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CHRISTOPH WLLIBALD GLUCK Di umili origini, autodidatta, Gluck amò la cultura
con la passione del neofita. Artista
riflessivo e cauto,a quasi cinquant’ anni si rese protagonista di una
rivoluzione:dal suo incontro, nella Vienna cosmopolita,con Ranieri De’
Calzabigi scaturì quella riforma dell’ opera seria all’italiana che la
trasformò in un’ azione scenica coesa e ben strutturata.
Giunto a Vienna nel 1761, Calzabigi fu spinto a collaborare con Gluck dal conte
Giacomo Durazzo, ‘Direttore generale degli spettacoli’ al servizio della
corte imperiale. A Vienna lavorava anche un altro italiano, il coreografo
Gasparo Angiolini, il cui progetto artistico era quello di infondere nella danza
la «verità espressiva»: insieme a Gluck e a Calzabigi aveva creato, nello
stesso anno, il balletto pantomima Don Juan ou Le festin de pierre .
Protagonista dell’«azione teatrale» Orfeo ed Euridice (azione
teatrale nel senso di rappresentazione di circostanza, festa allestita per
un’importante ricorrenza, in questo caso per il giorno onomastico
dell’imperatore) fu Gaetano Guadagni, castrato contralto che aveva studiato a
fondo la declamazione; era un interprete aggiornato, moderno, discepolo di David
Garrick, l’attore che il coreografo Noverre indicava come esempio per la sua
capacità di identificarsi nel personaggio. Il concorso di personalità simili,
e la coscienza teorica espressa successivamente soprattutto da Calzabigi, hanno
legittimato la definizione di ‘riforma’ del melodramma, valida per questa
come per le altre collaborazioni successive del poeta con il musicista ( Alceste
e Paride ed Elena ). Interessato al nodo fra poesia e musica e a tutte le
componenti del dramma (in primo luogo alla coreografia e alla dimensione
scenica, gestuale), Calzabigi racconta come avesse impostato il rapporto con il
compositore: «gli lessi l’ Orfeo e gliene declamai in più volte
parecchi frammenti, sottolineando le sfumature della mia declamazione, le
sospensioni, la lentezza, la rapidità, i suoni della voce, ora pesante, ora
flessibile, di cui desideravo facesse uso nella sua composizione. Lo pregai
contemporaneamente di bandire i passaggi, le cadenze, i ritornelli, e tutto ciò
che di gotico, di barbaro, di stravagante è stato inserito nella nostra musica.
Il signor Gluck aderì ai miei punti di vista». La vicenda dell’ Orfeo
è lineare e molto semplice, sviluppata in poche scene che formano quadri fra
loro contrapposti; i personaggi sono solamente tre (anche nelle feste e azioni
teatrali di Metastasio spesso i personaggi sono pochi). La prima
opera ad assumere in se molte delle innovazioni della moderna concezione,
mostrando un impianto scenico unitario e ricco,una nuova fusione tra azione e
musica,un nuovo impasto fra voci e orchestra,fu l’ Orfeo ed Euridice che, con
l’ Alceste e il Paride ed Elena, merita una collocazione di rango nella storia
del teatro musicale. L’opera, o meglio “azione teatrale per musica”
in tre atti debuttò al Burgtheater di Vienna (ossia il Theater bei der Hofburg
che lo stesso Gluck aveva inagurato nel 1748 con la Semiramide riconosciuta),
diretta dall’ autore e con il personaggio di Orfeo interpretato dal castrato
Guadagni. Una nuova versione andò in scena a Parigi nel 1774 Gluck sfoggia una essenzialità che mira a una più
compiuta aderenza della musica alla struttura drammatica:parallelamente, il
Calzabigi ha strutturato il racconto in maniera lineare evitando la disperzione
tipica del dramma italiano e delle tragèdie lyrique francese in ramificazioni
secondarie. Impegno strumentale, varietà strutturale e ritmica , assiduità della danza, stile disadorno del canto sono tutti elementi che fanno dell’ Orfeo viennese un momento focale della riflessione riformatrice di Gluck.Rappresentata per la prima volta a Vienna nel 1762, Orfeo ed Euridice, sul libretto del Ranieri de’ Calzabigi è l’ opera con la quale Gluck avviò la sua riforma del teatro dell’ opera: più importanza al coro,più importanza all’ orchestra e all’ armonia, abolizione dei virtuosismi canori,fusione dei diversi numeri che compongono le scene,mirando però agli obiettivi della chiarezza e di verosimiglianza. Il soggetto, celebratissimo nel Rinascimento da Poliziano a Monteverdi, riprende il mito classico del cantore tracio Orfeo,che si reca nel regno dei morti per riavere la sua promessa sposa Euridice:non dovrà voltarsi a guardarla fino a che non sarà tornato nei mondi dei vivi. Orfeo trasgredisce e perde per sempre Euridice; ma non così nell’ opera di Gluck, dove, grazie all’ intervento del “deus ex machina” Amore, la vicenda si risolve in un lieto fine. All’
inizio del secondo atto, Orfeo è di fronte alle Furie, poste a guardia del
regno dei morti:incutono timore, ma conoscono la sofferenza. Orfeo cerca di
placarle con il suono della sua arpa, ma ne riceve in risposta un orrido coro
ostile: nessun vivente può accedere agli Inferi. Quindi le Furie si lanciano in
una danza sfrenata, per completare poi il loro canto con una nuova frase.La
musica che ha introdotto la scena si ripete, dopo di che Orfeo intona un ‘
aria , ma riceve ancora un ostinato rifiuto. Tuttavia, qualcosa nelle Furie è
cambiato: il loro canto si attenua, anche se non del tutto,con una nuova aria,
Orfeo paragona la propria sorte a quella delle Furie; dopo un terzo, languido
intervento del cantore, le Furie si placano definitivamente; quindi riprendono
il loro tono imperioso, ma questa volta per aprire le porte a Orfeo Quando
l’ Orfeo fu rappresentato a Parma, nel 1769, diventò parte del
trittico Le feste d’Apollo , su testo di Carlo Innocenzo Frugoni,
allestito da Gluck per celebrare le nozze del duca Ferdinando con la figlia di
Maria Teresa d’Austria. Nella terza parte della festa, l’Atto d’Orfeo, il
lavoro originale venne eseguito senza intervalli e con la parte del protagonista
riscritta per un soprano castrato, Giuseppe Millico. Successivamente l’opera
fu rappresentata a Londra (con aggiunte di Johann Christian Bach e Pietro
Guglielmi), Bologna, Firenze e Napoli. Reduce dal successo parigino di Iphigénie
en Aulide , Gluck rielaborò la partitura per l’Académie royale de
musique (l’Opéra). La nuova versione, su libretto francese di Pierre Louis
Moline (sulla scorta di quello di Calzabigi), andò in scena a Parigi il 2
agosto 1774. A causa dell’allergia del pubblico francese per il timbro dei
castrati, la parte del protagonista fu riscritta per haute-contre , un
tipo di voce maschile solitamente impiegata per le parti di eroe o di amante
nelle opere francesi. Nella versione parigina vennero aggiunti nuovi brani
vocali e strumentali: un’aria di Amore (“Si les doux accords de la lyre”),
una di Orfeo, accesamente virtuosistica, nello stile dell’opera seria italiana
(“L’espoir renaît dans mon âme”, forse composta da Ferdinando Bertoni;
Gluck l’aveva già inserita nell’Atto d’Aristeo, seconda parte delle Feste
d’Apollo del 1769, e ne Il Parnaso confuso del 1765), la danza
delle Furie tratta dal balletto Don Juan , un’aria con coro per
Euridice (“Cet asile aimable et tranquille”), la struggente parte centrale
(per flauto solista) della danza che apre la scena degli Elisi, un terzetto (“Tendre
Amour”) e alcune danze dell’ultimo atto. Nell’orchestrazione furono
apportate numerose modifiche; alcuni strumenti che caratterizzavano la versione
viennese (ad esempio, i tre cornetti della trenodia iniziale) vennero
sostituiti. Nel 1813, a Milano, la parte di Orfeo fu cantata per la prima volta
da una donna; la più famosa interprete ottocentesca del ruolo fu Pauline
Viardot, per la quale Berlioz imbastì la sua edizione dell’opera, in quattro
atti (1859), attuando una sorta di compromesso fra la versione viennese e quella
francese, sulla traccia di quest’ultima. L’opera è stata spesso
rappresentata in italiano, nella seconda metà dell’Ottocento, in versioni
ibride, sulla scorta dell’edizione di Berlioz, ma con brani che questi aveva
omesso: ad esempio, una rielaborazione è stata pubblicata da Ricordi nel 1889.
Nel Novecento hanno cantato Orfeo , fra gli altri, Kathleen Ferrier, Rita
Gorr, Ebe Stignani, Giulietta Simionato, Grace Bumbry, Marilyn Horne, Shirley
Verrett, Janet Baker, Dietrich Fischer-Dieskau, Hermann Prey (questi nella
versione per baritono), Léopold Simoneau e Nicolai Gedda (nella versione del
1774 per tenore). Recentemente alcuni controtenori (John Angelo Messana, René
Jacobs e Derek Lee Ragin) hanno cantato la versione originale. |