Quando la violenza si nasconde in famiglia

di  Clara Cecchi

 

Avere a che fare con una donna che subisce violenza familiare è sconvolgente: apre le porte di un mondo nascosto che non è facile nemmeno immaginare.

La prima cosa che viene da chiedere è perché: perché accettare questa situazione senza reagire, perché nascondere, perché non voler coinvolgere altri familiari, perché non voler chiedere aiuto, denunciare. Le risposte sono sempre le stesse: vergogna, paura di non saper affrontare la vita da sola, mancata indipendenza economica, desiderio di protezione verso figli anche adulti, se ci sono, che è meglio lasciare al di fuori. Il peggiore di tutti è un contorto senso di colpa per cui la donna quasi inconsapevolmente arriva a pensare che se lui si comporta così, forse significa che lei non ha fatto abbastanza, che se lo merita…

Una donna matura, intelligente, capace, con studi decorosi alle spalle, intellettualmente vivace, mi dice che ogni volta che il marito entra in casa ha il desiderio di annullarsi, di farsi trasparente, nell’illusione che lui non la noti e la lasci in pace, quando invece il motivo scatenante può essere qualunque, il più stupido e banale.

Le chiedo se è consapevole che non è colpa sua, che lei non ha fatto assolutamente niente e che comunque la violenza è sempre inaccettabile, che può annullarsi quanto vuole ma il problema è il marito, la sua follia che scatta senza preavviso in qualsiasi momento e non può essere tenuta sotto controllo. Le chiedo perché rischiare ogni giorno fino a trovarsi il coltello puntato alla gola, le chiedo perché nascondere i lividi di schiaffi, pugni e calci, le chiedo se sa che ogni volta il rischio della vita è sempre maggiore…la risposta è che lo sa benissimo, ma per ora non vede alternative. E torna a dormire nel suo letto ogni volta con la paura di non svegliarsi la mattina dopo.
Mi scoppia il cuore dalla rabbia e dall’angoscia a sentire queste parole. La scongiuro di rivolgersi a un centro apposito, di parlare con i figli adulti e chiedere il loro aiuto, mi risponde che lui è un grande manipolatore, se lo facesse magari finirebbero per non crederla e scoppierebbe un dramma familiare: la va screditando anche verso di loro. Oltre alle violenze fisiche quelle verbali sono all’ordine del giorno: sei una nullità, uno zero, un essere inutile, se ti ammazzassi farei un piacere al mondo intero e così via… il desiderio feroce, perverso e malato di annullare completamente una persona sembra inarrestabile, come purtroppo la rassegnazione a farsi annullare.
Nel tentativo di scongiurare il peggio cerco di farmi promettere che metterà i figli di fronte alle loro responsabilità, avverto che le manderò io stessa la polizia a casa se riceverò un’altra richiesta di aiuto. E’ una realtà che mi lascia impotente come poche volte nella vita.
Questa drammatica esperienza mi induce a riflessioni di carattere più generale: che tipo di amore, di affetto può essere quello che fa accettare violenze e prevaricazioni da parte del partner? Si crea un rapporto non alla pari, un rapporto dove uno dispone e l’altro accetta, un rapporto dove continuamente uno fa e disfa e l’altro subisce, fisicamente e psicologicamente, perché anche la sola sopraffazione psicologica può essere comunque molto dolorosa e arrivare a rovinare la vita, in nome di un malinterpretato senso dell’amore e dell’affetto. Che amore e affetto può esserci senza rispetto né condivisione, senza considerazione, senza stima? Solo un sentimento di dipendenza, malato da entrambe le parti.

Dovrebbe bastare solo questo, senza bisogno di arrivare alla violenza fisica, per far decidere che un “amore” così non merita di essere salvato.

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