Visual Thinking – l’iconologia. Aby Warburg e l’estetica dell’immagine

di Viviana Molino

Storico della cultura, attento conoscitore della storia dell’arte, Aby Warburg, attraverso il lavoro e gli studi di tutta la vita, ha contribuito alla fondazione di quella che Giorgio Agamben ha definito la “scienza senza nome”, il risultato cioè di una contaminazione concettuale, una scienza olistica che, a partire dallo studio delle immagini d’arte, spazia in un contesto multidisciplinare.

Il primo viaggio a Firenze, nel 1888, fu decisivo per la definizione del suo approccio interdisciplinare allo studio delle immagini; il professor A. Schmarsow, che guidava il gruppo di studio di cui Warburg faceva parte, aveva inaugurato un particolare metodo di studio per la storia dell’arte aperto ai contributi di altre discipline come l’antropologia, la psicologia e la fisiologia, sostenendo l’importanza del ruolo dell’empatia, Einfühlung, nella fruizione dell’opera d’arte, rifacendosi in particolar modo agli studi di R. Vischer.

Warburg, incline al superare le frontiere disciplinari, indirizza quindi le sue ricerche allo studio del potere umano dell’espressione trasposto nelle immagini simbolo dell’arte del cinquecento fiorentino.

In quello stesso periodo fu determinante per i suoi sviluppi teorici la lettura del testo di Darwin L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali, grazie al quale comprese la necessità biologica dell’espressione corporea delle emozioni. Con Darwin Warburg approda allo studio della “scienza dell’espressione” che gli serviva per poter comprendere a pieno la logica dei gesti patetici che ritrovava nelle immagini d’arte del Rinascimento.

Nel primo capitolo del testo, Darwin propone i principi generali che caratterizzano la “scienza dell’espressione” e che Warburg traspone ai suoi studi iconologici.

L’impronta (primo principio fondamentale) è definita come azione diretta del sistema nervoso sui gesti corporei indipendentemente dalla volontà, introducendo, in tal modo, il concetto di memoria inconscia che guida gli atti espressivi.

Lo spostamento (secondo principio fondamentale) indica il principio secondo cui lo stesso stato d’animo determina i movimenti, secondo un processo di associazione.

L’antitesi (terzo principio fondamentale), invece, prevede che determinati stati d’animo provocano particolari atti espressivi e stati d’animo opposti generano movimenti di natura opposta.

Questi tre principi dell’espressione hanno contribuito all’elaborazione del concetto warburghiano di Pathosformel e, in particolare, il principio di impronta o di memoria inconscia fu usato da Warburg per caratterizzare la sopravvivenza nelle immagini dell’arte rinascimentale di determinati gesti, posture o movimenti intensificati di panneggi e capelli.

È da questo punto, dall’indagine antropologica e scientifica del gesto nell’ambito delle immagini, che prende forma l’estetica warburghiana.

L’immagine è intrinsecamente legata alla cultura nel senso più vasto del termine.

Storia dell’Arte e Storia della Cultura, infatti, si intrecciano in un unico fluire che le rende inscindibili, per leggere un’immagine bisogna considerare il rapporto forma–contenuto, far emergere cioè dati specifici di una data epoca, analizzandone il contesto e rintracciandovi elementi di tempi anacronici.

L’immagine, nella visione iconologica warburghiana, è quindi elemento fondante di un fenomeno antropologico che porta in sé le tracce di una cultura e di un particolare momento storico.

La storia dell’arte, inserita in questa dimensione multidisciplinare, è sottratta ai dettami del puro estetismo e soprattutto delle forme morte.

Il modello classico, il Nachleben der Antike che Warburg osserva nelle opere d’arte rinascimentale, non è da considerare come ideale di bellezza, distanziandosi, in tal modo, dai teorici settecenteschi, che ritenevano la poesia l’unica eletta in grado di riuscire a rendere fugacità e movimento.

Il modello classico è inteso come mezzo a disposizione degli artisti grazie al quale poter rappresentare il patetico e l’espressivo superando in questo modo il limite sostenuto da Lessing tra poesia e pittura.

Warburg più tardi infatti parlerà di fossili viventi, che si animano, che prendono vita in un perenne movimento, sono le Pathosformeln.

Fossili in quanto evocano la sopravvivenza come memoria psichica, ma sono fossili in movimento in quanto in esse si condensa l’energia del gesto, del movimento.

Ninfa ad esempio, Pathosformel per eccellenza, non è solo riutilizzo rinascimentale di formule dell’antichità, ma è espressione di movimento, tensione tra forma e contenuto.

A questo proposito Giorgio Agamben ha scritto:

Un concetto come quello di Pathosformel, in cui non è possibile distinguere tra forma e contenuto perché designa un indissolubile intreccio di una carica emotiva e di una formula iconografica, è sufficiente testimonianza del fatto che il suo pensiero non si lascia in alcun modo interpretare nei termini di una contrapposizione così poco genuina come quella forma / contenuto, storia degli stili / storia della cultura.

 

Lo studio sistematico delle immagine, l’analisi che ne fa attraverso culture differenti e attraverso discipline all’apparenza sconnesse, porta Warburg ad un viaggio nella memoria storica, sociale ed inconscia che si manifesta appunto nelle immagini; e qui non si fa riferimento solo alle immagini d’arte.

La memoria sociale riesce ad emergere, come sintomo inconscio, nelle rappresentazioni iconografiche conservando in sé tracce del percorso storico.

Ne è un esempio l’esperimento che fa nel 1896 all’Indian Service School con dei bambini Hopi (vedi pag. 42).

In ognuno di noi, secondo Warburg, vivono e sopravvivono i fantasmi di tutta la nostra cultura che si manifestano come residui vitali della memoria.

Mnemosyne. La memoria è uno dei punti centrali delle ricerche di Warburg che ne indaga il ruolo nella cultura, anche se non elaborò mai in modo sistematico una relativa teoria.

Il patrimonio ereditario della memoria, che Warburg cita nell’introduzione del Bilderatlas Mnemosyne, è un concetto che riprende dagli studi del biologo, zoologo e neurologo tedesco Richard Semon, il quale sosteneva che nella memoria restano tracce, impronte neurobiologiche immagazzinate come variazioni biofisiche nel tessuto del cervello, chiamate engrammi, ovvero tracce mnemoniche conseguenze di processi di apprendimento o di esperienze.

L’energia conservata in questi engrammi, in determinate circostanze, viene riattivata e si manifesta.

Applicando questa teoria ai suoi studi emerge che il corrispettivo dell’engramma nella storia delle culture è il simbolo.

 Warburg esplora cioè l’estetica della dimensione simbolica.

Nel simbolo si ritrovano condensate le energie da cui il simbolo stesso deriva, energie scaturite da esperienze primitive conservate negli strati arcaici della mente.

Il simbolo si manifesta nella gestualità come sintomo; il linguaggio del corpo e i gesti, di cui noi stessi siamo gli attori, derivano appunto dalle antiche tradizioni pagane, cristiane o ebraiche.

L’uomo primitivo ha coniato le espressioni, simboli di determinate reazioni, che sopravvivono come archetipi dell’esperienza umana (panico, ira, dolore, terrore…).

Ecco allora spiegata l’importanza per la cultura occidentale dell’antichità greca “dionisiaca”, rinnegata come espressione di estasi e di atti orgiastici, ma generatrice di un codice gestuale che ha dato la possibilità agli artisti rinascimentali di interpretare le espressioni umane più profonde.

Warburg, sismografo della storia delle immagini, nel corso dei suoi studi ha tentato di tracciare il percorso delle immagini “sintomo”, delle raffigurazioni cioè delle immagini sopravvissute nella memoria storica che si manifestano anacronicamente e che custodiscono la carica simbolica di un’appartenenza arcaica.

Si può affermare che paradigma vivente del pensiero estetico di Warburg è il suo ultimo progetto, l’atlante che dedica alla memoria del mondo, il Bilderatlas Mnemosyne, un susseguirsi di tavole in cui le immagini, accostate senza un evidente nesso logico, sono il risultato di un montaggio volto a mappare le costanti della memoria occidentale.

L’eredità lasciata da Warburg, quest’opera incompiuta, non è altro che la sua riflessione teorica che sceglie di affidare alle immagini piuttosto che alle parole, in modo tale da potersi esprimere liberamente, senza dover badare alla rigidità delle sequenze cronologiche e narrative.

Il contributo di questo psicostorico, come lui stesso amava definirsi, ha una portata del tutto innovativa, per il suo approccio interdisciplinare, che ha ridefinito lo studio della storia dell’arte, e soprattutto per il suo particolare metodo iconologico che ha dato il via ad una tradizione di studi sull’interpretazione delle immagini.

Il carattere rivoluzionario del pensiero di Warburg, caduto nell’ombra dopo la sua morte, è stato rivalutato solo verso la fine del XX secolo, offrendo le chiavi per poter interpretare la storia e inquadrare nel giusto modo le icone del presente.

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