Pasqua a Napoli per Raffaele La Capria

di Redazione
Raffaele La Capria
Raffaele La Capria

Un giorno di marzo del 2014, il 29, Raffaele La Capria si ricordò di Napoli.

È ora che i napoletani veraci, premiati per resistenza e coraggio col risiedere nell’ombelico del mondo, inizino a confrontarsi con le visioni degli ‘esperti’ cui i giornali chiedono di dare pareri: e ne hanno ricordi olografici… cose di quando Berta filava… e ghignano dal loro buen retiro, finalmente oltre Posillipo…

A Napoli la vita ha un ritmo tale che quando un napoletano schizza fuori diventa altrove almeno sindaco o suo aiuto fidato… leggete per piacere i nomi e le storie dei grandi del paese: quanti napoletani anche di oggi !!! ma non solo affezionati alla loro terra.

Preferiscono agire da gallo colorato e trattare come monnezza l’oro puro di cui hanno preso in tasca una parte nel fuggire – invece, non sanno che se non si resta senza motivo nella Florida dei Romani la ricompensa è grande.

Ed ecco quindi il detto pezzetto capolavoro scritto dal grande esule, che certo condivise il fuitivenne di un altro grande esule – che di Napoli ha fatto la sua stessa poetica, i ferri del mestiere.

Ci si arricchisce qui, si spende altrove: è una legge antica a Napoli, solo che i sudditi di oggi sono meno rassegnati di ieri. Promette bene già il titolo.

LA NAPOLI DEL DOPOGUERRA

Erano quelli gli anni della mia giovinezza ma erano belli non solo per questo, ma per il fervore che c’era nell’aria e che si respirava a pieni polmoni, un fervore che aveva scatenato tutte le energie sopite negli anni di guerra. Come erano scatenate le ragazze dei vicoli che ballavano il bogie bogie col soldatino americano che estasiato le abbracciava!

Come erano aperte al futuro le nostre vite! Si scriveva, si cantava, si suonava la vita dovunque. Si scriveva sulla rivista “Sud”, direttore Pasquale Prunas, dove apparivano le poesie di Gianni Scognamillo, di Tommaso Giglio, di Luigi Compagnone, i nomi e gli articoli della Ortese, di Stefanile, di Maurizio Barendson, di Patroni Griffi, di Rosi e tanti altri.

Si cantava “dove sta Zazà” e si traducevano i Quartetti di T.S. Eliot, non si faceva molta differenza tra l’alto e il basso stile perché tutto era penetrato dallo stesso spirito vitale.

Quando ci penso mi domando come faceva Malaparte, il Malaparte de La Pelle, a vedere solo quel lato squallido che lui descriveva nel suo libro. Ma tutto il resto non era più importate e travolgente? Non superava di gran lunga la miseria e lo squallore da lui esibita con ostentata compiacenza per épater il suo pubblico? Col suo fiuto di artista lui aveva intuito che parlar male di Napoli rende, si trovano sempre molti lettori.

Medice, cura te ipsum.

Possibile che con simile entourage non si potesse avviare a Napoli una RAI pari a quella di Torino, Milano, Roma, capace di resistere al tempo. Troppa bisboccia. Chi fu responsabile, oggi almeno taccia.

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