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ANALISI di Piero Mioli e Marta Clarke

 

PIERO MIOLI     

            ANALISI DI “Orfeo ed Euridice”

            Nella veste musicale «Orfeo ed Euridice» di Gluck conserva numerosi

            elementi del tipico melodramma italiano - primo fra tutti la scelta

            del contralto maschile per il protagonista - , accanto ai quali,

            comunque, pone molte novità, anche senza ingenerare stridore alcuno.

            Sono queste, essenzialmente, la varietà strutturale e ritmica

            dell'aria e del cantabile in genere, la frequenza dell'arioso, la

            qualità del recitativo, lo stile disadorno del canto, l'onnipresenza

            del coro, l'assiduità della danza, l'impegno dello strumentale.

            L'aria, signora incontrastata del melodramma, capace di un dominio

            sempre più assoluto nel corso del tempo dalle origini secentesche

            all'apogeo medio-settecentesco si era massimamente sviluppata in una

            forma bitematica e tripartita con

            variazioni libere ed estemporanee degli esecutori. Ma la forma è scossa nelle

            fondamenta da Gluck, che la svaria dalla struttura al ritmo e spesso

            la inserisce in contesti ampi e diversi.

            Quanto ai contesti ecco il triplice incrocio col recitativo in

            apertura, il triplice incrocio col coro nel primo quadro del secondo

            atto, la comunione corale dell'aria di Euridice nel secondo atto,

            l'aria di Euridice nel terzo atto che ingloba un breve duetto.

            Quanto agli svari ritmici nelle arie come negli altri pezzi chiusi

            anche solo strofici, si noti l'assenza del tempo ordinario

            sostituito da numerosi

            tempi tagliati, 3|4 (in particolare per i cori e le danze), 3|8,

            qualche 2|4.

            L'atmosfera, o l'ambiente che dir si

            voglia, o più precisamente la Stimmung, è qui da ammirare. Non

            imitazione della natura, nel senso settecentesco, cioè

            rappresentazione obbiettiva delle cose espressa dall'arte e dalla

            tecnica, più che dalla soggettività commossa dell'uomo-artista, ma

            stato d'animo d'Orfeo e di Gluck, immesso nella vita e nella

            contemplazione della natura, e influenzato da essa. Questa natura è

            sentita e rappresentata ancora in modo analitico, si intende, non

            sinfonico e amalgamato, non è ottocentesca. Ma la somma degli

            elementi è una fusione nella quale i particolari sono assorbiti.

            E gli elementi sono: il moto costante delle sestine degli archi, le

            quali poggiano sulla tonica, sulla dominante, e nella ripetizione

            del tono e del disegno danno l'immagine del tempo che fluisce

            eterno, e il timbro degli strumenti che fan

            il flauto, l'oboe, con brevi tocchi i secondi

            violini, il fagotto, i violoncelli, che evocano la natura, zeffiri,

            uccelli, ruscelli. Le sestine fluiscono

            percepibili e impercettibili, come accade al nostro udito per un

            ritmico continuo moto sonoro La voce umana non sovrasta, è al centro

            della naturale sinfonia. DANZA:  IN Orfeo ed Euridice anche la danza fa parte integrante dell'azione, con il

            massimo raggiungimento nel ballo delle Furie e degli Spettri che,

            dotato di una sua «esplicita evidenza», «in una forma di stupefatta

            fissità, raggiunta attraverso l'ossessiva iterazione rimica, apre e

            chiude la scena infernale» [Gallarati].

            L'esperienza gluckiana del balletto da i suoi frutti. Angiolini è il

            maestro dei passi e dei gesti eloquenti. Gluck dà il ritmo e il

            suono addicevoli poiché il  progetto artistico era quello di infondere nella danza la

«verità espressiva».

   Nei manuali di storia della musica, Gluck è sempre

                        associato all'idea di riforma dell'Opera seria, quellla

                        salutare ripresa di convenzioni teatrali che sarebbe

                        scaturito dai suoi lavori più famosi, primi fra tutti

                        Orfeo ed Euridice e Alcesti; anche se conoscenze più

                        dirette sul teatro musicale del Settecento hanno

                        dimostrato che la così detta "riforma gluckiana" rientra

                        in una corrente culturale molto più vasta, la forza

                        caratterizzante della sua invenzione musicale giustifica

                        il ruolo di Gluck come figura prima in quel fenomeno

                        generale.Meno accettabile è considerarlo un musicista

                        progressivo, romanticamente impegnato a tradurre in

                        musica l'azione drammatica: a lui interessano le

                        situazioni già date, i quadri già fatti, non l'azione

                        realistica per arrivarci; e infatti i suoi momenti

                        memorabili sono quasi sempre consegnati a questi

                        "tableaux", più dipendenti dal sentimento ritmico della

                        danza, in una superba stilizzazione decorativa, che dal

                        pensiero musicale moderno di sonate e sinfonie.

 MARTA CLARKE

Lavorando con il suo idioma moderno, Marta Clarke ha offerto un punto di vista particolare sugli estremi emozionali in Orfeo ed Euridice di Gluck. Questa nuova produzione della New York City Opera presentava una visione contemporanea e coerente di questo mito senza tempo riuscendo a raggiungere un livello individuale di espressività da parte dei cantanti come non si trova normalmente nelle messe in scena di gusto contemporaneo. Questo Orfeo, che avrebbe potuto ottenere una accoglienza migliore da parte dei principali organi di stampa newyorkesi, faceva parte delle proposte della Brooklyn Academy of Music's Next Wave, dove combinazioni di opera, danza e produzioni particolarmente singolari sono frequenti. Vederlo alla City Opera serviva per ricordare come solo poche delle nuove presentazioni "di moda" che si danno al Lincoln Center hanno veramente la profondità di visione personale che Marta Clarke ha profuso in questa regia. Molte delle tradizioni sceniche dell'opera più rappresentata di Gluck erano intatte: i danzatori sul palco facevano le veci del coro, che cantava dalla buca dell'orchestra, e veniva inserita l'intera sequenza della musica da ballo nel finale. L'opera avrebbe potuto essere rappresentata senza intervallo dopo l'ingresso di Orfeo nell'Ade dal momento che non c'era necessità di cambiare i costumi.

I sopratitoli cambiano radicalmente l'esperienza dell'andare all'opera e forniscono allo spettatore la grande opportunità di apprezzare pienamente quanto accade sulla scena. Solo pochi americani sono così versati in una particolare lingua straniera, o conoscono così bene il libretto, da essere in grado di seguire il testo in lingua originale parola per parola quando viene cantato. I sopratitoli permettono di focalizzare l'attenzione sulla credibilità della recitazione e sul lato visuale di una messa in scena in generale. A tutto quanto è stato scritto sul modo in cui i cantanti siano sollevati dal dovere di esprimersi con buona dizione si potrebbe aggiungere che non dovrebbero neppure più preoccuparsi di essere sentiti. In tempi recenti i registi hanno usato la libertà offerta dai sopratitoli per rinnovare le scene ed i costumi di opere conosciute al solo scopo di essere sconfitti dall'evidenza del testo che il pubblico sta leggendo. In questo Orfeo la possibilità di seguire una traduzione precisa confermava l'uso intelligente delle immagini di danza da parte di Marta Clarke. Dal momento che utilizza i sopratitoli da molto più tempo rispetto al Met, la City Opera sembra godere di più ampia libertà nella presentazione della versione inglese, così come dimostrato nella recente Partenope. In luogo di lunghi periodi di schermi vuoti durante gli ensemble, quando il testo viene ripetuto, la City Opera intelligentemente proiettava frasi scelte in modo da conferire un senso a quanto veniva cantato.

Una descrizione della trama, comprese le coreografie ed il loro contributo al lavoro, mostreranno come sia adatta a quest'opera la visione che ne ha Marta Clarke. Il compianto di Euridice da parte di Orfeo è accompagnato da danzatori che vagano lentamente in un piano inclinato disseminato di pietre. Facendo da eco al dolore di Orfeo, le danzatrici si lanciano contro i loro partner, momentaneamente sospesi in posizioni immobili che esprimono una tormentosa rassegnazione. Mentre tutti silenziosamente si struggono per la sua perdita, lo spirito di Euridice (la cantante Amy Burton in carne ed ossa intelligentemente illuminata da un unico spot) se ne va. Amore offre ad Orfeo il modo per riguadagnare il suo perduto amore: egli deve guidarla fuori dagli inferi senza mai guardarla e neppure darle spiegazioni. Con una magnifica supplica Orfeo affronta coraggiosamente gli spiriti dell'Ade, mentre, nell'interpretazione della Clarke, le anime dannate si dibattono contro le rocce. Passando nei Campi Elisi, egli trova gli spiriti beati vestiti di nient'altro che di innocenza e purezza, saltellanti garbatamente al rallentatore in una delle immagini più coinvolgenti ideate da Marta Clarke. Euridice, completamente vestita, ora appare e Orfeo la conduce in un corridoio tra dirupi torreggianti. Nella parte musicalmente più riuscita della serata, ella accusa con veemenza Orfeo, all'apparenza indifferente, di non amarla mentre egli non può far altro che negare le sue proteste senza rivelare il suo giuramento. Le condizioni poste da Amore alla fine lo mettono alla provatroppo duramente, si volta verso Euridice ed ella muore ancora una volta. La famosa aria di Orfeo, Che farò senz'Euridice è richiesta ancora una volta daAmore che la riporta in vita. I solisti disputano filosoficamente sull'amore mentre i danzatori scorrazzano come bambini turbolenti. Uno scheletro è usato da tre danzatori in altrettanti differenti modi simbolici.

E' un peccato che non si sia utilizzata una versione francese, così come si era optato per l’Ifigénie en Tauride della passata stagione. Le frasi terse di Gluck sembrano più adatte al francese che all'italiano, e i cantanti più compassati di oggi potrebbero in questo modo chiaramente evitare confronti con le grandi interpreti del passato come Ebe Stignani e Marilyn Horne, che, ai tempi, preferivano la più diffusa versione in lingua italiana. In contrasto con il modo in cui si esprimono i cori in Italia, la lingua italiana del coro del NYCO suonava eccessivamente dolce e mancava di forza. Il ruolo di Orfeo era interpretato da Artur Stefanowicz, che, pur nei limiti della tecnica di controtenore, ha cantato bene, scegliendo saggiamente di evitare l'alternativa del finale più alto in conclusione della sua aria principale. La sua recitazione combinava le classiche mani in tasca delle avanguardie con i rappezzi buoni per tutti gli usi dello stile melodrammatico tradizionale, non soddisfacenti dal punto di vista registico per il protagonista dell'opera. Nella parte di Euridice, Amy Burton ha spinto la sua voce dolce ai suoi limiti drammatici durante le appassionate proteste al suo sposo, apparentemente senza cuore. Completava il cast nella parte di Amore Robin Blitch Wiper, che, piuttosto leggera vocalmente, si arrampicava agilmente tra le rocce per comunicare gli ordini degli dei ad Orfeo. I danzatori si sono mostrati tutti all'altezza. Il coro della City Opera diretto da Gary Thor Wedow ha offerto un giusto fraseggio musicale, ma quando non cantava il coro, il direttore Derrick Inouye ha optato per una continua  variazione dei tempi, non molto ispirata benchè gradevole all'ascolto.

L'orchestra ha suonato sui suoi livelli abituali, con l'oboe e gli archi solisti particolarmente degni di nota. Come fondale per la scena disseminata di rocce, John Conklin ha usato immagini che passavano da un paesaggio desolato simile all'Anatolia centrale ad una facciata tagliata nella roccia che avrebbe potuto venire da Petra, in Giordania. Jane Greenwood ha vestito i cantanti ed i danzatori in soprabiti neri a doppiopetto durante le tetre scene nel mondo degli Inferi con l'ausilio di efficaci luci ad opera di Stephen Strawbridge. Per il finale, i soprabiti venivano abbandonati a favore di trasandati abiti beige con stivaletti neri per le donne e camicie e pantaloni chiari per gli uomini