di Franco Blezza |
Il problema dell’educazione è un problema antico. Spesso non ce n’accorgiamo, e siamo facilmente portati a temere che stiamo incontrando, ormai da decenni, un periodo in qualche modo “catastrofico” (nel senso della “teoria delle catastrofi”) e di “fine di tutte le certezze”, di “crollo d’ogni valore”, e quant’altro: ma così non è. Se siamo indotti a tanto, ciò si deve proprio all’educazione tutta particolare che abbiamo ricevuto, come essa è stata impartita per due secoli scarsi.
L’educazione non consiste, in generale, nell’indicare una via prefissata all’educando e nel portarlo a seguirla, volente o nolente, con qualunque mezzo: così ce l’avevano fatta credere in quel breve evo durato due secoli scarsi, l’educazione come replicazione di modelli rigidi prefissati, instradamento e non orientamento. L’educazione, piuttosto, è quella facoltà umana altissima che si traduce nell’evoluzione culturale, nella storia, nella civiltà, attraverso ogni forma di comunicazione umana inter-personale. Essa è sempre reciproca, quando si educa si è per ciò stesso anche educati ed educandi, e viceversa: e nella vita umana la ricerca è continua, per vie sempre nuove e diverse, convinti che non esista una (e una sola) “retta” via, bensì che esista il cammino umano, ed un “meglio” locale che è sempre possibile, e che dovremmo considerare doveroso cercare.
Certo, non è semplice. Lo è ancor meno se consideriamo il momento storico tutto particolare che stiamo vivendo: si tratta di un periodo di transizione da un evo all’altro, più che da un secolo all’altro. Un evo storico particolare, iniziatosi alla fine del ’700, è finito: esso ha alle sue radici l’Illuminismo, la rivoluzione industriale, l’egemonia del ceto borghese, le rivoluzioni di fine ’700 e le idee propagate in Occidente anche sulle baionette di Napoleone; ne stiamo faticosamente uscendo, e non ci si deve illudere che una simile transizione epocale possa avvenire senza porci tutta una serie di problemi, e di problemi anche molto impegnativi.
L’educazione è al centro di tutto ciò, anche perché nell’evo trascorso ci hanno educato a pensare che i modelli culturali, familiari, sociali, relazionali (ed anche educativi) del tempo fossero quelli “sempre esistiti”, “tradizionali”, “frutto di millenni di civiltà” o addirittura “naturali”: comunque, indiscutibili, assoluti, apportatori di verità e sicurezze incrollabili. Non era vero, ma serviva a tenerci vincolati a quei modelli, che pure erano recenti, avevano sì e no un paio di secoli. Se li esaminassimo con un minimo di attenzione, di competenza storica, e con tutta l’esperienza, non ci sarebbe difficile coglierne le lacune e l’altissimo costo umano.
La Pedagogia odierna può aiutare: ad esempio, gettando la necessaria luce sulla realtà storica dei fenomeni culturali; segnalando l’apprezzamento per le situazioni problematiche come occasione di crescita e d’evoluzione; riprendendo tutto il bene della creatività umana nella vita quotidiana, in particolare nelle relazioni familiari; ripristinando un rapporto corretto con le regole di vita, che sono per l’uomo e non per asservire l’uomo ad alcunché, e aiutando a ridefinire le regole alla luce delle mutate esigenze dell’uomo stesso; in generale, aiutando la persona umana a vivere positivamente una vita che non può essere statica e immutabile, legata ed imprigionata in schemi di origini e di motivazioni ignote, ed è un bene che non lo sia.
Ma, in tutto questo, un ruolo fondamentale viene richiesto proprio alla terza età. Questa non va più considerata “in negativo” sia pure in un “negativo dorato”, come età di perdita successiva delle prerogative dell’età adulta, compensate male da onori formali e spesso illusorii. La vita umana non “decade” come non “ascende”, non è leggibile (o non lo è più) come un “arco” segnato da una sequenza di stadi (od “età”), dei quali gli ultimi caratterizzati più che altro dalle perdite: ma è sempre vita ed offre in ogni momento opportunità e situazioni da viversi positivamente. Se, poi, questo può essere fatto con una lunga esperienza e con una forza maggiore di testimonianza e di autorevolezza, tanto meglio, tanto di umanamente guadagnato.
È tanto di guadagnato per tutti. Specialmente per chi di quell’esperienza e di quella testimonianza ha bisogno: si tratta di un bisogno vitale. Non vanno rimpianti periodi mitici e leggendari in cui l’anzianità di vita portava ad una certa estraniazione dalla vita stessa, anche se poteva sembrare onorevole, neppure da rinnovato laudatores temporis acti. A tutti, e agli anziani in particolare, va l’esortazione a vivere la propria vita nel modo più pieno e completo possibile: e di farlo con il convincimento, fondato e più che mai legittimo, che della sua pienezza di vita tutti hanno bisogno: specialmente i suoi familiari, il suo prossimo, i suoi vicini meno anziani ed esperti. Sono persone ancora più disorientati in quanto meno esperti: ed infatti, sono anche più apparentemente disinvolti e disposti a quell’incoscienza e a quella falsa sicurezza che servono bene a nascondere lo smarrimento, il disorientamento umano, l’angoscia esistenziale, la paura.
Sono persone, tutte, che hanno bisogno specifico proprio di terza età, e del contributo che gli anziani in quanto tali sono in grado di recare.
GF formazione Blezza Pedagogia d’oggi, un ruolo per la terza età
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