Story Telling e comunicazione

di Mariano Bovavolontà

Il livello di indagine sullo storytelling della comunicazione europea non può prescindere da una valutazione di ordine sociologico. Le problematiche legate alle dinamiche di presenza/assenza dei contenuti rilevanti dell’Ue nel bacino mediale nazionale dell’Ue, possono essere infatti indagate anche facendo riferimento alle dinamiche delle geometrie della comunicazione.

La loro comprensione è di particolare rilevanza, specialmente in questo periodo, connaturato dagli sforzi di informazione del Parlamento europeo. La comprensione di queste dinamiche permette di comprendere gli schemi nei quali l’informazione e la comunicazione dell’Ue si inseriscono, con tutte le necessarie considerazioni da tenere in debita attenzione, dato il particolare valore strategico che la comunicazione Ue ha in questo periodo, dedicato alle elezioni al Pe.

La sociologia della comunicazione, alla luce delle proprie teorie classiche, riesce ancora ad inquadrare dinamiche che sottostanno ai processi comunicativi. Metodologicamente però bisogna premettere che alcune di queste teorie della comunicazione che verranno prese in considerazione, sono filtrate da un’ottica scevra delle implicazioni ideologiche che, spesso, coloravano questi contributi teorici, con il fine ultimo di utilizzarle come strumento euristico. Michele Sorice[1], all’interno delle teorie della trasmissione, annovera la teoria di Lazarfeld e Katz della Two-steps flow of the media influence che, teoricamente, supera la teoria dell’ago ipodermico che aveva imperato sino a quel momento, frutto di pressioni ideologiche e che risentiva della diffusione neoilluminista della psicologia pavloviana dei riflessi. Scrive Sorice: «La teoria si basa su presupposti semplici, anche se la sua operalizzazione fu metodologicamente assai complessa. In pratica Katz e Lazarsfeld affermano che non esiste un flusso unitario di informazioni (o comunque non è l’unico) che si muove dai media ai destinatari finali; in realtà il flusso comunicativo segue un percorso in due fasi: la prima dai media agli opinion leaders, la seconda dalla mediazione operata dagli opinion leaders al gruppo sociale di riferimento»[2]. Questa teoria è d’ausilio per comprendere la comunicazione dell’UE per due ordini di motivi. In primo luogo, essa attesta l’importanza della veicolazione delle informazioni attraverso una interposta persona: questa ha una particolare valenza all’interno di un dato gruppo sociale di riferimento. È su questa teoria che, ad esempio, la tecnica di comunicazione del celebrity endorsement (tipica di alcune branche della comunicazione d’impresa e della comunicazione politica) si basa a livello teorico. L’UE ha deciso di utilizzare questa teoria quando, ad esempio, sfrutta il volto dei propri commissari come volti della comunicazione: in questo caso, il commissario, il funzionario o addirittura il Presidente della Commissione, quando parlano, sono degli opinion leader. È attraverso di essi che l’UE comunica: è vero che essi sono parte dell’UE ma, seguendo la teoria della complessità, per la quale un sistema qualcosa è di più della semplice somma delle parti, essi vengono anche differenziati dall’UE in quanto, nel caso in cui essi sono lo step che si frappone tra l’audience e l’UE, essi sono contemporaneamente l’UE ma anche gli opinion leader.

La Teoria dell’Agenda Setting di McCombs e Shaw è di estrazione diversa, in quanto attiene alle teorie degli effetti; spiega Sorice «Secondo questa teoria, gli individui tenderebbero a includere o escludere dalle proprie conoscenze ciò che i media includono o escludono dal proprio contenuto»[3]. Questa teoria è importante perché è alla base della problematica che l’UE deve fronteggiare: la difficoltà di un’informazione corretta e pertinente. La mancanza di una copertura mediale adatta all’UE ed il richiamo all’UE solamente nel momento in cui essa viene vista come valvola di sfogo per problematiche italiane sono da far ricadere all’interno di questa teoria. L’agenda, ovvero il piano di lavoro mediale, ancora troppo focalizzato sulle problematiche interne, non dà il giusto peso all’informazione europea che, infatti, viene chiamata in causa quasi sempre solo in cattiva luce. Questo stride con il reale stato delle cose ma, dato che le abitudini mediali italiane sono per lo più tradizionali, con una preponderanza della TV come principale mezzo di informazione ed un uso scettico dei nuovi media, il risultato finale di questa conformazione sono uno scetticismo ed una disinformazione.

La teoria della Spirale del Silenzio di Noelle-Neumann è una delle più affascinanti teorie della sociologia della comunicazione, elaborata da Elisabeth Noelle-Neumann nel 1980 nell’importante Wahlent Scheidung in der Fernsehedemokratie . La teoria viene così disegnata da Sorice: «[…] la società minaccia di isolare gli individui “devianti”, gli individui temono l’isolamento, tale timore spinge gli individui a cercare di rapportarsi costantemente con quello che essi percepiscono come clima di opinione dominante. I risultati di questo processo, ovviamente, determinano – almeno in parte – il comportamento pubblico e collettivo e, in particolare, influenzano la disponibilità dei soggetti a esprimere liberamente le proprie opinioni. La teoria presenta due tipi di conseguenze, individuali e collettive. Fra le conseguenze individuali vanno segnalate la dissimulazione delle proprie opinioni, se si pensa di essere in minoranza, e la loro manifestazione quando esse vengono ritenute conformi a quelle della maggioranza. Fra le conseguenze sociali bisogna segnalare la considerazione (decisamente pessimistica) che le idee percepite come dominanti si diffondono con un effetto “a spirale”, mentre le opinioni considerate minoritarie rischiano il silenzio e l’oblio. In pratica, la teoria della spirale del silenzio ritiene che le persone esprimono e manifestano le loro opinioni in rapporto alla modalità e nella misura in cui le percepiscono condivise dal proprio gruppo sociale: questo significa che i media possono definire e proporre come maggioritaria e condivisa un’opinione, a prescindere che lo sia realmente, influenzando le effettive opinioni dell’audience»[4].

Cosa suggerisce Noelle-Neumann? È necessario, in questa sede, prendere in debita considerazione l’effetto collettivo. Laddove il territorio sul quale si sedimenta l’opinione pubblica già in partenza appare connaturato da una piuttosto diffusa ignoranza e/o mancanza di interesse, come nel caso delle tematiche europee, il clima dell’opinione dominante trova un territorio particolarmente fertile sul quale attecchire.

Ciò suggerisce che, tra le utilità ricercate dalle strategie informative dell’Unione europea, in particolare dal Parlamento europeo, vi è la necessità non solo di puntare alla informazione nell’elaborazione dei messaggi ma, in aggiunta, appare particolarmente cogente la necessità di formare, prima ancora dell’informare, lo spirito europeo.

È possibile controbattere che questo è un progetto con una prospettiva necessariamente a medio e lungo termine. Effettivamente, incidere sulla pubblica opinione implica, proprio per la natura dell’obiettivo, una siffatta comunicazione; tuttavia è anche necessario  tenere in debita considerazione che questa tipologia di comunicazione deve presentare un forte orientamento ai contenuti: questo orientamento ai contenuti appare l’unico strumento che permette di soprassedere all’attuale overcrowding informativo, disorientante ed assordante.

Una delle modalità di “riempimento” dei contenuti della comunicazione è, sicuramente, la bellezza che può ammantare i fruitori utilizzando la sua potenza per poter creare nell’opinione pubblica e fendere, con il potere estetico, il velo dell’indifferenza.



[1] M. Sorice, “I media“, Carocci editore, Roma, 2005

[2] M. Sorice, “I media“‘ già citato, pag. 58

[3] M. Sorice, già citato, pag. 105

[4] M. Sorice, già citato, pag. 108

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