di Vincenzo Curion
-“Abbracciami”- “…Non posso…” (Kim ed Edward)
Uscito nel 1990 il film Edward mani di forbice si appresta a raggiungere il traguardo dei trent’anni, consolidando di proiezione in proiezione, il proprio ruolo di film di culto. Nato dalla mente visionaria di Tim Burton, che negli anni dirà che questo è il film che più rappresenta la sua opera, questa favola gotica è divenuto un’icona di una generazione, emblema di un disagio, che è ancora attuale, e di una purezza che fa piacere ritrovare, sia pure attraverso il mezzo filmico. La storia raccontata è una fiaba drammatica che ha per protagonista una creatura umana sprovvista delle mani, sostituite da diverse affilatissime forbici. La vicenda è narrata da una nonna alla propria nipote, una sera d’inverno durante una nevicata. Grazie al mezzo del flashback, l’anziana donna racconta un episodio ambientato nel sobborgo americano dove vivono. In un tempo non meglio precisato, a cavallo tra gli anni cinquanta e settanta del novecento, case dai colori pastello, vialetti tutti uguali e finemente curati, automobili, ugualmente dai colori sgargianti come fossero disegnate dalla mano di un bambino, e un clima apparentemente estivo, la cui stucchevole raffigurazione anticipa quella di un altro film del 1998 “The Truman Show”, restituiscono l’immagine di una cittadina estremamente anonima, dove neppure compaiono insegne, nomi di strade o scritte pubblicitarie.
Con queste premesse lo spettatore entra nella città-narrazione, ma è come se non arrivasse in nessun posto tant’è il senso di disorientamento e la visione fortemente stereotipata del luogo e della tipica famiglia americana che vi abita, che le immagini gli restituiscono. La cittadina è sormontata da una collina, sulla cui sommità vi è una la villa gotica diroccata, un tempo dimora di un inventore molto determinato che ha dato vita tra l’altro, a un ragazzo artificiale, di nome Edward. Il maniero oramai diroccato, un tempo lontano ospitava al suo interno congegni che ricordano l’estetica “steampunk” di alcune graphic novel del mondo a fumetti. Una lunga catena di montaggio, macchinari meccanici con bilancieri, ruote e pistoni, frutto di un’ingegneria meccanica spinta fino alla magia, operavano in cucina per realizzare classici biscotti natalizi a forma di stelle e di cuori. Fra queste mura abitava un geniale inventore che aveva avuto l’idea di modificare una di quelle macchine per farne un essere umano artificiale.
Lo scienziato, che ha il volto di Vincent Prince, attore molto stimato dal regista Tim Burton che nel 1982 gli dedicò il suo primo cortometraggio, “Vincent”, e icona del cinema horror degli anni 50 e 60 insieme a Christopher Lee e Peter Cushing, vive questa sua “paternità surrogata” istruendo Edward alle buone maniere, come avrebbe potuto fare Geppetto col proprio Pinocchio. Il ragazzo artificiale, frutto di un’evoluzione di una macchina per il taglio delle verdure, ha delle forbici al posto delle mani. Purtroppo, si scoprirà nel corso del racconto, prima di applicare delle mani alla propria creatura, il geniale creatore muore, lasciando l’umanoide smarrito e solo nel castello. Molti anni dopo la creazione di Edward, la rappresentante dei cosmetici Avon, Peggy Boggs, visita la villa gotica localizzata in cima alla collina della città, dove trova Edward tutto solo e isolato. Rendendosi conto che l’essere dalle dita taglienti è innocuo, o forse addirittura non curante della bizzarria di quelle lame, Peggy decide di portarlo a casa sua nella cittadina dove vive, per prestargli cure “per quelle cicatrici sul viso”. In realtà maldestramente, sperimenterà sul malcapitato i prodotti del campionario che lei stessa vende. Accoltolo in casa come fosse una qualunque persona, fin da subito la donna pone Edward in una serie di situazioni al limite del surreale e del tragicomico. Nell’apparente tentativo di procurargli un alone di normalità, gli affida dei vestiti, che lui indossa a fatica sopra la tuta aderentissima, fatta di tanti pezzi di pelle lucida. Lo fa accomodare nella camera da letto della figlia, dove il letto ha un materasso ad acqua, prontamente bucato dalle lame dell’ospite. Lo fa sedere a tavola con figlio e marito, ma mangiare piselli senza poter impugnare alcuna posata non è la cosa più semplice. L’episodio, che visivamente offre allo spettatore una forte visione di distacco –la famiglia è radunata al lato opposto della tavola rettangolare-, ricorda una versione riveduta della favola de “la volpe e la cicogna” di Esòpo. La padrona di casa diventa così l’emblema di coloro che, incuranti delle diversità, finiscono col mettere a disagio chi non ha comuni abilità. Invece di costruire un ambiente includente per il proprio ospite, si limita a offrire ad Edward la sua disponibilità a tenerlo lontano dalla villa dove il protagonista è nato, avendola giudicata, lei, troppo isolata e inospitale.
Nonostante il contrasto dell’oscuro ed intimidatorio aspetto di Edward con le colorate persone del quartiere, egli stringe una sincera amicizia con il figlio minore di Peggy, Kevin, e col marito Bill, anch’essi per nulla intimoriti dalle affilate forbici. Kevin, tuttavia, pensa di portare con sé Edward per mostrarlo ai compagni di classe, lasciando intendere di fatto di non considerarlo umano. Lo stesso Bill, durante la cena, cambia il nome di Edward in Ed, con disappunto della moglie che gli ricorda per ben due volte che il nome dell’ospite è Edward. Sapientemente, il gioco di inquadrature durante la sequenza della cena, lascia in qualche maniera presupporre che padre e figlio sono piuttosto attenti a mantenere intimamente la distanza da Edward.
L’altro membro della famiglia, Kim, la figlia adolescente di Peggy, rientra a casa dopo avere fatto una gita di alcuni giorni con il suo ragazzo belloccio e bullo, Jim, e con alcuni amici. Edward si innamora improvvisamente e perdutamente di Kim, nonostante l’iniziale terrore che Kim prova per lui.
Fra un misto di curiosità e di ironico cinismo – durante un barbecue, il ragazzo artificiale cuoce sulle proprie lame gli spiedini per tutti i partecipanti all’incontro – gli altri abitanti del quartiere di Peggy accolgono benevolmente Edward, rimanendo impressionati dalla sua abilità nel creare sculture vegetali con i cespugli utilizzando le lunghe lame che possiede. In seguito Edward applicherà questo suo talento anche per tosare i cani del vicinato e per creare degli strabilianti tagli di capelli alle vicine di casa. Questo fatto fa “crescere professionalmente” Peggy: al telefono riesce finalmente a parlare con la direttrice della casa cosmetica per la quale la donna lavora, e lei ed Edward vanno ad una trasmissione televisiva, dove il ragazzo artificiale viene posto sotto il fuoco di fila delle spettatrici, non senza qualche difficoltà, ma chiamando amici le persone che ha incontrato. In questo modo nell’intero vicinato nasce per Edward un sentimento di fiducia e simpatia, tranne che per un individuo: la fanatica religiosa Esmeralda, convinta che Edward sia il diavolo. Ma se Esmeralda si guarda bene dall’avvicinarsi al taciturno pallido ed emaciato, la signora Joyce Monroe, la snob vicina di casa di Peggy, è fortemente interessata al giovane e desidera fare soldi sfruttando il suo talento, proponendogli di aprire insieme un salone di bellezza dove egli applicherà le sue abilità. La donna, che al pari degli altri personaggi sembra non considerare minimamente la condizione dell’infelice prodigio, arriva addirittura a cercare di sedurre sessualmente Edward, che scappa da lei in stato di shock.
È proprio il racconto di Edward al resto della famiglia, della tentata seduzione che conferma allo spettatore la solidità della barriera tra i personaggi, per i quali, il racconto della vicenda è accolto nel massimo disinteresse. Edward che per tutto il film parlerà sempre pochissimo, appena 169 parole, dopo l’episodio con la signora Joyce Monroe, viene portato da Peggy in banca, per farsi prestare i soldi per il salone di parrucchiere che i Boggs pensano sia sacrosanto fargli aprire, visto il successo riscosso dai suoi tagli di capelli alle donne del vicinato. Malgrado la donna abbia accompagnato il suo ospite per raccontare dei prodigi del talentuoso tagliatore, il direttore che esamina la pratica, oppone fermo rifiuto. Gelidamente gli dice: “Con queste informazioni lei potrebbe anche non esistere. Provasse almeno a comprare un’auto, potrebbe girare con il tagliando dei disabili ed avere diritto ad un parcheggio”. Intanto Jim, che in un episodio precedente ha scoperto che Edward ha molto a cuore Kim e che il ragazzo artificiale è molto abile nello scassinare le serrature adoperando le proprie lame, ha un’idea. Nottetempo, lui con Edward, Kim e altri ragazzi entreranno in casa dei genitori di Jim per rubare. In questo modo potranno avere soldi a sufficienza: Edward potrà aprire il suo salone e Jim potrà comprare quel furgone nuovo di cui parla e che suo padre pretende che il figlio si compri da solo, lavorando. Il tentativo di furto, al quale partecipa Kim di malavoglia, finisce però male. Scatta l’allarme e Jim è lesto a scappare, portandosi via a forza Kim, che si oppone volendo aiutare Edward, il quale resta imprigionato fino all’arrivo della polizia che lo accusa di furto e lo arresta. Peggy riesce a farlo uscire di galera dopo che un esame psicologico ha rivelato che Edward, può “stare bene nel Mondo” e che le sue difficoltà sono solo uno strascico dovuto al lungo isolamento dalla società in cui ha vissuto. La pregressa condizione gli sta causando difficoltà perché non ha potuto maturare un vero e proprio senso di realtà e un pensiero logico. L’aiuto di qualcuno non meglio precisato, gli dovrebbe permettere di arrivare a distinguere chiaramente la differenza tra bene e male.
Sembrerebbe dunque che riportare Edward alla famiglia dei Boggs possa essere la soluzione di tutti i problemi. Purtroppo però Joyce, infuriata dal rifiuto di Edward, lo accusa ingiustamente di tentato stupro nei suoi confronti. Questa forte accusa, unita all’arresto per furto e alle continue calunnie di Esmeralda, rovina la reputazione di Edward presso il vicinato, che si chiude a riccio isolando anche i Boggs, malvisti per il loro ospite. Durante il periodo natalizio, Edward è rifiutato ed evitato da tutti. Kim ringrazia Edward per non avere detto niente alla polizia riguardo a loro, e gli chiede scusa per l’accaduto. Con sorpresa Edward ammette che sapeva che quella era la casa di Jim, e che non aveva detto niente perché a chiedere di aiutarlo era stata lei. Mentre preparano gli addobbi, Edward si mette a scolpire la statua di ghiaccio di un angelo. Ad ogni rapido colpo di lama, produce un getto di fiocchi di neve, sotto i quali Kim si mette a danzare affascinata. Improvvisamente Jim la richiama ad alta voce e Kim, girandosi di scatto, si graffia la mano con le lame di Edward. Jim se la prende ingiustamente con Edward, affermando che lui abbia volontariamente ferito la ragazza. Offeso, Edward corre via strappandosi i vestiti che gli avevano regalato e girovagando per il quartiere furioso distruggendo le sue opere. Questo attira l’attenzione dei vicini che impauriti chiamano la polizia. Kim, arrabbiata per il modo in cui Jim tratta Edward, rompe il fidanzamento. Peggy cura Kim e intanto ammette di essersi pentita nell’avere portato Edward fra la gente. Pensa che la cosa migliore per Edward sia che torni a casa sua al castello dato che non sarà mai accettato a causa della mentalità perbenista della cittadina.
Mentre Peggy e Bill escono a cercarlo, Edward ritorna a casa da Kim. In una commovente e drammatica sequenza lei chiede a lui di abbracciarlo e lui, finalmente consapevole della sua natura e della sua pericolosità, risponde amaramente “non posso”. Sarà allora lei ad abbracciarlo in maniera struggente, felice che stia bene, presagendo forse la precarietà di quella stretta. Jim intanto decide di tornare indietro, infuriato per il fidanzamento rotto da Kim, non sopportando l’idea che lei lo abbia lasciato. A fari spenti si avvicina alla casa dei Boggs, rischiando quasi di investire Kevin di ritorno dalla casa di un amico. Per salvare Kevin, Edward salta addosso al ragazzino, spingendolo al sicuro ma, senza volerlo, lo ferisce lievemente al volto. I vicini, che hanno assistito alla scena, sono però convinti che Edward abbia attaccato il bambino. A peggiorare la situazione, Jim si avventa su Edward sbattendolo per terra. Lui per liberarsi, ferisce Jim alla spalla. La polizia arriva e Edward scappa rifugiandosi nel suo castello. Il poliziotto che lo ha assistito in prigione, comprendendo il suo stato e intuendo che non è stata colpa di Edward, decide di lasciarlo andare, sparando dei colpi per simulare la sua uccisione e intimando alla gente di andarsene. Il vicinato tuttavia non gli presta ascolto, e irrompe nei giardini del castello. Edward si rifugia allora nella sua villa e scopre che Kim lo ha seguito. Anche Jim raggiunge l’abitazione di Edward e lo attacca armato di pistola. A causa della sua natura mite, Edward non riesce a reagire e solo dopo che Jim spintona via Kim, che cercava di difenderlo, reagisce d’istinto e lo infilza mortalmente spingendolo fuori da una finestra della villa sotto gli occhi del vicinato, che nel frattempo li aveva raggiunti. Kim confessa ad Edward l’amore che nutre nei suoi confronti e se ne va via dopo aver scambiato un bacio d’addio. Dopo aver preso un pezzo di ricambio di Edward, Kim lo mostra ai vicini, dicendo loro che Edward è morto per il crollo del tetto e che i due ragazzi si sono uccisi a vicenda. I vicini, abbagliati e forse rattristati dalla notizia, si allontanano dalla villa e tornano a casa. Il film si conclude con il ritorno al presente, dove la vecchia signora che raccontava la storia alla nipotina, si rivela essere Kim. Ella finisce il racconto dicendo che da allora non ha mai più rivisto Edward, avendo deciso di non incontrarlo più ritornando alla villa, preferendo che, siccome Edward sembra essere immortale per via della propria natura artificiale, lui la ricordi con il suo aspetto da giovane. Aggiunge però che, dalla sua scomparsa, ogni Natale cadeva la neve nel vicinato, cosa che non avveniva mai prima. Infatti è Edward, identico ad allora nell’aspetto, che fa nevicare scolpendo ogni inverno delle statue di ghiaccio. Nell’ultima, toccante scena del film egli viene mostrato scolpire appassionatamente il ghiaccio vedendoci danzare la giovane Kim.
L’opera di Burton, molto riconosciuta e apprezzata, è unanimemente considerata una favola sulla diversità e sull’inclusione dei diversi. Metafora della diversità, Edward non appartiene al mondo crudele e banale della cittadina ma figurativamente, rappresenta la fantasia, la gioia di vivere, la bellezza dei sentimenti più puri e spontanei. Ed è per questo che il mondo non riesce ad accoglierlo. La critica di Tim Burton è evidente: l’attuale società, così fatua e superficiale, vittima dell’ipocrisia imperante, ha dimenticato i sentimenti più puri, alimentando un mondo spietatamente crudele che non concede spazio alla sensibilità e alla diversità. Nel tentativo d’integrarsi, Edward compie un percorso di autoconsapevolezza della propria natura e della sua straordinaria umanità, cadendo vittima di un’incompatibilità di fondo che non può trovare risposta. La cecità e la superficialità con cui si incontrano Edward e l’universo della cittadina dove abitano i Boggs, è destinata a escludere il primo e a isolare tutti gli abitanti del quartiere, incapaci di provare quell’empatia che dovrebbe sostenere la vera inclusione.
Con felice intuizione, il regista compie due operazioni. Per un verso, esplora il comune sentire della borghese anonima cittadina, la quale tollera ed accetta “diversità” di Edward solo fino a quando è un artista, capace di gratificare a uso e consumo, ma lo respinge prontamente quando egli pretende d’essere uomo. Sarebbe troppo destabilizzante e perturbante, se l’eccentricità si intrecciasse con la quotidiana normalità, col pericolo di mandare in crisi quest’ultima. Da un altro lato, Burton, che cita l’influenza di Frankenstein di Mary Shelley, del Fantasma dell’opera di Gaston Leroux, del Gobbo di Nôtre-Dame di Victor Hugo, di King Kong e de Il mostro della laguna nera, guida lo spettatore a condividere la conoscenza della propria natura che Edward compie. Dalla scena in cui si guarda allo specchio, passando per la sequenza in cui prova sofferenza perché Kim gli preferisce Jim, fino a quella in cui si strappa i vestiti e distrugge le sculture topiarie fatte per il vicinato, è un excursus nella consapevolezza di sé che gli farà infine ammettere di non poter abbracciare, malgrado l’amore che prova per Kim. Quest’ultima, novella Laodamia, in un misto tra agalmatofilia e pietas, dapprima segue Edward su per la collina fino al maniero, lo difende contro Jim che è accorso armato di pistola e, una volta che Edward per difenderla agisce con violenza verso Jim, ammette il proprio amore per la creatura meccanica e baciatala, si allontana da Edward per andare ad annunciarne la fittizia morte ai cittadini accorsi. Quel bacio e quella bugia detta a fin di bene, suggellano un amore che non avrebbe potuto sopravvivere al giudizio della quotidianità ed al tempo. È nel giardino gremito di persone che si consuma un ulteriore colpo d’effetto. Nessuno dei cittadini si avvicina al corpo di Jim che giace morto dopo la caduta, come se non fosse mai stato membro di quella comunità. Semplicemente, dopo avere udito la spiegazione di Kim, scelgono di andare via come se nulla fosse, incapaci di emozionarsi. In questo modo dimostrano definitivamente di essere loro “disumani”, mentre Edward, malgrado la sua origine artificiale, risulta essere la vera figura umana di tutta la vicenda.
https://www.cinematographe.it/rubriche-cinema/focus/edward-mani-di-forbice-spiegazione-finale/
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https://en.wikipedia.org/wiki/Steampunk
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https://psicoart.unibo.it/article/view/3452/2818
https://www.artovercovers.com/2018/07/13/edward-mani-di-forbice/
https://www.silenzioinsala.com/165/edward-mani-di-forbice/recensione-film
https://www.mymovies.it/film/1990/edward/
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