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Ritratto di Ficino

 

Marsilio
FICINO

(1453-1499)

 

La figura di Marsilio Ficino è storicamente associata all'incarico, affidatogli da Cosimo de' Medici, di tradurre le opere di Platone, recentemente acquistate in Grecia. Per poterle tradurre, il nobile mecenate fiorentino mise a disposizione del letterato una villa presso Firenze che successivamente divenne un luogo di ferventi incontri culturali: la famosa Accademia Platonica.

Ficino tradusse non solo le opere di Platone, ma anche quelle di Porfirio, Proclo, Plotino, Dionigi Areopagita, Orfeo, Esiodo e molti altri, contribuendo così a diffondere l'Umanesimo nel periodo rinascimentale, analogamente all'opera di Cusano.

'Homo copula mundi'. Nel nuovo clima rinascimentale, Ficino fu il fautore di una teoria che riportava l'uomo al centro del mondo dopo secoli di pessimismo antropologico cristiano.

Per Ficino l'uomo è copula mundi. Cosa significa? Significa che l'uomo è il termine medio tra il divino e il terreno. Il mondo esistente è diviso per gerarchie in cinque parti: al vertice c'è Dio, poi vengono gli angeli, quindi l'anima dell'uomo, la qualità, e per ultimo il corpo.
Quindi l'anima dell'uomo è il centro del mondo, il termine medio (copula), l'entità per mezzo della quale divino e terreno si incontrano. L'uomo ha la libertà di decidere se aspirare all'alto o perdersi nel basso. In sostanza, una posizione di privilegio data dalla coscienza e dall'intuito umano, il quale permette di percepire sia le cose divine che vivere le cose terrene.

Le origini della Rivelazione divina. Secondo Ficino, Il percorso della Rivelazione divina non è cominciato con il Cristianesimo, la sua verità cominciò a manifestarsi anche prima, nell'indagine e nelle opere degli studiosi pagani illustri, primo fra tutti Platone. Secondo Ficino, le origini della Rivelazione cominciarono con il pensiero del persiano Zarathustra e con Ermete Trismegisto, mitico sapiente egiziano, continuò con Pitagora, arrivò a Platone e proseguì con i Neoplatonici, Plotino e l'Aeropagita.

Marsilio Ficino

Lettera a Domenico Beniveni sui principi della musica

traduzione e note a cura di Andrea Melis

Sui principi della musica

Marsilio Ficino a Domenico Beniveni [1], filosofo illustre e musico insigne s.d.

Platone [2] ritiene che la musica non sia altro che consonanza dell'animo, naturale allorché le sue virtù siano consone alle virtù dell'animo, acquisita allorché le sue Maestro del Senofonte Hamilton, particolare di Donato Acciaioli della"Historia Florentina" di Leonardo Brunimovenze siano consone ai movimenti dell'animo stesso. Egli ritiene inoltre che la sua immagine riflessa sia costituita dalla musica che modula le voci ed i suoni per recare diletto alle nostre orecchie. Ed ancora pensa che la Musa Urania, presieda al primo genere di musica, Polimnia al secondo[3]. Mercurio Trismegisto [4] afferma che entrambe ci furono date in dono da Dio, affinché con la prima potessimo emulare Iddio stesso nei nostri pensieri e negli stati d'animo e perché grazie alla seconda potessimo celebrare assiduamente il nome di Dio, negli inni e coi suoni. Pitagora soleva definire musico insigne colui che ha familiarità con entrambe, e ciò è comprovato dalle parole e dalle stesse opere di Pitagora medesimo e dei suoi seguaci. Salve, dunque, Domenico, musico insigne, e ciò che da tempo ci domandi intorno ad alcuni dei principi della musica - sebbene tu già ne sia edotto - accoglilo infine, poiché tuttavia così desideri, attraverso la breve esposizione contenuta nella nostra lettera.

 

Le proporzioni

Come ben sai, la proporzione doppia [2:1] è, per i musici, quella principale. Essa determina il diapason, ovverosia la consonanza perfetta di ottava, che i poeti designano col nome di Calliope[5]. In secondo luogo vi è la proporzione sesquialtera [3:2] che determina l'armonia quasi perfetta di diapente, ovverosia del quinto suono, al cui numero il poeta lirico attribuisce il nettare di Venere. In terzo luogo la proporzione sesquiquarta [5:4] da cui scaturisce la dolce armonia del terzo suono, attribuita a Cupido ed Adone[6]. In quarto luogo la proporzione sesquiterza [4:3] da cui deriva l'armonia del quarto suono, quasi mediana fra la consonanza e la dissonanza e che fonde alcunché di Marte e di Venere. Principalmente la terza, la quinta e l'ottava, le più gradevoli fra tutte (le armonie), ci rammentano le tre Grazie. Le proporzioni ripetute a piacimento al di sopra della proporzione doppia possono essere ricondotte, per similitudine, a quelle già elencate. Aggiungo infine la proporzione sesquiottava [9:8] che genera l'intervallo di tono, e quella più piccola che caratterizza il semitono.

E così, procedendo per gradi secondo questo ordine (i suoni) si susseguono dal più basso, che Orfeo chiama hypate fino a quello più alto[7], che egli denomina nete, transitando attraverso i gradi intermedi che lo stesso Orfeo definisce dorici. In primo luogo vi è il suono più grave che per la lentezza del movimento cui partecipa sembra quasi esser fermo. Il secondo si distacca dal primo e pertanto è del tutto dissonante [rispetto ad esso]. Ma il terzo suono, quasi ritemprato nello spirito, sembra levarsi in alto, e recupera la qualità consonante. Il quarto si distacca dal terzo ed è lievemente dissonante, seppure non quanto il secondo, sia perché temperato dall'amabilissimo appropinquarsi del quinto suono, che gli succede, sia perché mitigato dalla dolcezza del terzo, che lo precede. Successivamente al tramonto del quarto suono, risorge il quinto, e sorge in misura ancor più perfetta del terzo, ed è con questo suono che il movimento ascendente del sorgere raggiunge il proprio culmine. E del resto, infatti, i Pitagorici ritenevano che successivamente ad esso, i suoni facessero nuovamente ritorno verso il loro principio, piuttosto che levarsi ancora. Così il sesto pare riavvicinarsi al terzo, da cui è composto per raddoppio [della terza], ed è massimamente affine alla dolcezza del terzo. Quindi il settimo suono fa infelicemente ritorno - e addirittura ricade scivolando - sul secondo, del quale segue il carattere dissonante. Infine l'ottavo suono è felicemente ricongiunto al primo, e con questa reintegrazione, unitamente alla ripetizione del primo suono, esso conchiude l'intervallo di ottava e completa anche il coro delle nove Muse [8] elegantemente disposto secondo i quattro gradi della stasi, del distacco, del sorgere e del ritorno[9]. Ed affermano [i Pitagorici] il coro essere tondo, ma non tanto sferico, quanto, invece, ovoidale. In esso l'ottavo suono, quasi congiungendo il vertice più assottigliato alla parte più larga che corrisponde al primo, trae un solo suono da se stesso e dal primo. E così come l'occhio scorge nella rotondità ovoidale una sola figura, seppure più larga per un'estremità e più sottile nell'altra, allo stesso modo l'orecchio percepisce un solo suono risultante da un suono grave e dalla sua ottava, come una piramide che si elevi dolcemente e gradatamente, da un basamento più ampio fino ad un vertice più acuto. E per questa medesima ragione riteniamo per un verso che la natura abbia assegnato forme analoghe allo strumento dell'ascolto ed a quello della parola, e che l'arte, dal suo canto, si sforzi di creare qualcosa di affine con gli strumenti musicali. E non vi è dubbio che questi ultimi siano tanto più armoniosi quanto più siano caratterizzati da forme ovoidali o piramidali[10].

 

Le cause comuni della consonanza

Gherardo di Giovanni, Il suonatore di liutoCiò detto, dobbiamo ora ricercare la ragione per cui tutti i musici adoperano primariamente quei rapporti proporzionali di cui si è detto in precedenza. E di queste proporzioni si servono anche in altre occasioni, per determinare le dimensioni delle canne, della grandezza e del peso degli strumenti, la tensione e la lunghezza delle corde, ed infine nella forza dell'azione, nella velocità del movimento e nei loro opposti. I Pitagorici ed i Platonici considerano l'Uno come il più perfetto e desiderabile fra tutti. In secondo luogo pongono la stabilità nell'Uno, in terzo luogo la restituzione dell'Uno ed in quarto luogo il ritorno agevole all'Uno. Al contrario, reputano la molteplicità disconnessa essere la cosa più imperfetta ed indesiderabile. In secondo luogo pongono il movimento verso la molteplicità, molteplicità, si intende, che difficilmente fa ritorno all'Uno. Poste le fondamenta, dobbiamo ora costruire ciò che denominerei l'edificio della musica. Se su una lira poni due corde uguali e di pari tensione dirai che sono in rapporto primo [1:1] e potrai udire un unisono. Ma qualora una delle corde sia tesa più dell'altra, allora si determinerà un distacco dall'unità. Se perciò aggiungi una decima parte, tale distacco dall'uno avviene per quella parte che solo con difficoltà può restituire l'uno. Ed infatti occorre l'addizione di nove parti per ottenere una restituzione totale. Conseguentemente, in quel suono, le orecchie sono offese violentemente, per l'eccessiva distanza rispetto all'uno. E se aggiungi una nona parte anziché una decima, di nuovo essa dista in modo notevole, poiché mancano otto parti alla ricomposizione. E si otterrà una relazione per lo più affine se aggiungerai un'ottava parte piuttosto di una settima o una sesta anziché una quinta, giacché quel genere di frazione si avvicina con difficoltà all'intero. Invece, se proverai a tendere una corda più dell'altra per una quarta parte, ecco che le orecchie ne saranno deliziate e il raggiungimento dell'uno appare ora più agevole giacché mancano tre sole parti perché quella porzione di un quarto reintegri l'intero. E tre parti si avvicinano facilmente all'unità. Infatti il ternario è considerato da molti numero indivisibile, che comprende in sé, e più perfetto di ogni altro, ed in ciò esso è massimamente affine all'unità. Quindi la proporzione sesquiquarta [4:5] produce la melodia del terzo suono. Di nuovo, se procedi oltre per tendere fino alla terza parte, ti delizierà l'armonia di quarta. Infatti una terza parte ricrea facilmente l'unità per l'addizione di due parti. Due parti si distaccano facilmente dall'uno ed altrettanto agevolmente vi fanno ritorno, poiché il due è il primo distacco dall'uno. E questa consonanza principale della terza parte ti avvincerà ancor più palesemente dal momento che la dualità è ricondotta all'uno per il solo principio del ternario. Donde, se porrai in tensione una corda più dell'altra di una metà, certamente la proporzione sesquialtera [2:3] determina una consonanza di diapente e ingenera ancor più diletto, poiché da quel punto si fa ritorno immediato e diretto all'unità. Infatti, aggiunta una sola parte, si ricostituisce l'intero, essendo questo la somma di due metà. È facile aggiungere unità ad unità e mediante entrambe si converge nell'unità. Ma se dopo aver teso una corda incrementerai subito la tensione dell'altra allo stesso modo, sicuramente non ti ritroverai più nello stesso processo di distacco dall'uno dei casi precedenti, ma ricostituirai d'un tratto quell'intero che in qualche modo era stato dissolto. Ecco allora che la proporzione doppia empie le orecchie di indicibile piacere attraverso l'armonia di diapason, la più perfetta. Bisogna ricordarsi che l'udito è sempre appagato dall'unità, mentre è offeso dalla dualità, come se si trattasse di una divisione. Quanto più esso intende due suoni come due (separati) tanto più è offeso. Laddove meno percepisce per separazione, minore è l'offesa. E quando la separazione è minima, minima è l'offesa. Dunque la facoltà di udire desidera l'unità, perché essa stessa è unità e scaturisce dall'uno, ma desidera l'unità composta dalla perfetta convergenza del molteplice, fondata su quella proporzione che determina l'unità naturalmente ed a partire dalla pluralità. In conclusione, poiché l'udito consta esso stesso di una molteplicità di parti naturali che convergono totalmente in una sola forma, ne segue che esso accoglie volentieri una molteplicità di suoni che si accordino perfettamente in un sol suono e in armonia. E ciò avviene laddove un suono assorba in sé oppure congiunga a sé l'altro, cosa che essi possono realizzare per la sola virtù di quelle proporzioni di cui si è detto sopra.

 

Le cause fisiche della consonanza

Quasi tutti i filosofi ritengono che il piacere scaturisca dalla corrispondenza fra l'oggetto ed il senso. Ricordo solo di sfuggita che i Platonici, nella loro descrizione delle facoltà sensoriali assegnano la vista al fuoco, l'udito all'aria, l'olfatto a una commistione vaporosa d'aria ed acqua, ed il tatto alla terra. E giudicano che il piacere più alto sopravvenga qualora le proporzioni di un oggetto sensibile corrispondano e siano consonanti, per qualità e grado, a quelle di cui consta la complessione della sensazione e dello spirito. Abbiamo già detto ampiamente cosa sia il piacere nel libro ad esso dedicato. Quindi, per non discostarci dall'argomento prefissato, i Platonici assegnano alla complessione dell'udito un grado di terra, un grado ed un terzo d'acqua, un grado e mezzo di fuoco ed infine due d'aria[11]. Donde ritengono si fondi principalmente la forza della proporzione sesquiterza, sesquialtera, e doppia.

 

Le cause astronomiche della consonanza

Maestro del Senofonte Hamilton, Il popolo radunato in parlamento, sec.XVVi sono coloro che riconducono tali cose ad una prospettiva più alta - secondo la concezione pitagorica che asserisce l'esistenza di un'armonia celeste - e che deducono i principi armonici a partire sia da una virtù celeste, sia da una corrispondenza celeste. E se devo solo accennare al fatto che ritengono che le latitudini e le profondità delle sfere celesti così come gli intervalli, la lentezza e la velocità dei movimenti stessi siano tutte determinate da quelle proporzioni di cui abbiamo detto in precedenza, non posso certo trascurare di dire che se proverai a muoverti in sequenza a partire dalla testa dei dodici segni celesti, ti accorgerai che il secondo segno si distacca in un certo qual modo rispetto al primo. E così come per i suoni percepiamo che il secondo è dissonante rispetto al primo, non altrimenti qui il secondo (segno) è in certa misura dissonante rispetto al primo[12]. Successivamente, il terzo segno, quasi a costituire un modello per il terzo suono, guarda alla prima costellazione secondo quell'aspetto benefico che gli astronomi chiamano sestile[13]. Il quarto segno, seppure dissonante, affermano essere solo blandamente dissonante, così come per i musici è nella natura del quarto suono[14]. Quindi il quinto segno guarda benevolmente alla prima costellazione, secondo un aspetto assai benefico, ponendosi così a modello del quinto suono musicale. Gli astronomi danno il nome di trigono a questo aspetto che giudicano molto propizio. E che cosa dire della sesta costellazione per la quale si designa la consonanza tenue e, per così dire, incerta, del sesto suono? Sebbene gli astrologi giudichino negativamente questa debolezza del tema natale, tuttavia i teologi primi la reputano positiva, giacché essendo l'uomo in realtà nient'altro che lo stesso animo, mentre il corpo è carcere dell'animo e dell'uomo, la debolezza del carcere sarà poi utile per colui che vi sia recluso[15]. Fa seguito, la settima costellazione, che dicono angolare[16], e che con la sua opposizione discorde rispetto alla prima, e col suo evidente carattere infausto, assai vigorosa, sembra prefigurare il settimo suono, dal tono rude ed impetuoso, palesemente discorde rispetto al primo suono. Segue l'ottava costellazione che seppure deputata alla morte, secondo il parere degli astrologi, e perciò stesso giudicata infausta dal volgo, tuttavia, secondo la dottrina dei teologi primi, è estremamente propizia all'animo celeste, poiché dissolvendo per esso il carcere terrestre, per un verso lo libera dalla dissonanza degli elementi e per un altro lo reintegra nella consonanza celeste. E perciò, non senza giusta ragione, rappresenta la consonanza assoluta dell'ottavo suono che fa ritorno al principio[17]. E se dopo di ciò qualcuno si interrogherà sul nono segno, sappia che esso dista dal primo quanto il quinto, e che guarda al primo secondo l'aspetto benevolo del trigono[18], ad esprimere la saggezza e la dea Pallade per gli astronomi, la nettarea Venere del quinto suono per i musici. E che dire della decima costellazione? Per gli astrologi rappresenta l'ambizione[19], fondamento della discordia umana, mentre per i musici rappresenta la dissonanza intermedia e quasi umana del quarto suono. Quindi l'undicesimo segno[20], dell'amicizia umana, comprova l'amicizia melodica del terzo suono. Infine la dodicesima (costellazione), assegnata ai nemici nascosti ed alla prigionia, esprime il distacco dissonante della seconda voce rispetto alla prima.

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[1] La lettera, senza data (ma datata dal Kriseller attorno al 1484) è indirizzata a Domenico Beniveni, membro dell'Accademia platonica fiorentina.

[2] Sympos. 187a e sgg.

[3] Ibid. 187 e.

[4] Asclepius 9. Ved. anche saggio introduttivo. Per l'ascesa dell'anima attraverso le sfere planetarie e per l'esperienza di audizione mistica che l'accompagna, ved. anche Corpus Hermeticum, I, 24 e sgg.

[5] La musa "dalla bella voce", come recita il nome, che presiedeva alla poesia epica ed all'eloquenza.

[6] È interessante osservare come Ficino attribuisca all'eros ed alla bellezza sensuali l'intervallo di terza, a testimonianza di un evidente mutamento nella sensibilità musicale dell'epoca rispetto alla valenza espressiva degli intervalli.

[7] Ficino percorre la scala secondo una direzione ascendente anziché discendente, come avrebbe voluto la teoria greca. È dubbio se col modo dorio egli intenda il dorio antico - corrispondente al deuterus gregoriano, il frigio medievale, ovverosia un modo di Mi - oppure un modo di Re, un protus corrispondente appunto al dorio medievale. Tuttavia è ragionevole propendere per la seconda ipotesi.

[8] Nel ricondurre le nove muse agli otto gradi che "chiudono" la scala diatonica Ficino allude probabilmente al De Nuptiis di Marziano Capella (I, 27 e sgg.) che nel descrivere l'armonia delle sfere prodotta dalle muse assegna Urania al cielo delle stelle fisse ed al suono più acuto, Polimnia alla sfera di Saturno, Euterpe a quella di Giove, Erato a Marte, Melpomene al Sole, Tersicore a Venere, Calliope a Mercurio, Clio alla Luna, mentre Talia - la musa della commedia - lasciata sulla Terra è virtualmente muta, priva di suono. Questa rappresentazione ritorna tra l'altro nella Musica practica di Ramos de Pareja (1482) che dal 1472 soggiornò a Firenze per una decina d'anni, ed in una celebre raffigurazione tratta dalla Pratica Musicae (1496) di Gafurius. In questo caso, accanto ad Apollo sono rappresentate anche le tre Grazie.

[9] La descrizione che Ficino fa della struttura scalare ha un carattere essenzialmente dinamico-processuale e di chiusura ciclica, nel senso che la scala è costantemente avvertita - e descritta - secondo un'ottica relazionale rispetto alla finalis/suono generatore, e come processo di attraversamento dei cardini consonantici, processo che si chiude nel suono "virtualmente Uno" della consonanza d'ottava. La reiterazione del medesimo processo su più ottave, unitamente all'immagine sonora della struttura ovoidale che Ficino espone poco oltre, disegna una struttura descrittiva dal carattere spiraliforme, assottigliantesi verso l'apice superiore.

[10] Queste osservazioni di Ficino intorno alla forma "ovoidale" dell'ottava sintetizzano istanze, ed argomenti di natura simbolica, mitologica, fisiologica, percettiva e rappresentativa. La prima suggestione, di natura mitologica, è sicuramente un richiamo all' "uovo cosmico" di orfica memoria. La nascita del cosmo da un uovo è mitema assai ricorrente in svariate tradizioni. Da un uovo argenteo deposto dalla Notte, secondo un insegnamento orfico, sarebbe sorto il mondo. Segnaliamo di sfuggita anche la ricorrenza simbolica dell'uovo, come struttura "originaria" per eccellenza, all'interno della letteratura e dell'iconografia alchemica coeva rispetto a Ficino. La forma ovoidale rappresenta un modello cosmogonico, un principio generativo che si differenzia dal caos per portarvi ordine, ma anche unità e relazione.

Ma i risvolti di questo argomento ficiniano rivelano ulteriori livelli di sedimentazione semantica. Accanto alla raffinata rappresentazione di una struttura percettiva come l'ottava - per cui è lecito e appropriato parlare di "assottigliamento dello spazio sonoro" verso la regione superiore - ed oltre all'acuta osservazione dei fenomeni di "fusione" e unificazione percettiva che l'ottava suscita, occorre riconoscere che per Ficino, sul piano simbolico, la forma "ovoidale" dell'ottava è icona pregnante del principio di specularità ontologica, per cui un medesimo archetipo si riflette sui diversi piani della manifestazione, secondo diversi gradi di "grossolanità", dal principio incorporeo fino alla sua concertazione materiale. La differenza dello "spessore" allude proprio a questo aspetto della manifestazione che si differenzia per gradi di rarefazione e densità. In questa chiave, su un livello concreto di manifestazione "imitativa" di un archetipo, si spiegano finanche le osservazioni concernenti la forma degli strumenti musicali o degli apparati fonatori ed uditivi dell'organismo umano.

Nel suo complesso l'argomento ficiniano appare un caso piuttosto felice e pregnante di risonanze analogiche e simboliche che si sviluppano e riverberano su molteplici piani.

[11] Ficino ripropone le proporzioni numeriche [6:8:9:12] e musicali del tetracordo pitagorico (o di Filolao) per spiegare l'equilibrio "elementare" che sarebbe a fondamento della coerenza della facoltà uditiva. Questo tetracordo contiene le consonanze primarie identificate dalla tradizione pitagorica: l'intervallo di ottava (diapason, proporzione doppia, 1:2), di quinta (prop. sesquialtera, 2:3), di quarta (prop. sesquiterza, 3:4) e di seconda maggiore (prop. sesquiottava 8:9).

[12] Ficino si accinge a descrivere le analogie fra i rapporti interni alla scala e egli "aspetti" astrologici. L'aspetto che contraddistingue due segni zodiacali contigui può essere di semi-sestile o di semiquadrato. Ficino si riferisce probabilmente a questo secondo aspetto, astrologicamente parlando debolmente negativo. Questa tematica degli aspetti è ripresa dagli Armonici di Tolomeo (libro III, 9), e tuttavia Ficino la sviluppa, in molte parti, secondo un'ottica piuttosto personale e divergente rispetto alla sistematizzazione che ne aveva dato Tolomeo.

[13] L'analogia è fra l'intervallo di terza e l'aspetto di sestile, moderatamente benefico.

[14] Per far valere integralmente il proprio paradigma, Ficino opera una certa forzatura. Secondo la concezione pitagorica il quarto suono è consonate. Al contrario, astrologicamente parlando, l'aspetto di quadratura è decisamente negativo.

[15] L'aspetto di riferimento dovrebbe essere il sesquiquadrato (135°), o più probabilmente il quinconce (150°). Va detto tuttavia che l'astrologia antica - specialmente nel caso di Tolomeo - procedeva poggiando sui fondamenti geometrici, nominando e vagliando essenzialmente gli aspetti principali: congiunzione, opposizione, quadrato, trigono e sestile.

[16] Si intende l'opposizione (180°), aspetto negativo.

[17] Qui la lettura di Ficino slitta dagli "aspetti" alle "case" dello zodiaco. L'ottava casa di un tema natale designa la "morte" con tutte le valenze che essa può evocare. Ficino assimila la morte all'intervallo di ottava in quanto cancellazione della dualità, culmine del processo di unificazione. "Ritorno al principio", come osserva Ficino, ma anche reintegrazione nel Principio, termine dell'esilio ed ascesa dell'anima a un grado ontologico più alto, simboleggiato appunto dall'ottava.

[18] Da questo punto in poi, una volta raggiunta l'ottava, Ficino sviluppa l'analogia scala-case zodiacali muovendo dall'intervallo di quinta e risolvendo di nuovo verso il primo grado.

[19] È la decima casa, Regnum, Honores, e si riferisce alla dignità terrena dell'individuo.