di C. Gily, Editoriale
Scrissi in una nota privata vent’anni fa, cioè nel 1995, “Robin Williams mi ha insegnato il coraggio e la follia. Un insieme di surrealismo e dada che dà forma ad un faro: e il riflettore ricostruisce il nesso”. Ero reduce dall’operazione al cuore, ritrovavo i miei problemi più difficili di prima, ci voleva coraggio. Uno strano caso (fare ordine tra i libri) l’11 agosto 2015 mi porta indietro – e in contemporanea la televisione ricorda l’anniversario del suicidio di Mork. Io trovavo Robin francamente eccessivo, guardavo le comedy perché piacevano in famiglia: eppure se poi lo giudicai un “amico” era perché persino in Miss Doubtfire riusciva ad avere l’occhio gentile e parlante: un vero protagonista per natura, che giustamente vinse l’Oscar come attore non protagonista perché la sua natura ironica lo poneva sempre coprotagonista, anche se poi della scena ricordavi solo lui. E certo pensavo a quei due ruoli che ancora oggi mi tornano in mente: Peter Pan e Parry, il barbone che conquistò il Graal. Certo, come tutti ho amato l’Attimo fuggente e altri suoi film – ma nei due suddetti ruoli l’eccesso giova al personaggio e ne rende indimenticabile il messaggio. Happy Thoughts, raccomandava Robin in Hook, è l’unica ricetta che serve, per poter volare: occorre ricordare la saggezza dell’infanzia – ma quando sei adulto ti viene in mente solo se sai vedere qualcuno in pericolo. Ed è sempre la mancanza di pensieri felici che aveva fatto impazzire il raffinato professore d’inglese de La leggenda del re pescatore; ridotto ad un barbone mentecatto perché uno squinternato aveva mandato in frantumi la bionda dolce testa della fidanzata; è senza rimedio sinché Jack Lucas non trova per lui nientemeno che il Graal. Solo l’amore genera capacità di orientarsi e voglia di annodare i fili, guida l’azione vincente, allontana la depressione. È l’essere-per-qualcuno/qualcosa, l’unico che conti. Il miracolo della presenza. Un’operazione grave, la difficoltà del solito mobbing sul lavoro, la famiglia distratta… a tutto questo mio vivere Robin Williams diede risposta, invitandomi a rinnovare l’amore – per la famiglia, i libri, i film o anche per il cane o per un progetto. Si dirà che il suggeritore non era Robin Williams ma il prodottoRobinWilliams, vale a dire sceneggiatore, regista, tecnico delle luci…: ed è certamente così: ma il brillio spiritoso dell’occhio era proprio il suo, ce l’aveva anche Mork; ora era solo ben misurato, era finalmente bello, e sapeva comunicare coraggio. Eppure, è un anno dal suicidio di Robin Williams: evidentemente aveva meditato, ma poi s’è dimenticato di amare. Mork non doveva chiedere risposta ad Orson; doveva rispondersi da solo che nella vita c’è un momento in cui bisogna solo amare – visto che per fortuna, amare vuol dire tante cose. Prima di tutto, vuol dire amare la vita.