di Clementina Gily, Editoriale
Eccezionale elemento di meditazione: una cinquantina di appassionati d’arte di scuole e Università, forzano il botteghino di Cappella Sansevero, il gabbiotto rotto impone la chiusura per qualche giorno.
Non si sa se ridere o piangere.
Certo, Cappella Sansevero eccita gli appassionati dell’arte come gli esoterici; eccita anche la ribellione coll’esigere sempre il pagamento dell’esoso biglietto – ma forzare le porte, adottare metodi che si rimproverano anche allo stadio, è troppo.
Altri riparleranno di violenza TV: l’effetto misurabile della continua coltivazione della lotta che i giovani vivono dai cartoni animati ai telefilm ai talk show: non ci sono persone tranquille o almeno problematiche normali in questi racconti, si va dall’omicidio alla messa in fuga, dalla scelta del veleno alla costruzione di pugnali di ghiaccio – nulla che porti come nella tragedia classica a rimeditare sentimenti comuni in un caso eccezionale ad esempio di amore odio coniugale. L’ammazzamento è una specie di routine come al macello. Narrazioni salate e pepate esagerano i problemi del vivere senza descrivere le ansie ad esso consuete, è vero, sono scomparsi i soggetti problematici; ma con essi scompaiono le ‘morali’, i dubbi che ognuno avrebbe sull’opportunità – almeno- di un omicidio, scomparsi gli ‘ottimismi’, la speranza di una evoluzione felice di un fatto grave – lo stupro sembra il rapporto amoroso più normale nel matrimonio e fuori, a giudicare dalla percentuale di essi e da quella dei fidanzamenti matrimoni. È questa la cultura che questi ventenni bevono sin dal sediolone, senza che la scuola se ne preoccupi, nonostante l’eroismo di pochi che fanno come OSCOM da tanti anni e combattono una guerra quasi in solitario.
Le riflessioni potrebbero essere tante: la più stimolante però è l’articolo di Raffaele Aragona su “Il Mattino”, di fianco a questo sulla bravata, la proposta di istituire l’Assessore al Decoro.
Il “decoro”, ricordo ai non esperti d’arte, non è il “buon costume” di una volta. Nell’arte fa riferimento a quell’ordine che va salvaguardato per permettere di comunicare; esagerare, forzare la mano, rendono un quadro mancante di decoro, scandalizza (donde la confusione con il buon costume): ma il problema è l’eccesso nella lingua, l’artista vuole sempre scandalizzare, ma anche consentire che la gente guardi l’opera. Presentarla in modo equilibrato è accettare di parlare una lingua comune, porre gli argini della comunicazione che la rendono possibile.
Il decoro si preoccupa anche di trovare simboli che il pubblico comprenda; decorazioni che guidino lo sguardo là dove l’artista ha posto il simbolo; e persino che aiutino a disegnare il punto di fuga prima della mente matematica, mostrando all’artista il luogo più adatto e condivisibile per comunicare, mettere in comune, partecipare, di una stessa visione delle cose capendo lo stesso – riconoscersi è ciò che desidera sia l’artista che il pubblico.
Il ‘decoro’ è la lingua del bello, non di tutta l’arte, non del sublime e dell’ironia. Quel che si squarcia agli occhi dell’artista – che lo rende attento – che lo spinge a configurare e penare sino a trovare come dirlo: non è decoro ma ne ricerca la forma nel bello, che è la scrittura del lampo dell’arte. Chi non la stessa acutezza di sguardo guardando capirà grazie alla lingua comune: insomma, il ‘decoro’ è il vocabolario del gusto, che va sfogliato se si vuole esser capiti, fatto obbligato sino alla metà dell’800 dalla necessaria ricerca del mecenate: dopo, insieme col grande pregio della conquista libertà dell’arte – l’intimità – si è esagerata la volontà di stupire che ne è l’altro aspetto, quello esibizionista. Il fatto negativo della caduta del gusto sta nel fatto che al suo parere, colto ed inclita, s’è sostituito quello del mercato, in cui giocano molti fattori perturbanti, che fanno vincere Babele. Ormai su tutto domina il ‘mi piace’, la dichiarazione di resa del giudizio: su Facebook si dovrebbe provare a dire ‘è giusto’ o ‘è bello’, invece di lanciare l’anodino ‘mi piace’. Il difetto non è nel piacere, ma nella totale irriflessione.
È lo stesso discorso della ‘condotta’ a scuola: essere educati non vuol dire né capire né essere competenti. Ma è la condizione necessaria per un dialogo, il primum non negoziabile: anche qui l’Assessore al Decoro sarebbe da istituire, nel senso della complessità della parola che porta chiara in sé l’instaurazione di un corretto regime di comunicazione come premessa della vita civile, ad ogni livello.
Non ci sarà mai l’Assessore al Decoro, beninteso: ma è importante porre l’esigenza del richiamo alla comune responsabilità di un comportamento civile, ovunque. Ed è importante dire che se ciò si fa senza conferire poteri, è inutile: lo dimostrò la funzione del Difensore Civico, su cui pubblicheremo un articolo. Per quanto utili, i lavori se non sono istituzionalizzati a dovere cadono praticamente nel nulla perché fondano solo sull’autorevolezza del singolo e sulla sua eroica pervicacia.
Ma chiarendo nei regolamenti i comportamenti come si fa per OGNI pratica amministrativa, il dettaglio è un’arma che può consentire la formazione dei giovani e meno giovani. La violenza, allo stadio e ovunque, è un problema che dimostra come non si sia capita la differenza di forza e violenza; pretendere di vedere il Cristo Velato è in sé una bella cosa, farebbe piacere sia al Principe che a Sammartino – ma il modo è scorretto.
Meglio fare una petizione, organizzare una battaglia per avere sconti per scuole e mondo della cultura, scuotere i severi criteri monetari dei responsabili della Cappella, i soli che vietano l’ingresso a chi entra per motivo di studio (come gli studenti della Federico II, entrati gratis ovunque con lettera di presentazione, tranne che a Cappella Sansevero).
Perciò l’idea di Aragona va ripresa, bisogna insistere sulle responsabilità di ognuno per regolare il comportamento insegnando la correttezza nel concreto, come qui s’è indicato, distribuendo responsabilità, indicando vie d’uscita diverse, insomma disegnando il quadro dell’educazione alla legalità e della formazione della cittadinanza europea. Che si realizza nella formazione estetica: la dialettica di argomentazioni qui proposta sembra essere la migliore conferma che OSCOM ha preso una strada giusta con l’ educazione estetica.