Tra fiume e mare: l’insondabile mistero della vita

di Vincenzo Giarritiello

Almeno una volta nella vita di ognuno di noi si presenta un momento in cui percepiamo distintamente la futilità della vita; la relatività che la contraddistingue determinata dall’eterno conflitto vita/morte.

Tale situazione ci impone di mettere in discussione le nostre credenze esistenziali, i valori su cui poggia il nostro vivere quotidiano.

In quegli attimi dove un insolito senso di vacuità si abbatte improvvisamente sulle nostre spalle come un macigno facendoci sentire dei novelli Atlantide, ci guardiamo disperatamente intorno alla ricerca di qualcuno o qualcosa che riempia con la propria materiale presenza quell’incolmabile senso di vuoto che ci assale facendoci sentire delle nullità.

In quegli attimi volgiamo insistentemente lo sguardo intorno per trovare un valido appiglio, un sostegno reale che giustifichi il nostro esistere.

Eppure, quando gli occhi si poggiano sui resti incartapecoriti di un nostro caro appena riesumato, come è stato per me ieri presenziando alla disseppellimento di papà; quando la vista indugia, pur contro la sua stessa volontà, su quella sagoma di carne e ossa cartonate tenuta su per le punta delle dita dalle mani dei becchini per ripulirla con alcol e naftalina, prima di infilarla in un lenzuolo pulito e depositarla in una nicchia in cui riposerà per sempre; osservando quei poveri resti non puoi fare a meno di non pensare che un giorno anche tu diventerai così, chiedendoti che senso ha tanto affannarsi nella vita se poi alla fine ti ridurrai in una sagoma di cartone, nutrimento prediletto di vermi e animali.,

È in quei momenti in cui sei preda di un incolmabile senso di vuoto che capisci quanto valore abbia il credo religioso, qualunque esso sia!

In quei momenti in cui ti ritrovi faccia a faccia con la morte, valuti che effettivamente il corpo non è altro che un involucro condannato a dissolversi nel nulla allorché, sopraggiunta la morte, si svuota di quella potente, ignota energia che lo personalizza al pari di un attore protagonista al cinema o a teatro.

È allora che inizi a chiederti se in fondo, in questa vita, ognuno di noi non sia altro che un semplice attore il quale ricopre un ruolo determinato in una recita di difficile interpretazione di cui non se ne conosce né l’autore né il regista.

Eppure, quei resti vuoti, agitati come un vestito dalle mani del becchino, dicono molte più cose sulla vita di quante ne abbiano immaginate, raccontate e scritte nella lunga storia dell’umanità filosofi, scrittori e poeti.

Quei resti dicono che l’uomo è molto più di un semplice impasto di carne e ossa; essi dicono che l’uomo è prima di tutto energia di una forza incomparabile, derivante da una fonte sconosciuta annidata nelle remote vastità dell’universo, la quale, come l’acqua scaturente alla sorgente originando un fiume, si riversa attraverso le menti degli individui fungenti da canali, e inizia a fluire verso la propria foce sotto forma di pensieri che danno nutrimento, forma e vita a quei resti impastati da invisibile mano, conducendoli, sotto vari aspetti, fino al culmine esistenziale rappresentato appunto dalla morte, per fondersi con l’oceano universale tornando a disperdersi nell’eternità; spogliandosi dei costumi ormai logori, lasciando che si depositino sul fondale, mentre essa si eleva al cielo.

In tal senso professarsi atei non serve a nulla perché, seppure non si creda in Dio, non può non né credersi nella forza del pensiero né in quella della vita.

Da dove tali forze derivino, nessuno lo sa.

Di certo quei resti in fasi di consunzione dicono che l’uomo è molto più di carne e ossa, si creda o no!

NC Tra fiume e mare