di Anna Savarese, Architetto di Legambiente Campania
Nel giro di pochi mesi si è prodotta un’accelerazione del dissesto che interessa il Complesso degli Incurabili: il 6 febbraio si è aperta una voragine nel cortile del nosocomio, il 24 marzo è sprofondato il pavimento della chiesa di Santa Maria del Popolo che si trova nel complesso ospedaliero, il 6 aprile la situazione si è aggravata con l’apertura di crepe profonde che hanno indotto i vigili a imporre all’ASL di evacuare tutta l’ala del complesso in cui hanno sede la chiesa (del 1530), la storica farmacia e alcuni uffici, il trasferimento dei pazienti in altri ospedali e l’allontanamento e la sistemazione delle 21 famiglie che abitano nel complesso in altri siti temporanei, con l’ipotesi di utilizzare poi il patrimonio immobiliare dell’Asl Napoli 1 Centro.
Per la gravità della situazione è stata aperta un’indagine della magistratura e il procuratore aggiunto Giuseppe Lucantonio, con l’ausilio di consulenti, ha disposto verifiche sul crollo e sulle sue cause, oltre che sulle condizioni statiche del complesso.
Contemporaneamente il manager della Asl, il Commissario Ciro Verdeoliva, ha proceduto a individuare le azioni da compiere, insieme ai tecnici e alle autorità e istituzioni coinvolte: la Soprintendenza, il Comune, i tecnici (ingegneri strutturisti dell’Università Federico II guidati da Edoardo Cosenza e Gennaro Rispoli, responsabile del Museo delle Arti Sanitarie della Asl. Le priorità sono due. La prima è di mettere in sicurezza il sottosuolo franato che rischia di compromettere le fondamenta delle mura portanti del complesso, visto che crepe e fessure in evoluzione preludono a possibili ulteriori crolli. La seconda priorità, seppure di pari importanza della prima, è di salvaguardare il patrimonio artistico racchiuso soprattutto nella storica Farmacia e nel Museo delle Arti Sanitarie, oltre che nella Chiesa.
Non è mancato anche l’impegno del MIBAC, avendo tempestivamente il Ministro Bonisoli inviato propri rappresentanti a prendere visione della situazione e avendo il direttore generale Gino Famiglietti convocato il 15 aprile una riunione a Roma con alcuni dei responsabili dei beni culturali a Napoli tra cui il soprintendente Luciano Garella e Maria Utili, segretario generale in Campania del MIBAC.
I risultati ad oggi sono che la Regione Campania, nella seduta della Giunta del 24 aprile, ha programmato la dotazione finanziaria di 80 milioni di euro a favore del “Programma di consolidamento e restauro del Presidio Ospedaliero Santa Maria del Popolo degli Incurabili”, programma che nella relazione dell’Asl Napoli 1 ha un valore complessivo di circa 100 milioni ed è finalizzato all’attuazione degli interventi in grado di garantire condizioni di funzionalità e sicurezza per l’utenza e preservare il patrimonio artistico e culturale dello storico ospedale.
Mentre sul fronte del MIBAC, per la tutela del patrimonio storico-artistico della Farmacia degli Incurabili nella riunione del 15 aprile si è deciso il trasferimento degli storici vasi e delle ampolle con il materiale vascolare e gli arredi della Farmacia degli Incurabili al Museo di San Martino.
Tale delocalizzazione ha innescato notevoli critiche relativamente alla decontestualizzazione al di fuori del Complesso dei prestigiosi vasi e soprattutto delle preziose boiseries, gli stigli in radica di noce, impreziositi dai fondali intagliati e dorati, che costituiscono capolavori dell’intaglio barocco napoletano, che potrebbero subire gravi compromissioni negli spostamenti (eventualmente anche con necessari ma dannosi tagli) e perderebbero ogni significato al di fuori del contesto per cui sono stati realizzati.
Un dibattito altrettanto acceso si è animato anche con riguardo ai ritardi registrati nella spesa dei 100 milioni di euro stanziati per il Grande Progetto Unesco-Centro Storico, a valere sui fondi europei FESR già nella programmazione 2007-13, poi, perché non spesi (e quindi persi in quel settennio) spostati nella 2014-20 (con proroga concessa al 2023) per i quali si attesta tuttora un livello di spesa pari a circa il 10% (11M euro). Nel programma di spesa c’era anche un importo di 3,5 milioni destinati al Complesso degli Incurabili, con attenzione particolare alla Farmacia e al Museo delle Arti Sanitarie.
Anche su questi ritardi che riguardano ben 28 interventi ricadenti nel Centro Storico di Napoli sta indagando la Magistratura, mentre Mechtild Rossler, direttrice della divisione Patrimonio Culturale dell’UNESCO, ha inoltrato una nota alle autorità italiane per assumere informazioni sugli esiti del cosiddetto Grande Progetto e per verificare il rispetto della convenzione per il recupero e la tutela di un patrimonio culturale del mondo.
Tralasciando di approfondire i punti sopra sinteticamente elencati, che sono tanti e tutti complessi, è importante che le istituzioni competenti, da quelle locali a quelle nazionali, trovino il modo di operare tempestivamente e in maniera collaborativa per salvare il Complesso degli Incurabili, mantenendone intatte le molteplici funzioni e la stratificazione valoriale, oltre che architettonica, storico-artistica, sanitaria e religiosa che ci è stata restituita in oltre 500 anni di storia e che dobbiamo tramandare ai posteri come eredità culturale.
Ha commosso l’accorato appello di Madre Rosa Lupoli, abbadessa del Monastero di clausura delle Trentatré, postulatrice in Vaticano della causa per la beatificazione di Maria Longo (Maria Lorenza Longo Requenses), fondatrice sia del Convento delle Clarisse Cappuccine che del Complesso degli Incurabili. Dopo i gravi ritardi e gli insabbiamenti registratisi dal primo procedimento avviato ben due secoli fa, sta giungendo finalmente a termine il processo di beatificazione di Maria Longo (manca solo il responso della consulta medica sul processo di miracolo per la guarigione di una monaca), perché la figura di Maria Longo testimonia della storia di Napoli, della medicina, della compassione, della misericordia di un’intera comunità che Ella ha saputo animare.
Madre Rosa Lupoli avrebbe desiderato celebrare l’avvenuta beatificazione nell’atrio degli Incurabili, luogo che ricorda il continuo andirivieni di Maria Longo tra le visite agli ammalati, il lavoro di assistenza alle loro famiglie, cui si aggiungeva quello svolto quasi clandestinamente (perché i luoghi erano preclusi alle donne) per lavare e rammendare gli abiti dei congregati incappucciati che andavano in giro per raccogliere l’elemosina per la gestione dell’ospedale. Il suo impegno non era rivolto solo alle donne, pur essendo queste le maggiori vittime delle malattie veneree diffuse nel ‘500, ma anche a uomini, bambini ed anziani, spesso anche detenuti, di cui Maria Longo si occupò insieme alla confraternita dei Bianchi, nobili che sostenevano i malati e si occupavano dei condannati a morte, portando loro l’ultimo conforto e occupandosi delle vedove e dei figli.
Gli impegni assunti dalla Regione e il tempestivo coinvolgimento di tutte le istituzioni preposte fanno ben sperare nel restauro del Complesso degli Incurabili, ma occorre vigilare perché la tempistica sia celere e rispettata e soprattutto perché si eviti di scompaginare la sua unitarietà o, peggio, si corra il rischio della chiusura. Tale rischio ha accompagnato la storia del complesso, già all’epoca di Maria Longo, quando si voleva chiuderlo per la peste, ma si è riproposto anche in tempi abbastanza recenti, soprattutto quando fu abbattuta l’ala per dare spazio alla rampa veicolare, ed è tuttora paventabile, anche a fronte della politica sanitaria che tende a chiudere tutti i presidi ospedalieri del centro storico, pur densamente popolato.
Occorre salvare il Complesso degli Incurabili oltre che per il doveroso rispetto per la figura di Maria Longo e per il ruolo da lei svolto, anche per motivi storici e urbanistici: non è possibile scompaginare l’unitarietà del Complesso degli Incurabili che costituisce un elemento fondante della morfologia urbana di Caponapoli, né tanto meno disgiungerne le funzioni senza tradirne il significato profondo.
È un monumento della città e a servizio della città perché la sua valenza storico-artistica discende proprio dalla genesi edificatoria e dalla permanenza delle funzioni, adeguatesi nel tempo alle innovazioni scientifiche e tecnologiche, ma rimaste vincolate alla missione primigenia di assistenza e di misericordia per i bisognosi, indipendentemente dalla condizione socio-economica, come testimonia un’epigrafe posta all’ingresso del chiostro di Santa Maria delle Grazie dove la fondatrice Maria Longo fece scrivere: “Qualsiasi donna/ricca o povera/patrizia o plebea/indigena o straniera/purché incinta bussi/e le sarà aperto.”.
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