di Serena Gianpietro
Nell’ultimo capitolo della sua monumentale opera Il Paesaggio e l’Estetica, che ha costituito allo stesso tempo il nostro stimolo, materiale e guida, Assunto apre con l’affermazione: “Filosofare sul paesaggio vuol dire, in estetica, interrogarsi intorno al piacere che prendiamo non alla rappresentazione della natura, ma alla natura”. Pur riconoscendo il valore intrinsecamente estetico dello studio in questione, va quindi apprezzato in filigrana l’entusiasmo puro ed incontaminato che talvolta anima l’uomo Assunto, che emerge a sprazzi nella sua opera e gli fa dire : “Non potrà mai l’arte, in quanto tale, essere gioiosa com’è gioiosa la natura: alla quale siamo debitori di un piacere che non è solo contemplazione, perché, come più volte ci è accaduto di constatare …lo si può con maggior proprietà definire un piacere nella contemplazione”.[1] Questo comporta che le riflessioni e considerazioni vanno ben oltre l’ambito estetico per investire pienamente la teoretica e l’etica. Meglio consentono di cogliere l’ampiezza dell’approccio analitico di Assunto, che di per sé offre il fianco a diversi incontri.
Indubbiamente, le suggestioni filosofiche sono fortissime, l’opera è in tutto un’opera di estetica; egli stesso però individua possibili sviluppi di ricerca in altri ambiti: “Bisognerebbe allora ripensare certe illuminanti pagine dell’ultimo Croce”[2], in cui questi si proponeva di applicare il principio dell’utile anche al di fuori della sfera intellettiva e razionale, cioè a quella del pensiero riflettente (artistico e affettivo). Dichiara Assunto: “senza negare la categoria estetica, come oggi si suol fare con arroganza, dovremmo anche pensare criticamente tutta la tematica …dell’esperienza vivente”.[3]
Si tenga presente che negli anni Sessanta del secolo scorso, tutta la questione dell’arte e dell’estetica viveva un momento di fortissimi e laceranti dibattiti. Erano gli anni di artisti di molta notorietà che esponevano escrementi imbarattolati, numerati da 1 a 90.[4] Una provocazione, visto il costo a peso d’oro, un’accusa all’arte ridotta a mercificazione di oggetti privi di valore estetico. La mercificazione dell’arte è solo uno degli aspetti fenomenici della “morte del bello”: la ricerca della rottura ad ogni costo contro le coercizioni formali – persa la feconda spinta rivoluzionaria delle avanguardie di inizio secolo, finiva con l’includere meccanismi seriali e senza scelta, come affermava problematicamente l’arte pop, in specie Andy Warhol. Ma la bulimia del sistema affaristico del businnes dell’estetica ha digerito tutto, da Le Corbusier alla Bauhaus come formidabili tentativi di modernizzazione dell’estetica, di adeguamento alle nuove esigenze sociali – ma ciò deve per Assunto rispettare le coordinate fondanti dell’estetica, chiare nell’arte come nella natura, che restano i due grandi oggetti del pensiero riflettente, del giudizio e dell’estetica. Kant resta per Assunto come per Croce un punto di partenza ineliminabile, una nuova speranza: era stato Croce, in Letture di poeti, parlando del decadentismo ingenuo e tragico – a indicare nel giardino-archetipo delle Elegie di Rilke un modello suggestivo.[5]
Di questa operazione di assimilazione a sé che l’economia ha compiuto negli anni che ormai ci separano dalla pubblicazione dell’estetica del paesaggio di Assunto, la reificazione, la riduzione a merce, riguarda tutto ciò che è dell’Uomo, scienza, divertimento, dolore, tempo alienato, tempo libero, miseria e opulenza, sentimento di pace e pulsione di morte… senza nemmeno che si salvi la maiuscola della parola ‘uomo’: di tutto ciò Assunto era ben consapevole. La sua parola oggi ci può illuminare a riflettere.[6]
Ed allora appare più che naturale che proprio per i semi di pessimismo e di disillusione che sono sparsi nella sua opera (e che lui stesso ha confessato esplicitamente nell’introduzione del testo analizzato) rendono legittima un’interpretazione della sua opera anche ben oltre le sue intenzioni. Il bello, la contemplazione, il piacere dell’osservare senza altro fine, il diritto a non avere finalità economiche nella propria azione, tante volte rivendicate dallo stesso Autore, consentono di gettare lo sguardo sui risvolti etici e politici che la riflessione sul paesaggio induce: dalla salvaguardia dell’habitat, alla condivisione della memoria, alla necessità di creare le condizioni affinché tutti possano contemplare la bellezza e tutti possano godere di quel bene comune inalienabile ed insostituibile che è il paesaggio come ‘spazio di vita’ e teatro della vicenda umana, sede dei nostri affetti e dei nostri progetti di vita.
E quanto stretto e sia il legame tra bene e bello, tra natura ed uomo, quanto sia necessario salvare l’uomo dall’aggressione di un modello di sviluppo economico irrispettoso di tutto e di tutti e scivolato nell’abisso dell’amoralità, si può forse ricordare la parola, di disarmante semplicità, del teorico fondatore del pensiero liberale, John Stuart Mill (autore non sospettabile di luddismo), nel 1848: “Se la bellezza che la terra deve alle cose venisse distrutta dall’aumento illimitato della ricchezza (…) allora io spero sinceramente, per amore della posterità, che questa sarà contenta di rimanere stazionaria, molto tempo prima di esservi costretta dalla necessità”.[7] C’è una misura nelle cose, il nostro mondo virtuale insieme ci regala l’infinito delle immagini e la loro distruzione nell’infinito: senza la scelta consapevole dell’uomo, senza un suo criterio, il relativismo e lo sconcerto regneranno sovrani.
Il consiglio di Assunto è ancora valido e suggestivo, pur senza l’ingenuità di Rousseau: si torni alla natura. Alla natura come territorio, come giardini da ordinare e preparare alla fioritura, al futuro. Come Assunto disse dell’archeologia: il futuro è di chi, come l’archeologo, saprà guardare i reperti del passato per inventare un nuovo futuro, non per crogiolarsi nella semplice negazione del presente, del divenire attuale. Sostenere gli ideali rivoluzionari da un canto, restauratori dall’altro, fu all’inizio dell’800 la comune fede in una idea del bello e dell’antichità classica, in cui si ritrovò la forza di sperare, ed in entrambi i casi l’antichità divenne mediatore tra natura e storia. [8]
PER SAPERNE DI PIÙ
Di Rosario Assunto possiamo ancora acquistare libri,[9] in biblioteca possiamo leggerne gli altri,[10] ma lo stile rende difficile apprezzarne l’attualità per chi non sia un filosofo esperto di 900. Ma le sue idee dell’arte e sui giardini sono come un romanzo orizzontale e verticale capace di mostrare l’estetica come storia – completando lo sguardo dell’architettura, che costruisce ambienti di vita, con l’esito di una suggestiva contaminazione di episodi artistici, politici, culturali in una Europa delle cattedrali più che dei grattacieli e delle economie in contrasto. La patria del sogno europeo di Rifkin, capace di infinite armonie che il modo vorrebbe distruggere, non sapendole imitare: come fa l’ISIS. Sartre parlò del mito di Erostrato (Il Muro), che incendiò il tempio di Artemide ad Efeso 21 luglio 356 a.C., dimostrando una “patologica ansia di sopravvivere nella memoria dei posteri”: nessuno sa chi lo costruì, ma il gesto folle che distrusse rimase. Chi anela alla parvenza d’eterno, non si fa scrupoli. Nel giardino che racchiude l’hortus nella sua bellezza c’è la pittura di paesaggio in ”una forma che attende in sé il suo futuro come un suo ulteriore contenuto” (p. 55) comprendendo tagli che propongono la meta spazio-temporalità (pp.7-8) in modo più suggestivo di Fontana. La pulsione d’immagine è la res fantasmatica che Brandi vede nella conversione di tecniche ed arti della visione – la siepe leopardiana limite dell’infinito. Il paesaggio, ponte di passaggio tra immagine ferma e in movimento lega alla possibile prospettiva del camminare – mentre il giardino personalizza il paesaggio come luogo del sentimento e della visione stereoscopica insieme.
Coltivando nella storia l’eterno sogno di sbozzare ciò che sia aere perennius: se l’arte nacque per celebrare la memoria, oggi l’arte protagonista dell’estetica dà voce al suo impulso più vero: dare forma all’invisibile, che è il mistero, ma è anche il futuro.
L’archeologo perciò, vale a dire uno storico che interpreta con forza la realtà, è colui che saprà trovare le sempre nuove vie d’uscita che la storia dell’uomo sempre richiede, pellegrinando per le nuove vie, senza perdere il coraggio ed il sole, anche, la fiducia nel domani. Uno storicismo lieto è quello di Rosario Assunto, che sa vivere l’entusiasmo come un sottofondo che non ubriaca, ma mostra la via del cammino del pensare.
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[1] Rosario Assunto, Il paesaggio e l’estetica, Giannini, Napoli 1972, p. 316. Su di lui vedi Vittorio Stella, Paesaggio, città e giardino nel pensiero neoromantico di Rosario Assunto, in “Filosofia oggi”, 2007, 1, pp. 21-44.
[2] Ivi, p. 335
[3] Ivi
[4] Merda d’artista, l’opera del 1960 dell’artista italiano Piero Manzoni.
[5] Benedetto Croce, Letture di poeti, Laterza, Bari 1966 (1950, p. 183.
[6] Come ha detto Michele Cometa (Assunto e l’età di Goethe, in Rosario Assunto in memoriam, Aesthetica, Palermo 1995, pp. 25-30), il suo tono si fa anche decisamente contrario all’innovazione per gli squilibri del ’68, che lo portano decisamente al ritorno a Kant – ma già Croce, di cui Assunto era da sempre convinto, era vicino a Kant e Goethe più che ad Hegel o agli autori del 900, specie in tema d’estetica.
[7] John Stuart Mill, Principi di economia politica (1848), Utet, Torino, 1962, pag. 712
[8] R. Assunto, L’antichità come futuro, Medusa ed., 2001, p. 184. La antiguedad como futuro. Estudio sobre la estetica del neoclasicismo europeo, (La balsa de la Medusa, 32), Visor, Madrid, 1990 (1973).
[9] R. Assunto, La natura le arti la storia. Esercizi di estetica, Guerini, Milano 1990.
[10] R. Assunto, Il paesaggio e l’estetica, Giannini, Napoli 1972, Id., Filosofia del giardino e filosofia nel giardino, Bulzoni Roma 1984, Il parterre e i giardini, Novecento, Palermo 1988, Id. Ontologia e teleologia del giardino, Guerini, Milano 1988, 1994.
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