di Federico Giandolfi
Alla Certosa di San Martino (Vesuvio quotidiano-Vesuvio universale. Mostra sul Vulcano) si può contemplare la trasposizione artistica e le diverse figurazioni che il Vesuvio ha suscitato nel corso degli anni. E’ una importante occasione non solo per fruire di bei dipinti, stampe, ceramiche e realizzazioni, ma soprattutto per una riflessione sui significati profondi associati all’enigma della sub natura.
“…Io vidi allora ciò che si vede una sola volta nella vita…Eravamo all’ultimo piano col Vesuvio proprio di fronte; il sole era tramontato da un pezzo e il fiume di lava rosseggiava vivido, mentre il fumo che l’accompagnava andava prendendo una tinta dorata; la montagna mugghiava cupa, sovrastata da una gigantesca nube immobile, le cui masse ad ogni nuovo getto si squarciavano balenando e illuminandosi come corpi solidi. Di lassù fin quasi al mare correva una lingua di braci e vapori incandescenti; e mare e terra, rocce ed alberi spiccavano nella luminosità del crepuscolo, chiari, placidi, in una magica fissità. All’abbracciare tutto questo con un solo sguardo, mentre dietro al monte, quasi a suggellare la visione incantevole, sorgeva la luna, c’era da trasecolare. Era aperto dinanzi a noi un libro che i millenni non bastano a commentare….le colonne di fumo, rompendosi in strisce e cumuli inondati di luce, risaltavano in ogni particolare, tanto che sembrava di poter discernere quasi a occhio nudo i macigni ardenti scagliati su dalla tenebra del grande cono.” (J. Wolfgang Goethe, Viaggio in Italia, Napoli, 2 giugno 1787.)
Nelle immagini e dipinti della Mostra, come icone familiari, colpisce in primo luogo quel fuoco che si erge, brucia e distrugge, si fa nuvola nera, fumo che si innalza e minaccia il Cielo, ma che poi ripiega, ricade sotto la gravità che ne assoggetta inesorabilmente la materia. La forza ctonia acquista slancio e ardore, appunta al Cielo sfidandone i designi, in un sempre rinnovato combattimento titanico, ma in qualche modo è contenuta e respinta. Ci ricorda il passato terrestre ancora vigorosamente presente. L’impressione è confermata anche dall’inquietante opera dell’iraniano Bassiri “Meteoriti”, allegoria visiva del Vesuvio, allusione alla materia caduta dal Cielo che pretende trovare nuovo slancio.
Ma appunto, si osserva una massa appesantita, un grave con l’estremità appuntita che indica sfida, ma confinato a ruggire e ruggire senza mai potersi elevare dalla sua gabbia che pur suscita terrore e sparge distruzione. Ecco, la prima impressione è questa lotta perenne tra sub natura e Cielo, dagli incerti esiti.
Alcuni degli artisti presenti intuiscono di trovarsi di fronte alla Madre di tutte le forze, alla materia tellurica incontrollata e dalle mille forme, che esercita fascino e terrore, ma anche alimenta suggestioni, visioni, propone enigmi, ripropone i misteri.
E il mistero è sempre quello di trovare la via per collegare l’elemento naturale con l’elemento morale.
E che altro è il Vesuvio, idea archetipica del Vulcano e dei vulcani sparsi sulla Terra, se non forza della sub natura in costante movimento, permeata di slanci e passioni, riserva di impulsi volitivi distruttivi. Ecco, sto parlando del Vulcano come essere vivente, e non solo come metafora, ma in sintonia con le sensibilità artistiche che lo percepiscono e lo plasmano così. Come allora interpretare le due opere di Stefano Di Stasio, se non come una potente allusione al vero enigma del Vesuvio? In una, il Vulcano in eruzione fa da contralto alla edificazione del mondo quotidiano, in quanto presenza inquietante e imprescindibile, forse incubo esistenziale, o labirinto, da cui l’essere umano sensibile e volitivo deve emergere.
Nell’altra, la persona legata presenzia l’eruzione, consapevole di poter essere coinvolta e divenire tutt’una con le poderose energie sprigionate. Esse sono indicatrici di passioni e brame, di istinti e impulsi inferiori. Come membro della società ella è immersa nell’emozionale collettivo dei fondamentalismi e sovranismi, delle xenofobie e delle mille manifestazioni dell’odio, e di quant’altro oggi agita ed eccita ossessioni, fanatismi e lussurie. Potrà liberarsi dai legacci, eventualmente, quando avrà raccolto forze interne superiori per affrontare e trasmutare quei moti dell’anima che gli appaiono sempre più appartenenti alla sub natura.
Questo è il Vesuvio quotidiano e la sua sfida. Quello che alimenta i vulcani è uno stato interno alla Terra avvolto da un mistero che poco a poco si svela: osservato occultamente, è materia capace di rispondere e reagire alle passioni, istinti, impulsi. Qui Natura e morale si incontrano.
Alcuni artisti spingono la loro immaginazione fino a prendere come oggetto di indagine la fucina naturale che il Vulcano incarna, la quintessenza della materia nelle sue transizioni di fase e metamorfosi. E qui il fascino che essa esercita non ha limiti, nelle forme figurabili, nelle ceramiche e nelle suggestive immagini delle colate laviche, o nelle miniature della crosta terrestre dove si percepiscono anfratti, caverne, occulte vie sotterranee che conducono al parallelo mistero dell’oltretomba. Appunto, l’incantamento e l’illusione persistente della percezione sensoriale di chi vede solo pietre, pomici, magma fluido o solidificato, fino al legno carbonizzato, qui dispiega tutta la sua seduzione ma lascia aperta, all’osservatore senza pregiudizi, la strada alle cause interne di tanto divenire.
Il profilo del Vesuvio innegabilmente ha conquistato il mondo e continua a commuoverci; pure, può allo stesso tempo farci interrogare sul significato ultimo della materia. A Mefistofele che definisce il mondo spirituale come un nulla, Fausto risponde: “Nel tuo nulla spero di trovare il tutto!”
Possiamo quindi aggiungere:
“Cerca nell’essere tuo proprio e trovi il mondo. Cerca nell’agire del mondo e trovi te stesso.”
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