di Clementina Gily, Editoriale
Nell’iniziare questa pagina di Wolf, qualche mese fa, venne spontaneo parlare di Inno alla Gioia e iniziare con l’Europafest di Berlino: esulare dai temi economici di cui oggi si parla tanto e sempre in toni contrastati e contrastanti.
Ora vincere l’Oscar con la Grande Bellezza ha suscitato altre simili polemiche, che sciupano parte del gradevole risultato del successo. Molti non riescono a semplicemente condividere la gioia, troppo desiderano essere presenti, o condividono a dismisura, o cercano il negativo in un fatto di cultura – che merita interpretazione ma non il ruolo di saggio sociologico politico che non pretende di avere. È un’opera d’arte, un punto di vista che chiede valutazione estetica: sul che pare che i giudizi siano concordi nel rilevare l’originalità e l’eleganza del prospetto.
Certo l’Europa è la prima patria della Bellezza e dell’Estetica, l’Oscar lo ricorda premiando la congiunzione naturale Europa ed Italia hanno, nella lettura non aulica la coscienza della crisi dei “valori” tutti. La patria dell’estetica, l’Europa, ha messo in crisi idee tradizionali senza definirne di attuali, non ripropone temi classici né nuovi: tornare a parlare di bellezza significa capire come e quanto siamo cambiati, oggi che il 900 ha terminato i suoi discorsi e che ci si è addentrati nel terzo millennio dominato dai media e dall’arte che non incontra il suo pubblico.
Chi legge Wolf sa che da due anni è in corso la formazione estetica de La Pedagogia della Bellezza, da poco ne è edita la teoria, il primo volume della Didattica della bellezza che si completerà nel secondo con le conclusioni della sperimentazione in atto. La visione del film è giunta perciò su idee già formate, che trovano suggestive tante brevi frasi del film, come la ‘frase’ (in un film è immagine in movimento e parole) citata da Giarritiello, la figura dell’ultracentenaria Santa che insegna l’importanza delle radici per suscitare il miracolo di saper capire la voce della natura (gli ibis rosa che si posano sulla terrazza romana e poi procedono per altri più ospitali nidi).
Bella anche la frase conclusiva dello scrittore mancato, che ha smesso di scrivere per vivere la concretezza della bellezza: voleva la ‘grande bellezza che è altrove e io non mi occupo dell’altrove”. È una frase che meriterebbe un libro in quanto racchiude il problema platonico della mimesi e metessi: la ‘grande bellezza’ è in realtà irraggiungibile perché è un ideale futuro, una sveglia, la meraviglia che si fa forma grazie a competenze ed abilità: nulla mai la pone nell’orizzonte dell’uomo; diceva Giordano Bruno che è solo la luce verso cui si cammina.
Ma ciò che l’attiva, che consente la meraviglia, che fa vedere questa luce – per pensare altri libri, altri film e qualsiasi forma di bellezza – è l’Opera Mirabile, qualsiasi essa sia e la si voglia chiamare. Di queste opere l’Europa è colma, bei libri, bei film, tutto sommato una gran bella storia della cultura da ricordare e rinnovare, come sempre si continua a fare. Bella Brutta, ovviamente, i contrari sono la tensione del giudizio che si è chiamati a dare quando compare qualcosa di interessante.
Ecco il senso in cui l’Inno alla Gioia validamente è la bandiera d’Europa, la bellezza è il vessillo che ne richiama l’armonia fatta di dissonanze, le guerre e le paci che hanno accompagnato il sorgere delle grandi idee che ancora oggi sorreggono la civilizzazione, costituendo quella occidentale, suggerendo limi ad altre civiltà nel pensiero giuridico, politico ed economico, filosofico e religioso, che è ancora base – discutibile e discussa sempre – delle istituzioni storiche e civili del mondo.
Europa della cultura non solo nel senso decadente che è protagonista del film premio Oscar: ma scrivere la decadenza è portarla a coscienza e presentarla alla critica. Proprio le immagini sarcastiche di cui si nutre, alternate agli squarci d’arte, sono il miglior commento per chi voglia prendere atto della situazione: e insieme si indica che la situazione è solo il punto di partenza.
Conoscere e analizzare è il segreto del successo, ma l’azione è polemica e realizzazione. Se si vuole si dà forma al futuro possibile. Come l’arte studia ogni giorno il nuovo quadro in nuova luce, l’azione di sapere quel che non è chiaro in ogni campo è vestire la forma del nuovo in cui entrare.
Capire i difetti e approfondire non basta, senza la volontà di volere si resta nel mondo fermo di chi pensa che non c’è niente di nuovo sotto il sole. Mentre l’immaginazione ogni giorno vive e suggerisce cose nuove. Può sembrare strano ma è vero, che anche in questo mondo supervelocissimo ci sia sempre chi si costruisce l’eterno, casomai nel niente.
w EPE editoriale UE e Inno alla Gioia è Bellezza Quanto grande