Napoli e Campania Maze ne parlano ancora
Maria Paola Varricchio
Il mito in Vico
“Vico è il rivoluzionario che, mettendo da parte il concetto di verisimile e intendendo in modo nuovo la fantasia penetrò la vera natura della poesia e dell’arte, e scoperse, per cosi dire, la scienza estetica”
(B.Croce, Estetica p.242)
Il ruolo di padre dell’estetica viene solitamente attribuito ad Alexander Gottlieb Baumgarten, filosofo tedesco che per primo adottò il termine estetica nella storia della filosofia, riferendolo alla conoscenza sensibile e alla teoria del bello e delle arti liberali; a B. è attribuita la stesura di un opera dal titolo Estetica, del 1735. Secondo Croce il ruolo spetterebbe, invece, a Gianbattista Vico.
Entrambi riconoscono il carattere di conoscenza dell’arte e della narrazione, ma Baumgarten se la definisce cognitio sensitiva perfecta, cioè un sapere diverso dalla logica, la dice poi inferior rispetto alla logica – come fosse destinata al superamento. Vico vi coglie invece una scienza che è vera conoscenza dell’uomo, perché regno del verum ipsum factum: l’uomo può comprendere solo quello di cui può conoscere le cause e ciò che può comprendere nelle sue ragioni. Dà quindi un fondamento all’affermazione di un sapere umano, che non è verità assoluta ma soggetta a cambiamento ed interpretazione (Bruno). Sua dottrina è quindi la scienza della storia e del mito.
I primi segnali dello sviluppo di una forma di riflessione critica sul mito risalgono alla fine del Seicento, il tempo di Vico, a partire dal Settecento la riflessione diventa la metodologia filologica di Vico ed elabora principi ermeneutici specifici. Vico avverte subito l’esigenza di elaborare un canone interpretativo per la mitologia, tanto da creare un mito. Il De Antiquissima Italorum sapientia (1710) rappresenta la prima fase della gnoseologia vichiana, argomenta l’identità del vero e certo con un mito: l’antica sapienza dei popoli italici utilizzava la stessa parola per indicare entrambi. Il Verum ipsum factum indica che l’uomo conosce quel che sa fare, costruire con la mente conoscendo le cause, ed è questa la sua vera conoscenza. Gli spiriti primitivi creano la conoscenza nel mito e la custodiscono severamente come racconto di avvenimenti reali. Così il mito diventa narrazione delle storie dei popoli: storie, non favole, gli antichi dei, gli eroi del fuoco e del sole, raccontano nella loro narrazione la storia ai popoli, rispondono alle domande di conoscenza e chiarificazione.
Nella prima età dell’uomo il mito è la conoscenza: la favola degli dei non è traduzione di una verità scientifica, è conoscenza. Quindi se Vico chiama i miti favole, si tratta di favole epistemologiche ed eticamente severe. Non alterazioni di spiegazioni ma verità storica come si manifesta alla mente primitiva. Afferma: “la mitologia non è invenzione arbitraria e calcolata ma spontanea visione della verità. Quale si presentava allo spirito degli uomini primitivi”. Il mito è sapienza poetica ed è conoscenza poiché la conoscenza dell’uomo è dapprima sensibile e poetica, dopo razionale e storica, è estetica, come dice Croce, poiché parte e torna alla percezione, al factum, che il verum argomenta e chiarisce, senza pretendere di giungere a conclusioni ultime, definite, intoccabili.. Vico non riesce a dare una definizione del tutto chiara della sua idea di mito, non riesce a delinearne i confini, resta, in lui, un concetto oscillante e intrinsecamente legato alla poesia. Lo stadio primitivo dell’uomo è caratterizzato dalla fantasia, essa dà vita alle cose inanimate, a quel che l’uomo primitivo percepisce fuori di sé, e che quindi crea. Il prodotto della fantasia è la poesia, perché il poeta è colui che crea. Perciò per Vico mitico è sinonimo di poetico. Mythos significa, in origine, parola vera, racconto vero, i primi poeti raccontavano cose vere, La poesia è una forma di sapienza e conoscenza. Nel momento in cui l’uomo primitivo, attraverso il mito, esprime quello che percepisce, lo conosce; la conoscenza di quello che è esterno all’uomo è data attraverso immagini che lo stesso uomo rapporta alla propria esperienza; tali immagini sono al centro del discorso vichiano sul mito, egli li chiama Universali Fantastici, immagini prodotte dall’età primitiva che incarnano in esse tutti gli attributi legati all’idea che quell’immagine vuole esprimere. Ogni civiltà ha il suo Giove, dice Vico, Giove assomma gli attributi della divinità, l’universale fantastico è un’immagine che viene creata dall’uomo quando non è ancora in grado di servirsi del concetto astratto. Tali immagini che il mito crea e conosce sono Universali, in quanto vi si rispecchia non solo il poeta ma l’intera comunità. Nel mito un concetto si lega all’immagine di un eroe, di un personaggio particolare che lo impersona e tale personaggio è insieme individuo e concetto. Cosi Ulisse è l’eroe arguto, curioso, l’esploratore nostalgico che viaggia, supera gli ostacoli che lo separano dal ritorno, ed è egli stesso il ritorno, il viaggio, l’arguto superamento dell’ostacolo.
Ulisse, Giove sono universale e fantasma, universale fantastico. Il mito è contraddizione un concetto che vuol essere immagine e un’immagine che è concetto. Questa stessa contraddizione, propria del mito, dà vita all’inopia (dal latino inops, in- senza e ops- mezzo, strumento), all’ impossibilità della mente umana di pensare per universali ragionati ed ad esprimersi con termini propri, e calza a pennello nella dottrina del mito pur impedendo all’universale fantastico di approdare nella dottrina estetica. L’idea del mito come universale fantastico si collega alle idee espresse nella Scienza Nuova su Omero. Omero è un poeta primitivo, traduce in immagini quello che percepisce della realtà, le sue immagini sono universali fantastici, personaggi nei quali si possono riconoscere qualità intellegibili a tutti gli uomini. I personaggi omerici sono caratteri poetici, universali. Vico si interroga su diversi aspetti dell’autore: sul fatto che non si abbiano date relative alla sua vita, sull’incoerenza e la disomogeneità dei linguaggi utilizzati, dei sentimenti e delle virtù contenute nelle sue opere, delle geografie percorse dai suoi eroi. Giunge a pensare che Omero non sia realmente esistito ma che rappresenti il simbolo dei diversi popoli greci che narravano, cantando, le loro storie. Per Vico quindi, un Omero egli stesso mito, sostituzione e simbolo di un popolo di Omeri. In questo modo le incoerenze ed inverisimiglianze di cui sopra divengono convenevolezze e convergenze. Omero diviene, inoltre, in questo modo, il primo storico a noi pervenuto dell’intera Grecia, prima testimonianza dell’identità di storia e poesia.
L’introduzione all’edizione del 1744 della Scienza nuova si apre con una figura complessa: da un cielo nuvoloso emerge un triangolo con un occhio dal quale scaturisce un raggio di luce che colpisce il petto di una donna ed è quindi riflesso sulla statua di Omero. È la Dipintura, Vico ne parla come di un geroglifico, una immagine del presente capace di svelare profondi concetti. Il raggio di luce viene direttamente dal cielo ad illuminare l’uomo dal buio dell’ignoranza, il vero giunge all’uomo attraverso il certo, gli artefatti, gli oggetti dotati di un significato presenti nell’immagine. In questa accezione il mito non è un archetipo arcaico che viene dal passato, ma una forma estetica di conoscenza, sta a noi decodificare l’immagine. La conoscenza è nella composizione dei frammenti, nella lettura delle immagini, nella ricerca della loro coerenza. Per capire bene il rapporto tra loro conta il particolare che rivela indizi, tracce, attraverso cui ricostruire il nesso. L’allegoria comprende digressioni infinite, aperte alla competenza enciclopedica del lettore. Come nell’allegoria, il mito acquista funzioni diverse attraverso lo spostamento di piani, in cui il commento porta chiarezza alla logica in cui si elabora la leggibilità del mondo.
Nella Scienza Nuova Vico non parla di estetica ma usa il termine scienza, conoscenza altra che si oppone alla ragione di Cartesio per difendere l’ingegno. La Scienza Nuova contiene la volontà di ribaltare le filosofie della conoscenza di tipo cartesiano affermatesi nel secondo Seicento. Questo perché il vero conoscere è il fare e l’uomo è adatto a trovare ragioni esaudienti solo per ciò di cui egli stesso è autore, le matematiche, la storia, la poesia. Linguaggio e poesia sono applicazioni dell’ingegno che scrive l’immaginazione in parole e in figura. Vico non rifiuta il sapere scientifico, ma il pensare che esso risieda solo nelle scienze naturali o nelle matematiche. Non definisce false le dottrine cartesiane, le degrada da verità compiute a verità frammentarie, da scienza a coscienza, anche laddove riconosce alle matematiche un posto privilegiato lo fa in base alla conversione del conoscere col fare, mathematica demonstramus quia verum facimus, le matematiche sono scienze operative, l’uomo disegna il punto, moltiplica l’uno, conosce numeri e grandezze perfettamente perché sono opera sua. La matematica, quindi, come la storia, è vera creazione della mente umana. Cartesio avrebbe dovuto sostituire il Cogito, ergo sum con il Cogito, ergo esisto: perché la necessità della vita del pensare non è logica ma storica. Alla ragione di Cartesio va contrapposto l’ingegno, la facoltà di scoprire il nuovo, che tiene conto della differenza tra conoscere umano e divino.
Nella Scienza Nuova Vico rifonda i concetti stessi di storia e di storiografia cogliendoli nei loro rapporti con la scienza, la filosofia e la filologia. Lo studio del mito e la sua innovativa interpretazione gli danno modo di avvicinarsi al pensiero mitico accogliendone il senso più autentico di documento e testimonianza di un’epoca perduta. Per capire quest’ultima, per affrontarla intellettualmente, Vico suggerisce la strada offerta dal mito piuttosto che la ricerca orientata su fonti storiche e letterarie. La storiografia di Vico, imperniata sul mito, confluisce in una concezione della cultura in cui poesia, arte e fantasia sono il vero parlare dell’uomo, il suo raccontarsi. Si tratta di un parlare fantastico non fine a se stesso. Vico ridà valore di realtà accaduta, vera ai miti, ritenuti da molti solo favola e invenzione fantastica. Se l’eroe è qualcosa di più dell’uomo, non per questo deve essere concepito come un essere fittizio e inesistente nella realtà. Al livello eroico, del resto, si può ricondurre buona parte di ciò che va considerato come estetico. È il linguaggio dell’eroe dunque, immaginifico, metaforico, quello che più interessa all’uomo, poiché permette di tradurre il concetto in immagine rendendolo intellegibile. Le metafore, le similitudini vengono a costituire il solo modo di comunicazione possibile per l’età eroica, ma anche il vero e autentico modo di comunicazione estetica di tutti i tempi.
GF Varricchio Nel 2018 trecentocinquant’anni dalla nascita di Giambattista Vico – Il mito in Vico
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