di Clementina Gily, Editoriale
Forse vale la pena di ricordare che tanto populismo che oggi invade i discorsi, vale a dire il parlare al popolo nei termini di alto gradimento, anche a costo di dire volgarità, sciocchezze e superficialità: non è fare cultura popolare o democratica.
È addirittura un aut aut a distanziare simili atteggiamenti faciloni e la cultura – termine abusato, si può persino dire cultura primitiva, indicando antropologie, una umanità popolare, un tutto organico che è patrimonio d’affetti e costumi – ma privo di ogni idea di libertà.
La cultura invece intesa in senso normale, quello cioè tradizionale e del senso comune, è tutta piena di libertà, perché la cultura richiede giudizio.
Se nessuno equivoca, quando si dice ‘cultura’, confondendo le culture agricole delle lattughe e la lettura di libri: tutti invece confondono tra il senso antropologico della parola cultura e il senso letterario e libero. E per la sua facilità molti preferiscono la prima. È ovvio che l’ampia percentuale dei votanti non ha per primo pensiero il farsi con fatica un parere; dando per scontato che ne abbia gli strumenti, vota a sentimento. Averne gli strumenti non è facile: chi ha studiato e ha il gusto di leggere e di scrivere, riconosce che oggi è difficile avere gli strumenti per giudicare la politica d’oggi, bisognerebbe avere cento vite e mille capacità di informazione. Come si fa a sapere tutto quel che si dice in giro? A leggere gli istant book più importanti? Ed è possibile altrimenti avere un giudizio equilibrato? Bisogna scegliere – ma per questo serve la cultura e siamo in un circolo vizioso.
Eppure i problemi sono urgenti – qualche anno fa Marc Lazar notava quanto cammino resta per tracciare un itinerario per la sinistra, dal 1989: “perché i sindacati si sono indeboliti. Perché c’è stata un’evoluzione nelle relazioni sociali all’interno delle imprese. Perché il mondo del lavoro è cambiato. Perché la precarizzazione è ormai generalizzata. Di conseguenza molti europei, deliberatamente o per forza maggiore, tentano ancora strategie individuali di sopravvivenza e di adattamento; e vorrebbero considerarsi liberi e indipendenti, pur avendo forti esigenze di protezione. Quanto agli anziani, sempre più numerosi – sono sensibili a temi quali la sicurezza e l’immigrazione; e molti aspirano a rifondare la propria identità. Infine anche i nostri regimi politici hanno subito una forte trasformazione, in particolare con l’affermarsi della democrazia del pubblico e dell’opinione, in ci il ruolo del leader è decisivo. Ed è chiaro che da un decennio in questo campo tutta la sinistra soffre di un deficit flagrante”.
Blair a suo tempo perciò suggerì il pragmatismo, eppure già allora era evidente – nei discorsi industriali di qualità totale della metà del secolo scorso – che la prassi sempre richiede quella famosa vision, persino nell’artigianato e nella catena di montaggio. Oggi anche Blair è tramontato, e capita che ci si metta a pensare a quanto era bella l’ideologia, e si torna alle domande capitali sulle strutture mondiali, mercato concorrenziale, welfare, e perché no eguaglianza e libertà: insomma, si ritorna indietro di un secolo. E ad un certo punto, quando poi ci si trova di fronte alle domande di sostanza, non resta che fare appello alla Chiesa ed alla morale tradizionale: cos’è infatti la solidarietà se non la comunione e comunità? Nulla di male, certo, è un’ancora solida e come si vede oggi sicuramente capace di destare speranze. Ma che fine ha fatto allora tutta la solida costruzione del pensiero politico dell’età moderna? Alle ortiche la civilizzazione, dopo il progresso? Tutta merce inutile, orpelli da buttare con Salvini e con Grillo e il loro roghi dell’intelletto? Visione politica il vaffa? Non che gli altri eccellano, per carità: i media hanno imposto alla cultura – quella antropologica e quella normale – di imbastardirsi. Ma il bastardo può essere una ricchezza, se si guarda alla complessità: conta che tra tanti livelli ci siano anche quelli alti, e si evita l’esoterismo, la politica aristocratica fatta dal re e i comites.
Molto utile, perciò, la pubblicazione di Il populismo tra storia, politica e diritto a cura di Raffaele Chiarelli proposta da Rubbettino[1], che con diversi approcci disciplinari (storico, politico e giuridico), ne analizza i caratteri e la storia, tracciandone gli aspetti teorici e la diffusione passata e presente. Anche per Nadia Urbinati nel tempo dei sondaggi occorre tenere da conto l’opinione del non potere politico, se si vuole incrementare in senso positivo l’opposizione reale: si crea una forza culturale immettendo acqua pulita nella morta gora. Basta imparare a parlare al pubblico: quello democratico è degno di rispetto, ma appunto va capito lo scarso tempo di ognuno, le limitate competenze – la scelta se opportunamente chiarita diventa possibile: ed è appunto questa – e solo questa – la competenza dell’elettore. Non deve capire la legge, non deve giudicare i sindaci, non deve fare la legge finanziaria: deve solo scegliere tra ipotesi chiare.
E quindi basta concretare politiche chiarendone l’orientamento – cioè il fine.
Così diventa semplice capire che un partito democratico se ha di mira l’eguaglianza tende alla tutela delle classi medie, alla scuola pubblica, alla stabilità del mercato del lavoro con azioni di solidarietà. La difesa della libertà nel liberalismo storico consiste nella distinzione dei poteri e nella tutela del loro reciproco controllo così da laissez faire, laissez passer; ma la libertà democratica ha in più di chiedere la tutela dell’esercizio attivo del potere di azione e giudizio dell’individuo.
Quindi nel progetto della liberal democrazia deve essere inserita la prosecuzione del diritto di libertà di pensiero e parola del liberalismo classico, con l’aggiunta di un criterio formativo: prioritario sul diritto di parola è il diritto di libera informazione del cittadino. Quindi: se non si può vietare al negazionista storico di parlare, si rinforzi lo storico equilibrato e si potenzi il lettore.
Occorre perciò aggiungere norme di tutela del cittadino, quando si parla di libertà di parola in area democratica, cioè laddove la cultura dell’uomo si costruisce in pubblico. Senza creare delitti d’opinione, si può arginare la contro educazione creando presidi validi nella scuola e in genere nella formazione, per consentire ai ragazzi di pensare, alla gente di discutere costruttivamente. Occorre diffondere progetti di comunicazione ortoformativa multimediale per fare cultura popolare senza populismo.