di Clementina Gily |
Il problema della globalizzazione si pone come possibilità di conseguire un orizzonte glocale – termine che sintetizza locale e globale per dire l’importanza che non si dimentichi né l’identità né la personalità dei popoli.[1]
Non è solo dialettica di idee, interessi economici ed innovazione politica hanno un davvero rivoluzionario evolversi tecnologico, in cui mettono in crisi ogni prassi consolidata: può portare tanto un enorme fattore di progresso quanto un Medioevo prossimo venturo, quanto nuove occasioni di conflitto. Tutto dipende dalla storia futura, e dunque si viene al punto cruciale: come gestire il nuovo senza confrontarsi con nuove idee?
Dieci anni fa Jeremy Rifkin (Il sogno europeo, Mondadori, Milano 2004) propose un nuovo Illuminismo modellandolo come sogno europeo. Perché la vitalità del sogno americano ha sviluppato in ogni dove e come il sogno illuministico settecentesco, i frutti sono tanta parte della nostra civiltà: ma è anche un progetto futuro? Cosa può il liberismo e liberalismo oggi, che prevale l’ottica comunitaria, l’attenzione ecologica contro la spietatezza del mercato, quando la comunicazione è tanto cambiata da far sospirare a Popper il diritto alla censura? Resta ferma oggi quella fiducia settecentesca di Adam Smith nell’indefettibile progresso della scienza? l’etica della responsabilità di Jonas certo lo contrasta pensando ai tanti conflitti che evitino la naturale armonia delle cose, e quella della speranza di Bloch non osa nemmeno affermarla – e sono le due grandi etiche nate fuori delle confessioni religiose.
Il sogno dei Padri Fondatori e della Rivoluzione Americana non è in crisi, ma risulta antiquato. Parlare di liberalismo come si fa infatti dà spazio a tutte le diverse affermazioni partitiche – perché in realtà è lo stato di fatto e non il futuro. Ecco perché volgersi all’Europa, con la sua esperienza delle ideologie comunitarie e connessi problemi, delle ipotesi socialdemocratiche, degli infiniti distinguo sui concetti base della politica da meditare non solo computisticamente, pragmaticamente, da riportare spesso al loro valore civile e civilizzatore.
L’Europa Rifkin vanta agli Europei che pare non se ne accorgano perché è dotata di una solida politica economica, ma agisce per l’unità con metodi collaborativi: l’educazione dei giovani riesce al glocale, a far capire ad ogni gruppo i costumi e la lingua degli altri popoli senza creare gruppi di bulli come spesso fa lo sport. l’Unione è un’”Europa degli Stati” perché è “Stato negoziale”, agisce sulla società civile e sulla sua realtà economica aperta consentendo la comunicazione libera. Perciò più che ad uno stato moderno si dimostra policentrica come fu l’Impero Romano, si basa sul principio di inclusione.
“Il sogno europeo è il primo sogno transnazionale emerso nell’era della globalizzazione” (p. 25). Ed è un esempio, non un appello evangelico; è la proposta di moderne tecnologie ed economie capaci di moderare gli abusi che i nuovi tempi sempre tendono a creare nella storia affermando nuove rapaci aristocrazie.
Oggi si deve accogliere la sfida della complessità ed elaborare la governance, come diceva Foucault, ponendo “il network come modo di governo” (p.227). La rete non è solo Internet, è anche la logica dei reticoli, la cui forza è nella collaborazione; saperne la forza ed evitare si trasformi in mafie e lobbies, è la sfida dell’oggi. Ma per modificare metodi e idee per un mondo sostenibile occorre andare oltre il sogno americano, così individualista e autoreferenziale: nasce così il sogno europeo.
Alcuni punti per chiarire indicano una politica di solidarietà più che di potenza; di rapporti di inclusione in equilibri nuovi; di favorire la crescita graduale dell’integrazione invece di imposizioni giuridiche; del credito di tempo, ecologia, politiche della precauzione invece di un mercato che innalzi la bandiera della prepotenza liberistica: che in tempi di industrie come quelle attuali innesca meccanismi perversi come quelli di una volta. Tutto ciò è in sé quel disinnesco interno del terrorismo con la partecipazione che l’America sogna, modellando un ideale di proprietà privata come diritto di accesso, di un individuo come sé riflesso ed interrelato che cerca nel merito la costruzione dei propri diritti.
Sono potenzialità, coerenti in un sogno che solo il confronto con la storia fa diventare ideali politici – il sogno non è la teoria politica ma traccia la coerenza, indica. “I sogni riflettono le speranze, non quello che si è già ottenuto” (p. 218).
Nel ‘68 “tutti sognammo una nuova era in cui i diritti delle persone fossero rispettati” (p. 4), “in Europa le intuizioni della generazione degli anni Sessanta hanno dato vita a un nuovo audace esperimento” (p. 5) che si concretò nel progresso verso l’Europa da un canto, nelle tesi postmoderne dall’altro, il loro successo è stato la contestazione dell’ideologia allora dominante: ma i postmodernisti “non hanno offerto all’uomo una dimora alternativa: siamo diventati nomadi esistenziali” (p. 7). Occorre una nuova visione del mondo, una nuova grande metanarrazione (p. 376) che sappia delineare nei fatti un sogno nuovo, caratterizzato da una diversa lettura dei valori tradizionali: “per gli europei la libertà non consiste nell’autonomia ma nell’integrazione” (p. 15) orientata al benessere complessivo del pianeta. Si tratta di un sogno che diversamente dall’americano può coinvolgere tutti, perché tutti riconosce e comprende.
Disse Jean Monnet negli anni 60: “se il processo di costruzione dell’Europa potesse ricominciare, sarebbe meglio farlo partire dalla cultura” (p. 239). Nata in una terra di guerre, l’Europa si è costituita al seguito di una idea: “L’Europa non è mai veramente esistita: la si deve creare” (p. 204), mentre nella cultura ha sempre avuto la sua realtà e la sua identità. La sua realtà si è costruita partendo dal futuro, dalla fede nel progresso possibile.
Il passato così difficile vissuto in secoli di guerra, ha creato una unità culturale sensibile, che ha la realtà fisica del Mondo3 di Popper, un corpo civile di leggi e letture che delinea il mondo in cui viviamo. Avere fiducia nella consistenza dell’ideale significa non fermarsi all’esaltazione del sogno ma anche affrontarne e risolverne i limiti. Ma ciò esclude lo spazio ai localismi e barbarismi che rinnegano il terreno comune – un terreno ideale, cui occorre formare i popoli. Troppo facile per l’agricoltore confondere il problema delle quote latte con i problemi dell’Europa: ma non è la politica che deve adattarsi agli orizzonti limitati per consentire al politico di raccogliere voti. Basta ricordare la storia, il ruolo dei sindacati dell’800 che svolsero la loro grande opera di educazione insegnando ad analfabeti legati a spazi i minimi di riflessione come crescere e saper giudicare la storia. Questo ruolo è stato il successo del socialismo anche per chi socialista non era, e alla fine ha conquistato il mondo: ma come tutte le idee, come tutti i movimenti, ha bisogno di ricambio, il nuovo sempre procede oltre. Oggi il problema di chi crede nei valori illuministici non è più solo la difesa del lavoratore, ma capire come questa difesa si inserisca all’interno di un mondo che è talmente cambiato da essere irriconoscibile. Occorrono insomma nuove idee, nuovo Illuminismo, come dice Riflin: non solo per ripensare la morale e le idee dell’uomo. Soprattutto occorre ripensare l’ottica della filosofia della storia, con il suo sguardo totale, che cerca nella complessità qualche linea portante dell’evoluzione dei tempi.
Sono queste quadrature che consentono poi di dare limiti ai problemi, delineando i campi di attenzione che sono necessari per riflettere su basi concrete: ma è solo un fraintendimento banale ritenere che le idee siano qualcosa di astratto. La teoria della qualità totale tanto acclamata come logica industriale parla di vision – e sembra sia un termine concreto benché sia proprio il sogno di un futuro progettabile ma lontano. Le idee nella storia sono infinitamente più concrete: chi le combatte è come sempre chi preferisce l’oscurantismo, dominare con i media in vista della formazione di nuove aristocrazie di cui occupare subito le fila.
W EUROPA Gily Quando Jeremy Rifkin propone il neoilluminismo
[1] 1° ed. Wolf 2014, 8.
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