di Anna Irene Cesarano |
Mito e natura. Dalla Grecia a Pompei, questo il titolo di una mostra meravigliosa che da Milano al Palazzo Reale (si è tenuta a Milano fino a gennaio 2016) è arrivata nella splendida cornice degli scavi di Pompei e al Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Il titolo sembra già rievocare l’intensa magia di un’epoca passata quando la natura e le sue grandiose manifestazioni nelle sue molteplici apparizioni erano “arte”, espressione più profonda dei moti dell’anima, macchina motrice di rappresentazioni sociali, produzione di immaginario collettivo. Il mito, la natura venerata come una dea, nei suoi vari aspetti in stretto rapporto comunicativo con l’uomo, la fa da padrona in questa mostra che ci racconta di quando arredare giardini era considerato frutto del più fine dei talenti. Vasi, affreschi, decorazioni domestiche, oggetti di uso comune, terrecotte, statue, oggetti lussuosi come monili e argenterie tutto ma proprio tutto intende narrarci di quel sottile filo che lega l’uomo e il suo ambiente circostante, dall’antichità fino ai nostri giorni. Il paesaggio nel mondo classico viene raffigurato in una moltitudine di immagini e rappresentazioni come vedute marine, fiori, foreste, animali, personaggi mitologici, indagando soprattutto il suo intrecciarsi con le vicissitudini umane e il forte rapporto che si che si è evoluto nei secoli. Natura, dal greco physis dalla radice phyo, che sta a significare “genero cresco”, dunque un qualcosa che raccoglie tutte le cose che vivono, nascono, crescono e muoiono. Nel mono greco la natura è intesa come un mezzo di comunicazione tra l’uomo e le divinità, giacché è fortemente radicata la concezione che la realtà non era fine a sé stessa ma portatrice di un rapporto più profondo e intenso, segno della presenza divina che tutto muove e dirige dall’alto. Attraverso essa l’uomo può dialogare con il suo Dio, ad esempio quando riceve in dono l’abbondanza dei raccolti per la sua fede adamantina o viceversa una punizione tramutata in carestie per un comportamento scorretto. La natura che agisce e reagisce per volere degli dèi sembra essere una costante nella letteratura greca, chi non ricorda la terribile pestilenza che si abbatté su Tebe e la sua popolazione in riferimento alla vicenda di Edipo e Giocasta, madre e figlio, che per uno scherzo del destino compiono un atto immorale sposandosi? Ancora Apollo, nell’Iliade, punisce gli Achei con una pestilenza, per il comportamento sfrontato di Agamennone che osa sfidare uno dei suoi sacerdoti. Ma al di là di questi episodi narratici dagli scrittori greci noi possiamo rinvenire da queste storie la natura soggiacente della concezione del loro modo di osservare la realtà sociale, del loro modo di riassumere e valorizzare gli aspetti sociali, religiosi, culturali, politici. Non è forse vero che la riflessione, il pensiero occidentale nasce insieme allo studio della natura? La filosofia non nasce da una riflessione sulla realtà circostante?
La natura, nella società greca, ha influenzato l’uso della ragione. I primi filosofi hanno guardato la realtà che li circondava e si sono posti delle domande cruciali circa l’origine dell’uomo e dell’universo, la vita e soprattutto circa il principio regolatore di tutte le cose (archè). Era proprio questo che facevano i naturalisti, ovvero i primi filosofi della storia, quando si lasciavano guidare dalla natura nella loro spiegazione della fenomenicità, nella conoscenza e scoperta della realtà. Talete, Anassimene, Anassimandro, Eraclito, anche se con profonde divergenze, partono tutti nello sviluppo della loro filosofia, da un elemento naturale che può essere l’acqua o l’aria, e approdano a forme di pensiero superiori che la semplice osservazione di un fenomeno potrebbe indurre. E’ la natura che instilla in loro il seme della conoscenza. Appare evidente allora il fatto che la filosofia e l’arte siano una testimonianza efficace del delicato ruolo che ha svolto la natura nella storia dell’uomo, nello sviluppo delle sue percezioni e delle sue facoltà superiori quali il pensiero, esercitando una diretta influenza su quel patrimonio culturale occidentale inesauribile.
E il mito nell’antichità, non svolge anch’esso una funzione fondamentale per l’essere umano? Creare il mito significa anche creare una visione più o meno unificata dell’intero cosmo, dell’ordine che abbiamo dato al mondo, della vita sociale e individuale. Il mito obbedisce ad una funzione primigenia e piuttosto universale quella cioè di dare un senso alla propria vita costruendo una storia, un racconto e rintracciando quel senso in una storia cosmica e sociale più ampia, di cui fa parte. Il mito nasce dalla proiezione nel soprannaturale di ciò che esiste nella realtà come istituzioni, caratteristiche del paesaggio, relazioni tra gruppi, ecc. In senso sociologico stretto il mito è una rappresentazione collettiva che si applica ad ogni realtà soprannaturale o terrestre, esercita un’influenza sulle attività, credenze e nozioni di gruppo. Non è un racconto ma un prodotto del gruppo, il suo oggetto è una credenza collettiva. Il suo valore intrinseco sta nella sua forza di coesione, nel ravvivare la comunione del gruppo, nell’animare l’istinto sociale, la comunità partecipa delle stesse emozioni, della stessa fede.
“Il mito non è quindi puro frutto della fantasia: l’uomo osserva la realtà e, usando le proprie facoltà mentali, ne fornisce una spiegazione. Si tratta naturalmente di un modo di procedere lontano dalla logica scientifica: ma l’obiettivo non è quello di scomporre la realtà e conoscerla negli elementi che la compongono, ma è la comprensione generale dell’universo – e una “comprensione non solo generale, ma anche totale”
Claude Lévi-Strauss, Mito e significato, 1977
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Per tutti i riferimenti utili alla mostra e alle relative informazioni rimando al sito: www.mostramitonatura.it/it/press.html
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