Vanno in fumo i diritti delle popolazioni indigene dell’Amazzonia e il commento di Papa Francesco

di Anna Savarese, Architetto di Legambiente Campania

Gli incendi in Amazzonia di questa estate non sono solo un grave problema ambientale per la perdita di biodiversità e per l’accelerazione ai cambiamenti climatici, ma costituiscono un vero e proprio attentato alla sopravvivenza delle popolazioni indigene, tanto da potersi configurare come un potenziale genocidio.

Dietro gli incendi c’è l’agro-business di Bolsonaro, volto a recuperare col disboscamento e sottraendole ai contadini locali ulteriori terre da parte di aziende, anche multinazionali, interessate a realizzare pascoli e colture estensive di mangimi. Infatti il Brasile è il secondo produttore mondiale di carne bovina e soddisfa, con le sue esportazioni, un quarto del consumo mondiale. L’esigenza di incrementare le produzioni è dovuta ai nuovi fabbisogni emersi con lo sviluppo dei paesi asiatici, in primis della Cina, principali importatori delle carni. Ma anche l’Europa e la stessa Italia importano un notevole quantitativo di carne dal Brasile e peraltro se ne prevede un incremento del 30% con la stipula dell’Accordo del Merconsur (riduzione dei dazi e imposte per l’import delle carni e parallelamente dell’export verso l’America Latina delle auto di grande cilindrata).

Il land grabbing è ormai diventato un’attività di lobbying che fa ricorso anche a manovre illegali e incostituzionali: Bolsonaro, calpestando diritti acquisiti in oltre 50 anni di lotte, sta cercando progressivamente di ridurre e vanificare le funzioni e le risorse del FUNAI (Fondazione Nazionale dell’Indio), il Dipartimento Governativo appositamente dedicato alle questioni indigene, per cui la resistenza dei popoli locali diviene sempre più difficile e richiede supporti legali e azioni politiche di carattere e valenza internazionali.

In questa drammatica vicenda estiva è emersa chiaramente la ferocia della politica del Presidente brasiliano che dopo l’innesco degli incendi ha reagito violentemente e diffamandoli variamente alle critiche degli scienziati e delle ONG, arrivando anche a licenziare Ricardo Galvão, il direttore dell’Istituto spaziale per la diffusione dei dati sui roghi. Fortunatamente non si sono fatte attendere le manifestazioni di critica che si sono diffuse in tutto le maggiori capitali del mondo ma anche nello stesso Brasile, dove migliaia di cittadini sono scesi in piazza protestando pacificamente ma rumorosamente, con tamburi e pentole. Proteste contro la dissennata politica di Bolsonaro si sono avute ovviamente anche da parte dei giovani dei Fridays For Future, già impegnati con la stessa Greta Thunberg (intanto sbarcata a New York dopo la traversata velica oceanica) nell’organizzazione della partecipazione della giovane attivista al vertice al Palazzo di Vetro dell’ONU del 23 settembre.

Bolsonaro comunque si è deciso a far intervenire l’esercito per spegnere gli incendi continuando però a rifiutare l’aiuto della protezione civile mondiale solo quando il livello delle rimostranze e accuse è esploso sui social e forse soprattutto solo davanti alle minacce del vertice degli stati del G7 di Biarritz di tagliare tutti i contributi al Brasile e di rivedere l’accordo di Mercosur sul libero scambio delle merci sottoscritto appena a giugno scorso dopo 20 anni di trattative tra l’Unione e Europea da un lato e Brasile, Argentina, Uruguay e Paraguay dall’altro.

In Amazzonia vivono oltre un milione di indios, articolati in circa 500 comunità e deprivarli del loro habitat significa distruggerli sia fisicamente che culturalmente. L’importanza della biodiversità non riguarda solo le specie cosiddette animali o vegetali ma anche il complesso delle varie etnie che hanno instaurato con i loro territori rapporti di co-evoluzione sapendo coesistere con le risorse ambientali e naturali in un rapporto equilibrato e non teso alla sopraffazione e allo sfruttamento.

L’ ecosistema amazzonico, peraltro, non è oggetto di sfruttamento solo da parte dell’agro-business, ma anche dell’industria del legno, delle estrazioni minerali, dei cercatori d’oro che sempre più numerosi hanno via via portato fattori di contagio tra le popolazioni indigene innescando epidemie che hanno sterminato intere comunità, soprattutto quelle più isolate, visto che in Brasile c’è la più alta concentrazione (almeno 80 comunità stimate) di popoli mai venuti a contatto con l’esterno.

Secondo dichiarazioni del Survival International una delle più grandi organizzazioni a difesa dei popoli indigeni l’Istituto socio-ambientale brasiliano ha stimato in almeno 148 le aree in cui vivono popolazioni indigene minacciate dagli attuali incendi con situazioni gravissime e forse irreversibili nel 10% di esse.

Mobilitati contro la politica dissennata del Presidente del Brasile Jair Bolsonaro i Guaranì del Mato Grosso hanno dichiarato agli attivisti del Survival International “Se i popoli indigeni si estinguono e muoiono, saranno in pericolo le vite di tutti perché noi siamo i guardiani della natura. Senza foresta, senza acqua, senza fiumi non c’è né vita né speranza per nessuno. Abbiamo resistito 518 anni fa; tra vittorie e sconfitte continuiamo a lottare, la terra è nostra madre. Finché splenderà il sole e all’ombra di un albero ci sarà aria fresca, finché ci sarà ancora un fiume in cui bagnarsi, noi continueremo a combattere».

Ciò rende palese che invece di essere massacrati e offesi, questi popoli dovrebbero essere ringraziati e gratificati dal mondo intero perché sono i migliori custodi del Pianeta. Laddove i cosiddetti paesi sviluppati hanno finito con il compromettere la stessa speranza di vita della Terra, con le competenze scientifiche di oggi possiamo riconoscere che è solo grazie a queste popolazioni che abbiamo ancora speranza di contrastare i cambiamenti climatici (perché ci hanno preservato le foreste pluviali) e di conservare un ingente patrimonio di biodiversità visto che la stragrande maggioranza dei 200 luoghi del mondo a più alta biodiversità individuati sulla Terra è abitata da loro che hanno saputo salvaguardarla.

Lottare al loro fianco per la difesa dei loro diritti è un impegno civile e cultuale cui non ci si può sottrarre non solo per il rispetto e la gratitudine che dobbiamo loro, ma anche perché difendendo loro difendiamo tutta l’umanità e salviamo il Pianeta.

Ad anticipare tutti in questa assennata visione e su questo percorso è stato Papa Francesco che già nel 2017, cosciente della gravità della situazione in cui versano queste popolazioni indigene, ha indetto l’Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi per la Regione Amazzonica che si terrà dal 6 al 27 ottobre prossimi per riflettere sul tema “Amazzonia: nuovi cammini per la Chiesa e per un’ecologia integrale”.

La lungimiranza e l’ecumenismo di Papa Bergoglio, come già altrove si è detto, sta proprio nell’aver saputo cogliere la rivoluzione culturale che è dietro l’ecologia integrale per vincere le grandi sfide del terzo millennio non facendo affidamento solo o soprattutto sul potere della scienza e dell’innovazione tecnologica, ma stimolando le capacità innate nell’uomo di fare comunità, di dare solidarietà, di perseguire l’uguaglianza. Capacità che devono essere ravvivate da un nuovo umanesimo. Il temine nuovo significativamente e strategicamente utilizzato nei due documenti elaborati per il Sinodo (l’Instrumentum laboris e Nuovi Cammini per la Chiesa e per un’Ecologia integrale) è l’inculturazione, intesa come capacità dei cristiani in Amazzonia di non eliminare le culture autoctone con l’arroganza della sopraffazione, ma sforzarsi di comprenderle e anche farle proprie, “incarnarsi” in esse, riconoscendone l’alto senso di comunità, uguaglianza e solidarietà, la spiritualità specifica, finanche se fosse espressa dalle loro divinità perché rappresentano comunque manifestazioni di religiosità.

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