di Paolo Mascilli Migliorini
Premessa: come si vede dall’incipit dell’intervistatore Mascilli (sempre la parte in corsivo del testo) l’intervista è stata registrata da tempo ed è destinata ad un volume sulla storia di OSCOM in cui i grandi personaggi che sono intervenuti nella sua storia rendendola forte saranno man mano ricostruiti con una linea generale delle sue operazioni: che sono tutte in rete, nel sito www.oscom.unina.it: ma il sito è, come raccomandano gli esperti, come tutti fanno, completo – cioè incomprensibile. Donde l’idea di un libro lineare, che dia l’idea dell’opera compiuta. Ma tra il dire e il fare sono intervenute molte attività, spero sia pronto in autunno: far aspettare finallora questa brillante intervista? In Soprintendenza Mascilli tutti lo conoscono, de Cunzo anche: ma a Palazzo Reale non tutti sanno che de Cunzo sul canale oscom.unina di YouTube ha 10024 visualizzazioni, con una lezione molto professionale sulla storia di Napoli! È un atto di gratitudine dovuto questo di onorarlo ora sul giornale on line e poi con un libro da presentare insieme.
Un grazie di cuore all’intervistatore ed all’intervistato.
Oggi è 7 gennaio 2016. Cominciamo l’anno intervistando Mario De Cunzo, che è stato protagonista di trent’anni della vita culturale della Città di Napoli e della Campania: una chiacchierata al Gambrinus, guardando la splendida Piazza Plebiscito. Il tuo nome è rimasto legato alla Mostra del 700 a Napoli, al terremoto del 1980, al cosiddetto Rinascimento Napoletano, iniziato quando nella vesti di Soprintendente ricevesti al Palazzo Reale di Napoli Clinton e gli altri membri del Summit degli otto Grandi del mondo. Sono tante cose che conviene almeno cominciare con ordine: dove ti sei formato a così grandi cose?
Mi sono laureato a Napoli, alla Facoltà di Architettura, dove ho avuto maestri come Roberto Pane, Morisani e Molajoli, tutti docenti a Napoli ma erano anche personalità rilevanti nella cultura italiana; qui a Napoli erano cresciuti nella familiarità con Benedetto Croce, erano rinomati maestri di scuola crociana. Ebbi la fortuna, devo dire, non ancora laureato e poi anche subito dopo, di collaborare con Luigi Cosenza, il più grande dei poeti dell’architettura di Napoli. Non insegnava alla Facoltà di Architettura ma di Ingegneria; Cosenza era molto attivo anche in ambito politico, era un comunista acceso: sono convinto che sia rimasto stalinista anche molto tempo dopo la caduta e la morte di Giuseppe Stalin! Lui aveva l’abitudine cortese di ricevere i suoi giovani studenti, tra i quali per mia fortuna io, nel suo meraviglioso studio, panoramico, a Mergellina, dove si discuteva e si lavorava amichevolmente. Per fortuna nel frattempo sono riuscito attraverso un concorso ad entrare nella Soprintendenza, perché io non solo non avevo alle spalle una famiglia di professionisti architetti o ingegneri, ma avevo invece una famiglia mia e dei figli.
Parti quindi da una formazione di esperto di Urbanistica e Restauro.
Di restauro senz’altro, perché in Soprintendenza avevo incarichi che mi portavano ad intervenire sempre ai fini di restauro in città; urbanista meno, anche se da architetto non dividevo l’architettura dall’urbanistica …
Ci hai insegnato infatti che il restauro è comprensione del territorio nelle sue varie direzioni d’interesse…
Entrato con il concorso del 1966, ho lavorato nella Soprintendenza di Napoli che allora era unica, una sola Soprintendenza Campana per i Beni Architettonici, è un’unica Soprintendenza per i Beni artistici e storici. Il Soprintendente per i Beni artistici e storici era stato prima Molajoli, poi Morisani e poi Raffaello Causa. E questa è un’altra delle mie fortunate coincidenze, quella di godere dell’amicizia e dell’appoggio culturale di Raffaello Causa.
Ti ha molto influenzato culturalmente Raffaello Causa?
Certamente molto, perché era stato funzionario di Soprintendenza con Molajoli e poi fu Soprintendente lui stesso per molti anni, quindi tutti gli anni di formazione li ho vissuti con lui. Aveva anche lui, per altro, una precisa posizione politica: Raffaello Causa era anche lui comunista, ed era una posizione singolare a Napoli, e così come Cosenza era comunista stalinista, Causa era invece comunista longhiano – ma altrettanto convinto quanto Cosenza lo era come staliniano. Ripensandoci oggi, c’è da dire che è stata una fortuna aver avuto nella mia formazione maestri così diversi, quelli di scuola crociana e di ambiti politici così diversi.
Tutto questo ti ha formato un’apertura mentale che altrimenti è difficile da trovare…
Apertura mentale difficile, forse… però piuttosto direi che è la caratteristica di Napoli, città che noi tutti amiamo, stimiamo e sosteniamo, sia io che te: e che è il motivo della simpatia con cui ho collaborato alle attività di Oscom, partecipando alla prima riunione di Campania Maze alla Libreria Treves in questa stessa Piazza del Plebiscito, dove ho conosciuto la qui presente Gily e il suo progetto di formazione estetica; anche l’intervista che c’è su YouTube nell’ambulacro di Palazzo Reale raccontava questa storia dei laboratori in città. L’amore per Napoli porta a capirne le caratteristiche, e basta guardare di qui la facciata del Palazzo Reale per rendersi conto di quel che dico: vi sono le statue che rappresentano ben otto dinastie che hanno regnato a Napoli, tutte provenienti dalle più varie origini geografiche. Questo non significa certamente che le origini della città peccano di incostanza, anche se di tutti questi Re qui raffigurati nessuno era Napoletano, anzi nemmeno era Italiano, persino il Savoia lo era in modo speciale, essendo nato nell’altissimo Piemonte. Nessuno di questi Re sono andati via di propria volontà, sono sempre stati spodestati da un altro che ambiva alle ricchezze del Regno. Perciò la varietà di dinastie non è possibile vederla come una limitazione, anzi è una conferma della ricchezza di Napoli. È diventata oltretutto la fonte della caratteristica internazionalità della cultura di Napoli, sia quanto a produzione di cultura che come formazione generale dei napoletani.
Abbiamo detto dell’importanza di Raffaello Causa…
Raffaello Causa e Luigi Cosenza influirono molto nella formazione di un giovane architetto quale io ero, ma il punto di svolta della mia vita professionale fu il 23 novembre del 1980, quando un terremoto catastrofico classificato come distruttivo rase al suolo molti paesi in tutta la Campania e in modo speciale nella provincia di Avellino.
Ma prima del terremoto avevi già lavorato a preparare la Mostra del 700 a Napoli…
Sì, avevo cominciato a preparare la mostra del 700, un’eccezionale e ricca esperienza, che è stata per me un utile approfondimento, avevo preparato la sezione di architettura che ovviamente avrebbe dovuto partire da Caserta, per via dell’impostazione architettonica della Reggia e del Parco, con la grande visione di Vanvitelli: Raffaello Causa me ne aveva affidato l’incarico insieme ad Aldo Loris Rossi, un altro dei grandi architetti napoletani. Napoli è stata la città di Roberto Pane, di Molajoli, di Gino Doria e prima di loro del loro grande maestro Benedetto Croce… questo perché la città non è soltanto quella in cui è più viva e sensibile l’elaborazione storica degli eventi, ma è anche una città capace di una creatività tutta speciale, di produrre gli eventi. Basta guardare il posto dove siamo, Piazza del Plebiscito, una delle piazze più belle del mondo…
Certo, Piazza Plebiscito è una delle piazze più belle del mondo, ma si deve ricordare che questo è anche per via del tuo personale intento, grazie al tuo eccezionale restauro, per chi ricorda cos’era prima come d’altronde San Domenico Maggiore: un grande immenso parcheggio!
Il mio restauro… ringrazio, ma devo ricordare che ciò fu possibile grazie a Berlusconi e ai politici di allora…, è un’altra delle fortunate occasioni della mia vita. Berlusconi decise di realizzare l’incontro internazionale dei G7, il grande evento dell’incontro dei 7 capi di stato dei 7 paesi più industrializzati del mondo, a Napoli. E proprio a Napoli il G7 diventò G8, partecipò per la prima volta a queste riunioni anche la Russia – ecco la grandezza dell’evento! Berlusconi decise di realizzarlo a Napoli e a Palazzo Reale, una sede davvero reale, quella che per secoli è stata la sola sede reale italiana oltre al piccolo Piemonte. Io ero il Soprintendente con alloggio e sede a Palazzo Reale, Berlusconi si rivolse a me per normalità istituzionale, ma si creò una reciproca stima, devo dire di aver potuto constatare in lui una davvero grande capacità organizzativa di attenzione e azione. Credo che si possa non essere d’accordo con Berlusconi su tante cose, ma non si può negare questa sua capacità, provata anche nella sua vita di imprenditore. L’evento ha fatto sì che si potesse intervenire in modo ampio e organizzato, e si riuscì a liberare Piazza Plebiscito dalle automobili…
E libera anche dalla Metropolitana di Napoli…
Ecco, se si parla a proposito della Metropolitana, devo dire che questa è una delle cose che non si è riusciti a fare in modo completo… noi parliamo sempre bene di Napoli, io cerco di farlo anche più degli altri in quanto come Soprintendente ho avuto qualche responsabilità in quel che si fa a Napoli… ma ci sono anche i difetti come questo della Metropolitana…
Parleresti male della metropolitana di Napoli…
No no, piuttosto del fatto che non c’è. Piazza del Plebiscito, oggi liberata dalle automobili, era un immenso parcheggio, in prima fila c’era lo stazionamento dei pullman; poi tutte le auto private, regolate da un gran numero di parcheggiatori, un labirinto di carcasse in continuo movimento. Grazie al G7 ed all’autorevolezza di Berlusconi si è riusciti in un compito che parve subito impossibile, liberare la piazza… ciò creava grandi problemi di viabilità e di trasporto, non c’era ancora la metropolitana e per crearla si stava lavorando: c’era al tempo un grande buco tra la fine del colonnato della Chiesa di San Francesco di Paola, il Palazzo della Prefettura, l’ingresso del cantiere della metropolitana. Non era pensabile lasciarlo così, per necessità, per sicurezza e per estetica, la piazza ha una sua logica, una simmetria straordinaria quanto piena di simboli, un buco al centro rovinava tutto e quindi lo si colmò. Fu certamente necessario chiuderlo e infatti la decisione fu unanime, ma poi purtroppo si è fermata la metropolitana, lo spostamento del cantiere al margine di Piazza Carolina non riguarda la realizzazione della fermata in Piazza Plebiscito della linea 6, quella affidata alla società Ansaldo… non si ha al momento un’idea precisa della fine dei lavori. Ma la piazza fu liberata ed è rimasta così, libera, bella, tanto che resta una cosa estremamente positiva anche se ci sono cose che non si fecero. lo come Soprintendente fui incaricato dei restauri di Palazzo Reale: finalmente si poteva agire con liberalità, Berlusconi stanziò due miliardi di lire – allora c’erano ancora le lire – per il G7 diventato G8. Ed è stato questo l’inizio del Rinascimento Napoletano, in quell’epoca era sindaco Bassolino, cui di solito si lega questa espressione trascurando che se certo lui seppe gestire politicamente la convivenza con il Presidente dei Consiglio di partito opposto, il merito del Rinascimento è di una felice collaborazione generata dal G8 e dal congiunto restauro sia del Palazzo che della Piazza. Perché non solo si toccò la Piazza e il Palazzo: le case dietro il colonnato erano precedenti l’ordine murattiano del colonnato, erano un elemento di contrasto che diminuiva la bellezza dell’insieme con la loro casualità. II restauro di questi palazzi dietro il colonnato fu incentivato per il G7, estendendo l’intervento dall’edilizia pubblica, il Palazzo Reale, il Comando Militare, il Palazzo della Prefettura, alla privata – ciò grazie alla capacità e coraggio del già lodato Berlusconi, che sostenne in pieno l’idea architettonica nella sua coerenza; solo il sostegno delle autorità nazionali e cittadine consentì di rendere tutto realizzabile, mostrò le potenzialità reali di una politica costruttiva, composta di forze che hanno saputo agire insieme senza troppe polemiche. Oltrepassare il restauro di Palazzo Reale per mettere mano all’abitato privato, è questione che un architetto disegna come coerente restituzione al colonnato murattiano di un ordine architettonico evitando l’affollarsi disordinato di palazzi che stridevano con la razionalità neoclassica: ma per i politici era altra cosa, senza dire che occorreva capacità amministrativa per trovare il modo di finanziare i privati con denaro pubblico e portarli ad attestare il paesaggio urbano in modo conforme al progetto. Senza il sostanziale appoggio del Presidente Berlusconi che si fece carico della responsabilità non si sarebbe potuto realizzare: affidò al Soprintendente due miliardi di lire e io fui molto orgoglioso dopo aver compiuto i lavori, Pierino Pierino, di andarlo a trovare per dirgli che avevo risparmiato 500 milioni sui miliardi dell’assegnazione. Ma lui mi rispose che avevo fatto male: non certo perché non li avevo rubati, ma perché non li avevo spesi. E fu proprio qui che dimostrò la sua capacità: mi ricordò che era un’occasione mondiale del tutto eccezionale, che avrebbe portato Napoli e il palazzo Reale sotto gli occhi del mondo tutto… e con fare spigliato mi guidò, lui guidò me, attraverso il Palazzo Reale per farmi notare i restauri che ancora si potevano apportare, particolare per particolare: uno stucco che avrebbe fatto migliore figura se restaurato, un marmo dello scalone monumentale che meritava di essere rimesso a lucido… Come una brava padrona di casa, mostrava di aver notato ed immagazzinato tutte le migliorie che occorreva raccomandare all’incaricato… E allora riassegnò alla Soprintendenza i 500 milioni, che erano già stati restituiti, erano tornati nei residui del bilancio, e visto che aveva indicato tutti i punti da rivedere, raccomandò di finire i lavori senza economie. È questo quell’occhio attento di lettura operativa che dicevo, chi è interessato ai beni culturali sa vedere come sia opportuna la cura, dotata di quella capacità di lettura operativa.
Ma per gestire tutto questo lavoro c’era un comitato in prefettura. Mi ricordo il continuo controllo dei funzionari, le defatiganti riunioni serali di tutti gli interessati, le istruzioni più che precise…
Be’, organizzazione ferrea no… era un lavoro vulcanico, denso… Ricordo le riunioni serali cui partecipavano tutti i funzionari pubblici, anche il sindaco Bassolino, anche il prefetto Improta, che era ovviamente come coordinatore dei funzionari di Stato l’interlocutore più diretto, e proprio con lui ci fu un vero e proprio scontro, per la sistemazione della pavimentazione di Piazza Plebiscito…
Che volesti così com’è ora, tu la volesti così, anche nel suo colorato neoclassico che rispetta la tradizione…
Sì, queste riunioni in prefettura furono epiche. A ripensarci ora, va detto che quelle serate che venivano dopo giorni di lavoro duro e disordinato per i troppi versanti dell’operazione ed il poco tempo a disposizione, portava al confronto uomini così stanchi, dopo una giornata di lavoro frenetico, che non ricordo nemmeno quale fu la questione dello scontro: ricordo invece benissimo che avemmo un vero e proprio scontro, lui mi insultò apertamente, disse che ero un pazzo…
E invece no…
E invece sì, perché appunto bisognava esserlo per fare tutto ciò, un po’ di follia ci voleva, e solo con un po’ di follia tutto è stato fatto.
Facesti anche i lavori al Borgo Marinaro, in pratica era in ballo il controllo di tutta la città per la parte del mare, direttamente interessata ai lavori…
Si, anche Castel dell’Ovo faceva parte dei lavori.., voglio confessarti, a proposito della lode appena fatta delle grandi capacità di Berlusconi, che lo ripeto spesso da allora, con qualche cattiveria e malignità, perché mi diverto a vedere come suscito sempre reazioni sgradevoli nelle persone più diverse, trovo sempre interlocutori alquanto maldisposti e si crea dissenso… ma sai, dopo essermi formato tra comunisti di varia fede e convinzione assoluta, ho assunto un certo qual atteggiamento ironico che mi porta anche a riconoscere le doti genuine quando le vedo, pur senza arrivare perciò né ad esaltazioni né ad adesioni; e credo sia questo il segreto delle scelte politiche sensate.
lo ero tuo allievo al momento, e, ad esempio, ero di idee diverse, ma anch’io credo che apprezzare le qualità operative non è di necessità avere le stesse opinioni politiche…
Il successo era frutto anche dello staff della Soprintendenza, e in questo staff c’eri anche tu…
Ero quello cui telefonavi alle 6 del mattino…
Forse, ma poi tutti, grazie a questo lavoro, godeste di grandi onorificenze della Repubblica, tu sei Cavaliere Ufficiale mi pare, no? Annalisa Porzio fu nominata Commendatore, in ragione dell’anzianità di servizio…
Si, io sono Cav. Uff. Tu invece ricordo che non avesti onorificenze perché le avevi già: sei Grand.Uff.?
Era il massimo grado, non so bene se sono Grand.Uff. o Cavaliere di Gran Croce della Repubblica Italiana – sicuramente, dei due, ho avuto il riconoscimento massimo. Non ebbi onorificenze appunto perché già l’avevo avuta, conferita da Cossiga due anni prima, che era venuto a visitare Palazzo Reale. Fu Cossiga per primo ad essere soddisfatto di quel che vedeva a Napoli e del mio lavoro, tanto che mi nominò motu proprio con la massima onorificenza. Scelse perciò, lui per primo, Palazzo Reale per le grandi cerimonie nell’occasione della presentazione delle credenziali dei nuovi Ambasciatori. Cossiga Capo dello Stato due anni prima del G8 scelse per primo invece del Quirinale Palazzo Reale come sede per ricevere i nuovi Ambasciatori degli Stati dei Balcani e dell’Africa che avevano solo allora raggiunto l’indipendenza. Quindi fu Cossiga a ricordarsi per primo della Reale costituzione e architettura della Città di Napoli, l’unica ad essere prima dell’Unità d’Italia Regno Europeo, peraltro da tutti ambito.
Ti ho interrotto quando stavi parlando del terremoto, che fu anche una grande occasione per mostrare il tuo valore …
Grande occasione il terremoto è stato per tutta la Campania, anche in positivo, è stata occasione per il recupero di grandi realtà del territorio. Devo dire che anche qui sarò impertinente nei confronti del senso comune, perché darò luce a personaggi che in genere non sono troppo amati. Come per Berlusconi, ho avuto ottime prove di azioni positive per il territorio anche da parte della vituperata Democrazia Cristiana. Allora era Capo dei governo nonché Segretario della Democrazia Cristiana Giuseppe De Mita – e questa fu la fortuna dell’Irpinia martoriata dal terremoto. Perché la situazione consentiva di essere rapidi nello stanziamento di finanziamenti in Irpinia per far fronte alla grande tragedia. I finanziamenti ovviamente ricadevano anche sui Beni Culturali, perché monumenti e Chiese erano tutti coinvolti nella distruzione. Dicevamo che allora c’era una sola Soprintendenza per tutta la Campania, il che rendeva davvero difficile essere presenti ovunque. Il ministro del settore era allora Scotti e anche questa fu una condizione positiva, riuscì ad operare con solerzia ed intelligenza, fece approvare una legge l’8 agosto, data strategica per avere nei lavori parlamentari una sicurezza di rapidità, che moltiplicava le Soprintendenze in Campania: da un’unica, ne nacquero una per le province di Avellino e Salerno, una per le province di Caserta e Benevento, una per i siti archeologici di Pompei, e infine quella di Napoli che si occupava anche di altri beni archeologici. II ministro Scotti, inoltre, nominò me a quella di Avellino e Salerno; quando si fece la presentazione delle nuove strutture e degli eventi che si sarebbero dovuti avviare per il dopo terremoto, De Mita commentò la mia nomina ringraziando Scotti per aver mandato in Irpinia i migliori tra i funzionari. In realtà ebbi il sospetto che il complimento nascondesse una buona dose di ironia, perché oltre ad avere una buona fama avevo anche quella di essere molto rompiscatole…
Questo si diceva ampiamente anche fuori…
Lo dico a ragion veduta, visto che tra i tanti restauri che s’erano fatti, c’era anche l’intervento al Duomo di Nusco, paese di origine e di abitazione di De Mita; lì avevo restaurato appunto la Chiesa della Trinità e rimesso a posto il fonte battesimale dove anche il capo del governo a suo tempo era stato battezzato. In realtà il fonte originale era andato perduto nel terremoto, ma avevamo trovato una grande acquasantiera di bella fattura, recuperata in una parte della Chiesa non distrutta dal terremoto. Eppure in quella atmosfera festosa che celebrava il ripristino di un luogo a lui così caro, De Mita ci tenne a dirmi che aveva constatato che si parlava di me molto bene e molto male: erano molti, disse, quelli che proprio non mi potevano soffrire. La ragione è presto detta, e credo che comunque torni a mio onore: parlavano bene di me gli enti religiosi, in genere, perché nelle nostre località in pratica quasi dappertutto le architetture più interessate dal restauro sono chiese, conventi, canoniche e monasteri; i restauri concentravano fondi dislocabili in loco per il ripristino della antiche strutture nel senso della conservazione del territorio e del bene artistico. Quelli che invece non mi potevano sopportare erano gli amministratori comunali, che nei necessari interventi sul territorio tendevano a non trovare mai concorde la Soprintendenza, che aveva visione conservativa, di fronte ai progetti dei sindaci troppo ‘costruttivi’ per così dire; interessati agli ampliamenti dell’abitato, proponevano interventi radicali che occorreva ridimensionare sulla base dei limiti imposti dalla 219, la legge istitutiva delle soprintendenze era dell’agosto dell’81.
Organizzasti l’ufficio chiamando molti giovani al lavoro grazie alla stessa legge 219…
Tra i pregi della legge 219 approvata da Scotti per le Soprintendenze, che prevedeva nelle nuove Soprintendenze un organico straordinario di 20 architetti, 20 storici dell’arte, 20 geometri, 20 disegnatori, e poi dattilografi, custodi e via dicendo; in un altro articolo prevedeva che i Soprintendenti potevano anche avvalersi dei professionisti esterni. Con un certo coraggio che poteva andare incontro a rischi per l’interpretazione cui obbligava, vista la scarsa definizione che caratterizza la scrittura delle leggi, riuscii così ad assumere un forte gruppo di giovani, che con il loro entusiasmo diedero man forte per migliorare i lavori. lo assunsi a copertura della legge tutto quel che occorreva, e per quel che riguarda il previsto tempo determinato che s’intendeva per il rapporto con gli esterni, si poté correggere rinnovando di volta in volta il contratto, evitando che andasse perduta la formazione già realizzata delle competenze.
E quelli così entrati in Soprintendenza sono rimasti anche oggi, sono gran parte dell’entourage, alcuni sono stati anche Soprintendenti; tutto l’attuale è in gran parte frutto di questo lavoro di formazione, “la squadra di De Cunzo”.
E con i fondi del terremoto provvidi anche ad acquistare le auto, necessarie per i sopralluoghi sul territorio, i funzionari guidavano personalmente le auto così acquistate…
La famosa automobile rossa…
No, l’automobile rossa c’era prima di questo acquisto, perché per i sopralluoghi urgenti mi era stata affidata un’automobile dei Vigili del Fuoco, che guidavo da me; i vigili hanno auto che gli consentono di correre dove occorre… c’era bisogno spesso anche per noi di correre, c’erano continui pericoli e disastri. Con la mia auto rossa di cui ero molto orgoglioso, targata VVFF, guidavo felice e correvo senza fermarmi mai, nemmeno ai caselli dell’autostrada!
A proposito dei giovani assunti con la 219, per cui ti sei assunto tante responsabilità: ti sei reso conto di aver creato una scuola cui hai dato un contrassegno chiaro?
Veramente no, è la Soprintendenza come Istituzione, di per sé, ad avere questo merito, perché tende a far lavorare i funzionari con una collegialità di lavoro che porta tutti a collaborare, che coordina le esperienze diverse e le mette insieme sullo stesso oggetto di lavoro guardato da diverse ottiche; ciò è di per sé un’ottima scuola di formazione, questo sistema operativo ha la capacità naturale di metter in atto una formazione che giova a tutti i partecipanti proprio perché attribuisce ad ognuno una responsabilità comparata alle abilità e competenze personali.
Eppure tutti noi abbiamo un imprinting forte, che ha un chiaro contrassegno di squadra, dichiaratamente e orgogliosamente ‘decunziana’….
Be’, non so se si può dire così, ma devo qui ripetere una cosa che mi piace dire, anche se non so se è vera: è che io in realtà mi riconosco una buona capacità comunicativa mediatica, perché riesco a convincere sia i media che l’opinione pubblica di essere bravo. Vi racconto un aneddoto che mi ha sempre stupito, perché addirittura Indro Montanelli, che non aveva eguali come esperto dei media e dell’opinione – ma che io non ho mai avuto il piacere di conoscere personalmente – di riconosciuto acume giornalistico e solerte nell’infliggere dure condanne al seguito di una ottima e sensata informazione: bene, lui scrisse che in Irpinia i finanziamenti erano stati spesi in modo tale da rendere opportuno il conio del termine Irpinia Gate, che non fu certo un complimento da parte sua: ma con l’eccezione che mi riguarda, quando disse che invece aveva agito per il meglio la Soprintendenza per i Beni Ambientali e Storico Artistici Architettonici di Salerno ed Avellino. Chi glielo avesse riferito non posso saperlo visto che non l’ho incontrato, ma appunto perciò lo considerai un riconoscimento importante: non era certo uno scribacchino qualunque!
E Padula?
Altro intervento di successo dello staff fu Padula; si ricordi che eravamo una Soprintendenza mista, architettonica e storico artistica, vale a dire architetti e storici dell’arte. lo ero il Soprintendente Architetto, per gli storici dell’arte ch’era la dottoressa Vega de Martini. Sempre per la legge della ricostruzione si potevano, anzi si dovevano, realizzare strutture per raccogliere opere d’arte delle zone terremotate per proteggerle dai furti e dai danni di altri edifici in stato di crollo, oltre che dai furti. Raccoglierli in appositi contenitori di opere d’arte significava costruire praticamente dei musei, che si potevano costruire o anche riadattare strutture preesistenti all’uopo. Ogni contenitore diventava automaticamente una bottega ed una scuola di restauro, visto che si dovevano anche restaurare i reperti. Padula era un enorme edificio sito in una zona marginale e periferica rispetto al terremoto, cui la Soprintendenza regionale non aveva potuto dare la centralità che meritava. Con quella provinciale fu invece possibile attivarla nel senso della legge 219: si pensi che i soffitti delle Chiese sul punto di crollare di Avellino, dovevano essere da qualche parte ricoverati e trattati. C’era la Certosa di Padula: bastò riadattarla e subito la si poté parzialmente usare come deposito per opere così ingombranti e delicate. Era però anche una struttura di bellezza eccezionale, che non si riusciva a valutare a pieno da una Soprintendenza regionale unica con sede a Napoli, una città già tanto carica di meraviglie d’arte e poco dotata di finanze rispetto alla meraviglia delle opere nel territorio. La Certosa era rimasta dimenticata, ora grazie alla divisione dell’ente ed al finanziamento, poté essere restaurata adeguatamente così da diventare un centro turistico, visto che a Padula non si capita per caso.
All’epoca sul territorio cozzavano tanti diversi interessi, la Provincia e tutti i vari piccoli enti locali. Che faceva molta confusione con l’intrecciarsi di poteri istituzionali diversi…
Certo, e dover ricorrere per tutta la cura all’unica Soprintendenza con sede a Napoli, non giovava alla situazione. La Certosa di Padula ha aiutato molto la Soprintendenza ad avere successo coi giornali: da tutta Italia e da tutti’l il mondo ho ricevuto tantissimi complimenti proprio per la Certosa; addirittura un amico, un collega architetto di Milano mi lodò per il bel lavoro fatto a Padula, e allora gli chiesi se l’avesse vista: “no, mi rispose, ma ho letto i giornali”. La stampa di tutto il mondo, senza esagerare, parlò di questa meravigliosa Certosa di Padula, e dovunque ci si meravigliò che una così bella struttura rimanesse segreta e guadagnasse la ‘scoperta’. Ma è situata in luogo così periferico che si deve uscire dall’autostrada solo per raggiungere la meta, risolvendo il problema del terremoto, è stato possibile suggerire la deviazione necessaria, spero continui a funzionare….
Organizza molti convegni, ha un centro di esposizioni costante e attivo. Il successo mediatico era frutto di un Ufficio Stampa adeguato?
L’attività delle mostre e l’informazione era tutta opera della Soprintendenza coi suoi funzionari, le guide, le mostre… Il settore dei beni storico artistici e delle opere d’arte, i cosiddetti beni mobili, la struttura dedicata a ciò. Le mostre organizzate dal settore di Vega de Martini, consentì un perenne movimento che risultava interessante e garantiva la pubblicità….
La ricostruzione quindi ebbe successi ed insuccessi. L’attività delle Soprintendenze ridusse la quantità delle demolizioni, che in quel momento era una tendenza molto forte cui l’alta Irpinia non ha ceduto…
Be’ sì, il terremoto aveva scosso tutta l’edilizia, era forte la tendenza a demolire gli edifici pericolanti. Ciò era vero non tanto per gli edifici poderosi architettonicamente, ma per quelli più fragili come i campanili. Ricordo le improvvise emergenze che più volte hanno turbato le mie ore di riposo, come quando fui chiamato nella notte di Natale nel mio alloggio a Palazzo Reale, e corsi in Prefettura in quanto c’era un allarme: si doveva intervenire sul campanile di Laviano, dove si era riscontrato la presenza di cadaveri insepolti, occorreva recuperarli e poi sistemare il campanile. Se si pensa che il terremoto era stato il 23 novembre e che il richiamo forte fu solo il 14 febbraio dell’81, si capisce che era un’emergenza continua e prolungata. Non si è riuscito a controllare proprio tutto nella ricostruzione: Laviano non è stato un successo, ho avuto modo di tornarci qualche giorno fa, è uno di quei comuni in cui si è ricostruito tutto, non restaurato, nel modo più vasto e generalizzato, ed è un’architettura a mio avviso bruttissima.
Avevamo ragione noi…
Ho la tendenza a dire come si vede sempre tutta la verità, sono un tipo sportivo. Riconosco che non tutto è andato come si voleva, nonostante la buona volontà dei collaboratori. Nora Sciré, giovane architetto appena laureata venuta volontaria in Irpinia da Genova, prese alloggio in roulotte con Valeria Ricolo, che veniva da Benevento ed Antonio lannello, che non era nemmeno della Soprintendenza ma segretario nazionale di Italia Nostra, entrò poi in Soprintendenza; Nora Sciré si legò anche sentimentalmente al capo dell’opposizione di Laviano, che poi diventò sindaco.., tutte le leve istituzionali potevano agire nel modo migliore, eppure la ricostruzione non sempre mi ha soddisfatto.
Eppure ci furono eccellenti risultati nella ricerca scientifica, c’è stato molto lavoro teorico anche, vista l’esperienza che si andava facendo sulle strutture in muratura…
Come no! Abbiamo fatto anche una collana di pubblicazioni sul restauro architettonico con Dely Pezzullo, coordinatrice del lavoro. Abbiamo partecipato ad una quantità di convegni internazionali e ricordo il convegno di San Francisco, città particolarmente interessata a questi fenomeni per via del terremoto del 1906 e del suo trovarsi su una faglia tettonica notoriamente pericolosa. Certo, andammo a far vedere i risultati del nostro lavoro in Irpinia, il modo con cui avevamo dato soluzione ad alcune problematiche comuni…
Molti grandi professionisti hanno colto quell’occasione per fare sperimentazioni con materiali nuovi
Certo la tecnica dell’intervento edilizio ha progredito. Noi tra l’altro avevamo voce in capitolo perché da cento anni il restauro architettonico è stato fatto con l’intervento di materiali nuovi, per esempio il cemento iniettato a forza nella muratura per sostituire la malta di calce; le cuciture armate che rinforzano le muratura di tufo o mattoni inserendo armature in ferro. Ma ciò avrebbe portato allo stravolgimento della natura delle strutture edilizie, con molti dubbi sull’efficacia, perché ad esempio le cuciture armate vanno soggette ad arrugginirsi, quindi si inserivano problemi sulla resistenza ed elasticità dei muri, che sostituisce la solidità dei tufo capace di resistere a molti urti prima di cedere. Quindi abbiamo dovuto schierarci anche sulla materia tecnica, anche in questo caso avvalendoci di squadre di esperti come Antonino Giuffré che sosteneva invece pareri in contrasto, e voleva agire con il recupero delle vecchie tecniche tradizionali: si poté fare perché poi in fondo era sempre la Soprintendenza a decidere gli interventi.
Sant’Angelo dei Lombardi è l’opposto, un esempio di intervento fortemente innovativo, un altro paese completamente distrutto: ma in esso però si riuscì a realizzare un intervento conservativo, la sperimentazione di Sant’Angelo resta un esempio di ricostruzione…
Sant’Angelo dei Lombardi aveva innovativo persino il governo comunale, nel terremoto era purtroppo morto il sindaco; il nuovo sindaco che chiamò a collaborare la Soprintendenza – cosa che molti sindaci non fecero – fu Rosanna Repole, la quale invece affidò il piano di recupero per la ricostruzione dell’abitato alla Soprintendenza e ad Italia Nostra, il piano fu firmato da Italia Nostra nella persona di Antonio Jannello. Ma anche lì non è andata bene, anche se il recupero è stato ben fatto ed è ancora stabile nel tempo. Ma quando sono andato poco tempo fa per un convegno ho trovato il Centro Storico bello, intero e restaurato, ma completamente disabitato, vuoto…
Ci vuole il restauro ma poi anche le politiche per avviare il recupero….
Ma non esageriamo il potere della politica, ci vuole anche la testa della gente, non tutto può essere attribuito, se in negativo, alla politica… politici non sono solo i politici votati, la politica eravamo noi, abbiamo lavorato bene con le istituzioni e con le strutture, tutto è andato secondo le regole, i progetti sono stati firmati dai competenti, realizzati bene gli interventi, ricostruito a puntino il centro storico: ma la gente non ha occupato il paese. Non si può dare la colpa di tutto alla politica, occorre anche collaborazione e amore al territorio o non so bene cosa, per superare le difficoltà e far rivivere i territorio. Mentre forse molti hanno gradito i contributi, così da mettere in salvo le macerie, hanno conservato la proprietà della casa, ma poi hanno preferito andare altrove.
Nel 92 poi sei tornato a Napoli e hai potuto dare vita al ‘Rinascimento Napoletano’, ma prima c’era stato ‘Spaccanapoli’…
In realtà Spaccanapoli l’ho trovato già avviato dai funzionari della Soprintendenza, Ugo Carughi, Mascilli Migliorini e tutti gli altri, il gruppo di architetti della Soprintendenza che avevano avviato un programma di lettura e di recupero del centro storico antico di Napoli allo scopo di restaurarlo…
Cui però tu aggiungesti la possibilità di finanziare gli interventi con la legge del 1952…
Eh, vedi, questo lo avevo dimenticato, anche in questo caso si doveva acchiappare la politica per la giacchetta e convincerla a fare il suo lavoro. Come prima avevamo avuto la collaborazione di De Mita e l’immagine nei media, a Napoli recuperammo una legge del 1952, che consentiva allo Stato di partecipare ai restauri concordati con la Soprintendenza per il 50%, e in genere il Ministero per abitudine contribuiva con il 35%. Potemmo agire in proposito grazie ad un politico di allora, Paolo Cirino Pomicino – e di nuovo devo dire parole buone per politici molto discussi per incapacità operativa se non addirittura criminalità, ma io non posso che dire cose positive, nella mia esperienza. Quando gli chiesi di appoggiare come governo questo contributo ai restauri dei privati, come contributo per i lavori fatti su edifici di interesse storico artistico,Cirino Pomicino, allora ministro del Bilancio, stanziò questi fondi, 30 miliardi, di cui una parte la prese ovviamente il Ministero, a Napoli arrivarono solo dieci miliardi, che per una grande città non sono molto. Ma questi soldi ebbero un effetto d’immagine tanto importante che si avviò a Napoli un programma di restauri. Avevamo creato anche un sistema di pubblicità, distribuendo volantini e brochure finanziati dal Banco di Napoli che non finanziò i lavori ma la campagna pubblicitaria, che lanciò lo slogan di Napoli Museo a Cielo Aperto.
Quali zone sono state interessate dai lavori di ‘Spaccanapoli’?
Il centro antico soprattutto. Un’altra delle imprese fu l’approvazione del piano regolatore, Spaccanapoli aveva avuto nella questione dei centro storico un antecedente. Il piano regolatore del 1939 cui aveva partecipato Piccinato, era da tutti considerato un ottimo piano regolatore, anche da Italia Nostra. E lo era per alcune virtù, come quello della salvaguarda della zona collinare, cosa buona ma che poi non ha fermato i lavori. Proponeva la costruzione in zona San Martino, edificabilità consentita dal piano regolatore ma non realizzata. Ma il piano regolatore prevedeva anche l’allargamento di Via Tribunali, una strada larga tre metri e ricca di edifici storici: quindi l’unica era demolire un lato, se demolisci il lato destro, ti scontri cori il campanile della Pietrasanta, se il lato sinistro, demolisci la navata di San Lorenzo. L’edificabilità della collina di San Martino i Napoletani la hanno ignorata, mentre hanno costruito ovunque non si poteva. Questo piano regolatore è stato valido dal 1939 al 1972, era lo stesso piano regolatore, nonostante Napoli fosse stata nella seconda guerra mondiale pesantemente bombardata e quindi bisognosa di interventi; nel ’72 al Ministero dei Lavori Pubblici c’era Martuscello, da non confondersi con Martuscelli, che si avvaleva di un comitato consultivo in cui c’era Vezio De Lucia, Antonio lannello, era una forza dell’urbanistica in Italia e per esaminare il piano fatto nel 1970 partecipò il Soprintendente, Mario Zampino, che portò me come consulente per quel che riguarda il centro di Napoli. Per quel che riguarda quindi il centro, il P.R.G. fu trasmesso al Ministero, non essendo allora ancora trasferita la competenza dal Ministero dei Lavori Pubblici alle Regioni. Il piano regolatore del 70 non fu restituito con parere negativo, che avrebbe impedito le opere; fu approvato con modifiche, il che consentì l’allargamento del centro storico. In questo si inserì la polemica con l’Università, in specie con l’istituto di Restauro, di Roberto Pane prima e di De Stefano poi, che consideravano centro storico da tutelare soltanto il centro antico, cioè la Napoli Greco Romana. Questa è un’altra vittoria di Napoli e non solo della Soprintendenza, si considerò Centro Storico tutta la Napoli costruita prima della seconda guerra mondiale proprio per il carattere storico degli edifici che sono la memoria degli eventi che la storia racconta nel dettaglio. Adesso ancora, questo è il piano regolatore.
Allora Napoli era interessata dalla polemica tipo ‘Il Regno del possibile’, che prevedeva la demolizione programmata del centro storico, quando negli anni in cui tu sei stato Soprintendente era già patrimonio dell’Unesco.
Il patrimonio Unesco va considerato come l’etichetta da mettere su di una bottiglia di vino: non ha un valore altro che quello di riconoscimento, non ha possibilità né di finanziamento né di divieto su nulla. Però certo si è avuto questo riconoscimento, un titolo prestigioso che consente di spaventare chi voglia sottrarsi alla tutela dei beni culturali, ma non essendovi sanzione… Fu Ugo Carughi a mettere insieme tutta la documentazione necessaria, due metri cubi di documenti, due casse di un metro per un metro, con cui ha inserito nel centro storico di Napoli, quello grande così come risulta dal Piano del 1972 e che ha avuto il riconoscimento dell’UNESCO come patrimonio dell’umanità: è il centro storico più grande di Europa. Ciò porta grandi possibilità di immagine, ma non di sostanza.
Però ne risentì certamente la grande ondata di finanziamenti per chiese ed edifici pubblici …
Ci mancherebbe altro! anche se non ci fosse l’etichetta sulla bottiglia ci si guarderebbe dal distruggere la Chiesa di Santa Chiara… Ci hanno pensato gli Alleati… lo fece la guerra, ma io avevo 8 anni e non ebbi responsabilità sul bombardamento degli alleati. Fu un danno, ma nella storia anche questa sciagura può avere il suo senso, l’Italia si era liberata di Mussolini, i bombardamenti terroristici di guerra ebbero il loro senso per evitare il peggio dal punto di vista politico.
Nel centro storico va ricordata anche l’apertura del Museo Diocesano e quello di Santa Chiara ….
Il Museo Diocesano è venuto dopo, il Museo di Santa Chiara era cura di Raffaello Causa, in cui mi volle come parte operativa; poi fui io a gestire l’inaugurazione. Con la dr. Labis, come altra ala della Soprintendenza relativa ai beni storico artistici; la conservazione del chiostro di Domenico Antonio Vaccaro allo stesso modo, fu concordata tra Raffaello Causa e il suo amico Mario De Cunzo.
Allora c’era grande attività di IISS, IISF e di Napoli 99, quali rapporti hanno avuto con la Soprintendenza?
In realtà nessuno ha avuto rapporti espliciti con la Soprintendenza, né I’IISS, l’istituzione fondata da Benedetto Croce, né poi I’IISF, inventato e pensato da Gerardo Marotta, realizzato a sue spese e a suo onore. Napoli99 anche è una istituzione privata: ed è quindi una bella cosa, questa, che ben tre istituzioni di origine non istituzionale, di ideazione e sostanze private, abbiano potuto agire in modo tanto positivo. Ciò dimostra come la città sia molto ricca di iniziative in una serie di scelte difficili come Monumenti a Porte Aperte, con cui le Soprintendenze si mettevano a disposizione per aiutare a diffondere l’idea della cura delle territorio da parte della scuola: un’attività meritoria ed interessante.
Tornando al 94, ci fu poi il vertice ONU; Napoli aveva già consolidato una sua identità internazionale
Sempre per merito di Berlusconi, l’immagine di Napoli era cresciuta nella stima generale; dopo il GB, Napoli si era posta con successo sul mercato internazionale come sede significativa, l’ONU organizzò a Napoli un convegno internazionale con 350 paesi partecipanti per la lotta contro la Criminalità – ho le foto dell’incontro in cui io cammino a fianco di Berlusconi e io sembro addirittura più basso di lui – lo avrà fatto apposta, con la sua grande capacità mediatica… è l’occasione in cui Berlusconi ebbe il suo avviso di garanzia…
Tutto questo portò anche alla liberazione del Palazzo Reale da presenze incongrue… Ma alla fine non sei diventato Direttore Generale…
Subito dopo sono stato trasferito da Napoli a Roma, ma non fu una diminutio, A Roma mi fu affidato il controllo e il coordinamento della Pianificazione Paesistica in tutta Italia dal ’95 al 2000, perché era vigente la legge Galasso che prevedeva l’obbligo per le Regioni di fare i Piani Paesistici entro il 31.12.96, altrimenti il piano paesistico sarebbe stato fatto dal Ministero. Era difficile farlo, e in conseguenza si era penalizzati con lo scadere dai finanziamenti. Cosa che è avvenuta a Napoli, solo la Campania si è fatta prendere in fallo, mentre tutte le altre regioni si sono premurate di agire nel senso giusto. Era difficile, perciò la Puglia ad esempio, la Sicilia, La Lombardia, approvarono finti piani paesistici, appena abbozzati, oppure piani generici che delegavano ai comuni la pianificazione: così si misero formalmente a posto. Invece in Campania è stato il Ministero ad elaborare il Piano Paesistico delle zone vincolate, e questo per la Campania, isole comprese, Capri Ischia e Procida nonché le zone vesuviane, vivono ancora di quel primo spurio piano di sistemazione paesistica. In conclusione, questo piano è stato stilato alla Soprintendenza per delega poi del Ministero, il che vuoi dire Napoli e tutte le zone vincolate, Capri, Ischia, Procida e via dicendo. II piano è valido ancora oggi.
L’unico grande episodio di pianificazione paesistica eseguito dalla Soprintendenza campana. Lo ho potuto seguire alcuni lavori in quello di Ischia, ho potuto constatare che si riusciva a lavorare bene. Ma poi hai lasciato quell’incarico per ritornare a lavorare sul campo, e sei andato in Puglia.
Dal ’95 al 2000 io ero a Roma a coordinare la pianificazione paesistica in tutta Italia, il che mi ha consentito di conoscere bene la situazione in tutta Italia, non tanto di intervenire perché le Regioni si erano organizzate e quindi l’intervento centrale era ridotto, e tutti avevano fatto in modo di assumersi le responsabilità e approvavano velocemente dei piani con la delega ai comuni. Per esempio il piano della Puglia aveva un articolo, mi pare in numero 29, in cui si precisava che il piano non riguardava le opere di qualità – cosa tanto indeterminata da rendere difficile l’intervento.
Perciò hai finito poi per tornare in Soprintendenza…
Ero stanco di stare al Ministero e ho chiesto di tornare a fare il Soprintendente e mi hanno affidato la Puglia, dove ho condotto un lavoro faticosissimo perché mentre ora la Puglia è divisa in diverse Soprintendenze allora era unica e per giunta unita, riguardava insieme i beni architettonici e storico artistici, mentre ora ci sono 5 soprintendenze; per giunta conoscendo ancora poco il territorio. Ma anche lì per fortuna è andato tutto bene.
Ad esempio ci fu l’episodio di quell’edificio a mare, Punta Perotti…
Ci furono diversi episodi interessanti, perché il primo punto era il restauro dei Teatri, il Teatro Margherita e il Teatro Petruzzelli, il Petruzzelli, il bellissimo teatro bruciato; qualunque sia stato il motivo dell’incendio, era un rudere già in restauro ed ebbi la possibilità di riprendere delle progettazioni per ultimare i lavori nel mondo più conveniente. Poi ci fu la possibilità dì intervenire sul mostro di Punta Perotti, un suolo che non era stato vincolato dalla Soprintendenza ed esulava dalla legge Galasso perché era nell’area urbana di Bari. Era un mostro enorme, costruito in modo del tutto abusivo, 350mila metri cubi ed era dieci volte più grande del mostro di Fuenti della costiera sorrentina.
Anche quello era stato un punto glorioso della tua biografia, venti anni prima.
Fu una bella esperienza quella di Bari. Anche lì si creò una situazione interessante, mi chiamò il Procuratore della Repubblica e mi chiese di intervenire, perché c’era un piano regolatore, quello di Quaroni, i suoli erano in contrasto col piano benché non ci fossero i vincoli della Soprintendenza; quindi si poteva controllare la rispondenza al piano regolatore, il controllo, che, effettuato dai funzionari della Soprintendenza, dimostrò che effettivamente la costruzione era in contrasto col piano regolatore. Conclusione, è stato demolito.
Come si era agito nel caso del mostro di Fuenti: come andò quell’episodio?
Era accaduto che Mazzitelli, costruttore pugliese, aveva costruito un edificio di 75.000mq approvato dalla Soprintendenza, non ricordo su proposta di chi, dell’opinione pubblica, di Elena Croce o della magistratura, io mi trovai a dover controllare la legittimità della costruzione del Fuenti. Dalle verifiche trassi la conclusione che era illegittimo perché i disegni non rispondevano alla realtà. Nei disegni e anche in un plastico presentato dai costruttori il palazzo sembrava piccolo piccolo e la costa grande, praticamente avevano ingannato sulla scala relativa della costruzione, invertendo la scala di grandezza tra essa e la costa sorrentina. Ed è stato demolito, sono stati da noi fermati i lavori, e lo stesso costruttore l’ha demolito alla fine anni ’90 sulla base delle ordinanze precedenti, emesse quando ero Soprintendente. A Salerno si dovette dimostrare che la Soprintendenza aveva approvato un progetto dove c’era una falsa rappresentazione dello stato dei luoghi – era un albergo finito ed arredato, aveva già anche ospitato i terremotati. Il suolo oggi è libero.
Galasso e la famiglia Croce sono stati due presenze importanti nella tua vita professionale e culturale.
Giuseppe Galasso era addirittura il ministro, e aveva fatto la legge per la tutela paesistica che tutela dai tanti abusi che si tende a commettere. Per la stesura di questa legge non si può risalire agli estensori, non c’è ufficialità, ma sembra che abbiano collaborato Antonio lannello, Presidente di Italia Nostra e Paolo Maddalena della Corte dei Conti, un procuratore. La Corte dei Conti denunciò che costruire producendo un danno paesistico permanente era in pratica sottrarre valore economico contante allo Stato. II procuratore Maddalena decise così di fare un esame delle costruzioni cresciute a Capri e ad Anacapri, e mi portò con lui per fare un esame della situazione. Fu una situazione dannatamente divertente, perché Maddalena metteva in timore tutti i funzionari dei comuni della zona, ammonendoli che i loro reati contro il patrimonio della collettività portavano con sé la necessità del risarcimento da loro dovuto alla collettività. E contrariamente ai reati penali, che cessano con la morte del colpevole, il risarcimento invece passava agli eredi. Subito però ci si difese dal pericolo, perché subito dopo questo exploit una legge tolse la corte dei conti questa possibilità dandola ai pretori ordinari. Ma ricordo ancora la faccia dei possibili inquisiti e del procuratore in una scena che mi ricordo con più gioia del conferimento dell’onorificenza di Cavaliere di Gran Croce!
Queste considerazioni ti hanno portato a incentivare la nascita in Soprintendenza di una struttura antiabusivismo, così da poter tenere sotto controllo i desideri malevoli
Sì, c’era una struttura di controllo organizzata nella Soprintendenza per il controllo dei cantieri che si attivava soprattutto in estate. Per il controllo di queste attività sospette avevamo acquisito la collaborazione di una associazione ippica, di cavalieri a cavallo in pratica, che giravano nei luoghi dove si ipotizzava una possibile attività fuori legge. Mi chiamò il Prefetto dicendomi che occorreva cambiare strada, che non potevo avere una squadra di cavalieri, un esercito privato in difesa del suolo, dicendomi di rivolgermi ai carabinieri o a chi potesse aiutare senza rischi di abuso. Li Soprintendete in effetti ha già un grande potere, il suo diritto ad agire supera molti altri poteri, l’interesse per il paesaggio da salvaguardare viene prima di tutto perché è un interesse collettivo superiore a tutto tranne che alla difesa armata. Ma quando ci trovammo a Positano, in costiera amalfitana, a contestare una serie di costruzioni di una cooperativa di personale dell’esercito che fruiva appunto di quella deroga per la difesa, si tolse anche quella limitazione e si poté difendere il territorio anche in quel caso, perché per l’articolo 9 della Costituzione la difesa del paesaggio è superiore anche all’interesse sanitario. Non hanno infatti potuto costruire nemmeno un ospedale contro questo potere.
Grazie di questo lavoro e di queste parole che valgono a ricostruire una storia che andrebbe invece sempre raccontata, ricordata e anche quando occorre, commentata nel suo essere un caso a esemplare, come ce ne sono sicuramente nel territorio ma non sempre riescono a sconvolgere la catena di disgrazie e di politiche che occupano gli organismi d’informazione da mane a sera. Tra l’altro questa, come tante altre storie, sarà difficile da raccontare in futuro, visto che le carte della Soprintendenza sono un labirinto manchevole, per benefiche o malefiche azioni di disturbo della memoria. Quindi, complimenti e grazie!
GF ARTE Mascilli Intervista in Soprintendenza a Mario de Cunzo
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