di Redazione |
Napoli e Giordano Bruno: Salvatore Forte ha scritto in “Il Rinascimento Napoletano”, IVI, 2016 (vedi in rete) che su questo legame bisogna ancora dire tante cose – lo accompagneremo nella città – accompagnandolo nelle sue visite dove fornisce a dieci persone per volta gli suoi occhiali virtuali – dove rappresenta scene teatrali che hanno per protagonista Bruno. Il Nolano, come si definiva, passò a Napoli il tempo della formazione scolastica fino all’ordinazione sacerdotale e poco oltre.
La cappella funebre dedicata a San Martino fu probabilmente vista da Bruno – dice Frances Yates – a San Domenico Maggiore: oggi, chiarisce Forte, sarà forse quella di S. Caterina). L’ipotesi fu di Warburg, nel suo soggiorno napoletano, nel ’29, prima quindi del bombardamento del ’43. L’unica distruzione fotografata, dopo tanti anni di occupazione straniera, che stentano a finire. I padroni non stringono con la plebe: piuttosto la disegnano pessima e la placano con feste farina e forca, come titolava un libro di Vittorio Glejeses per definire lo stile di governo borbonico. Ferdinando fu amato perché intendeva rimanere e non agire da corsaro, seppure con lo stile tipico delle monarchie assolute.
A San Domenico Maggiore fu anche la Cattedra di San Tommaso, dove si svolgevano le funzioni e le lezioni dedicate ai frati studenti, tra cui Bruno, allora Filippo. C’era inoltre una Biblioteca fornitissima, vero faro della cultura, trasportata in tempi più recenti al Palazzo Reale. Bruno risiedeva a San Pietro Martire, la Chiesa con l’annesso Convento dov’è ora l’Università di Lettere (oggi Dipartimento di Studi Umanistici). Guadagnava qualcosa con l’amministrazione delle attività commerciali di Via Mezzocannone.
La cappella fu individuata da Warburg come possibile fonte di Bruno per sceneggiare il primo dei suoi dialoghi morali, ambientato nel firmamento, lo Spaccio della Bestia Trionfante, il più famoso dei dialoghi morali perché insegna la religione del suo futuro, del presente nostro ecumenismo. È una religione che afferma che le guerre di religione non sono religiose, non riguardano Dio, che la scrittura va interpretata quando dice, ad esempio, che Dio fermò il sole… Lo Spaccio fu scritto alla fine del ‘500, ma è attuale per molti versi: è in libreria solo dall’inizio del 1900, Gentile pubblicò i Dialoghi Italiani, cui si rifanno i volumi oggi in commercio per quel che li riguarda.
Bruno fu bruciato e così i suoi libri, ma si conservò nella cultura europea, tranne che per alcune opere perdute – in una fitta circolazione underground. Tutti lo lessero senza citarlo, nei paesi cattolici; Cartesio che gli era contemporaneo tenne conto di lui, rispolverò il Vivi nascosto di Epicuro, e visse il larvatus prodeo, mai parlare troppo. Nel caso la Chiesa ascolti, abiurare, come fecero Galilei e Campanella. Fuori dei paesi cattolici chi lo nominava poteva senza timore dare giudizi senza dire il debito: come Leibniz, il filosofo della ‘monade’ e del calcolo infinitesimale – i temi di Giordano Bruno. Kant e Jacobi, Schelling ed Hegel – nessuno cattolico – ne vantarono la grandezza e Bertrando Spaventa lo rese celebre in Italia – l’Italia risorgimentale non amava il Papa.
Ma Warburg anche più del fervore di studi che Spaventa suscitò in Italia, ne rivelò la grandezza come filosofo che pensa per immagini, dotato cioè di pensiero iconologico. Perché studiare i monumenti è capire la lingua delle pietre. Aby Warburg visitò il sacello nel 1929 e fermò la sua attenzione su questa Cappella Carafa di Santa Severina, edificata nel ‘500 dal conte Andrea Carafa: c’erano le costellazioni, il cielo pieno di stelle che ancora si vede nei soffitti delle grotte, stelle cui si sono attribuiti nomi e storie, per orientarsi ed aiutare la memoria. Lo attesta E. Canone (Magia dei contrari, Cinque studi su G. Bruno, Temeo, Roma 2005, p. 96-111; ha editato anche lo Spaccio nel 2001). Lui segnala la presenza anche di una traccia chiara di quel culto ermetico di cui Bruno fu fervente pensatore, con la mnemotecnica che era la sua prima scienza e che insegnava nelle Università.
Bruno così parlò di religione nel teatro animato dai personaggi portati in cielo dai miti e dagli Dei che li abitavano: l’Olimpo con Giove, Minerva-Sofia e Mercurio che discutono il destino dei vecchi abitanti del cielo, dei e semidei, animali come l’Orsa maggiore e la minore, il Capricorno, l’Ariete, lo Zodiaco tutto e poi anche Leda, Lyra, Andromeda, Ercole… tutte bestie trionfanti, disse Giove, ch’è il momento di allontanare dal firmamento. Perché? ci erano salite per far ricordare la favola, ammonimento e delizia, la storia che il marinaio solitario si racconta di notte cantando alle stelle, come in un vecchio film di Spencer Tracy che ogni tanto torna, quanto la tv in cerca di novità recupera antichità – dando occasione ad agghiaccianti confronti, in termini di tecnica e purtroppo anche di poesia.
Se il mondo cambia, pensa Bruno nel Rinascimento, e perciò sono cambiate le virtù: occorrono nuovi racconti. Continuare a guardare in cielo ammaestra solo se poi si dicono cose che hanno senso per i viventi: allora per fortuna non si potevano recuperare i vecchi film, e si creava la nuova narrazione, di qualità adeguata ai tempi, migliore del passato perché poteva tenerne conto.
Il teatro dello Spaccio racconta la morale nuova con la nova filosofia del Nolano, che cerca le migliori vie di comunicazione: in italiano, perché alla corte di Elisabetta si parla inglese; in teatro, perché è sempre la migliore maniera per creare un palcoscenico dove capire come va il mondo Ne fa la vita futura delle nuove costellazioni, salgono le Muse e le Virtù dell’Uomo che sa costruire da sé il suo destino, con l’aiuto di Dio, l’uomo dell’Asclepio che Dio ama – non quello della religione di allora, cui si raccomandavano digiuni e cilici per purgarsi dell’eterno peccato originale.
La nuova religione dell’Anima Mundi canta la pace religiosa. Bruno l’ambienta nel nuovo cielo di Perseo, di Orione, delle Muse. Unire la religione cristiana all’antica era un ritorno all’infanzia, all’età dell’oro, ora che occorre ringiovanire l’umanità: Copernico ha mutato il cielo dell’uomo, ha messo in moto il Sole.
Nel 1565 Filippo Bruno entra in convento dai domenicani: assumerà il nome di Giordano quando diventò dottore in teologia nel 1572. Aveva coltivato in Napoli il suo amore per la religione ma anche per la sapienza degli Egizi, anche perché abitava vicino all’attuale Piazzetta Nilo, dov’è il “corpo di Napoli”, la statua del Nilo, al centro del quartiere egizio sin dall’antichità, sede tradizionalmente indicata come quella del tempio di Iside (M. Ciliberto Introduzione a Bruno, 2006, p.109). E’ lì anche il Sedile di Nilo, indicato da una targa, il tribunale dell’antica Napoli dove Bruno ambienta Il Candelaio, l’opera teatrale scritta a Parigi e dedicata a Enrico III di Francia. Le religioni riformate diventano più terribili della cattolica, dirà Bruno quando dopo Ginevra, Parigi e Londra troverà pace in Germania, per vedere subito addensarsi le nubi. Sperando nel rinnovamento, Bruno tornò in Italia avendo scritto ormai opere mirabili: Bruno è uno degli edificatori morali dell’Europa, visse nelle corti, a colloquio coi re – come Tommaso Campanella, ne sosteneva il discorso ed era da tutti ammirato: ma era libero nel pensiero.
Già da ragazzo, a Napoli, dimostrava la sua mente vivace e ne era punito perché non sapeva star fermo al dogma e ragionava su tutto – è un peccato imperdonabile, la libertà, che però rende oggi così vivo il suo pensiero da fare lezione ai secoli: nella morale occorre ripensare tutto da capo quando si vede che tutto s’incrina, non scoraggiarsi:
agire, anche nel piccolo campo sicuri che
nello spazzio rinnova tutto il cielo
Se purgaremo la nostra abitazione,
se cossì renderemo novo il cielo,
nove saranno le costellazioni et influssi,
nove l’impressioni,
nuove fortune”
(Spaccio p. 73)
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