli "aspetti" alle "case"
dello zodiaco. L'ottava casa di un tema natale designa la "morte" con
tutte le valenze che essa può evocare. Ficino assimila la morte all'intervallo
di ottava in quanto cancellazione della dualità, culmine del processo di
unificazione. "Ritorno al principio", come osserva Ficino, ma anche
reintegrazione nel Principio, termine dell'esilio ed ascesa dell'anima a un
grado ontologico più alto, simboleggiato appunto dall'ottava. [18]
Da questo punto in poi, una volta raggiunta l'ottava, Ficino sviluppa l'analogia
scala-case zodiacali muovendo dall'intervallo di quinta e risolvendo di nuovo
verso il primo grado. [19]
È la decima casa, Regnum, Honores, e si riferisce alla dignità terrena
dell'individuo. |