Napoli e il Partito Democratico. Il rapporto tra la Capitale del Sud e il Partito che vuole rinascere.

di Vincenzo Curion

Il 25 febbraio c’è stato l’incontro, aperto alla cittadinanza, per la campagna di Armida Filippelli e Luca Zingaretti, a cui ha partecipato Maurizio De Giovanni, autore de I bastardi di Pizzofalcone. In quella occasione abbiamo conosciuto una candidata che può dire ancora molto anche oggi. Filipelli per anni è stata dirigente del “Galiani”, mostrando come la scuola pubblica si sia impegnata in battaglie coraggiose contro la dispersione scolastica. Tra le promotrici del progetto Chance – maestri di strada – e di molti progetti per la legalità, ha segnato momenti importanti per la politica di Napoli e che resta centrale. “La scuola”, ha sempre ragionato questa donna che oggi è scesa in campo per fare politica nel Pd, “è l’unica medicina per combattere criminalità, ingiustizie, disuguaglianze”. Perciò, nella conclusasi campagna per la segreteria regionale, ella ha rappresentato una figura di alto profilo per l’apertura alla società civile, per incoraggiare alla ripresa di fiducia di un elettorato ormai molto fluido che fa i conti con le prime disillusioni per le proposte dall’attuale governo, dai cantieri pubblici, all’economia reale ed alla finanza. Gli ideali sono ormai banditi dai progetti politici.

La dirigente partenopea che ha dalla sua, sicuramente l’esperienza professionale di lungo corso nella scuola e nella comunità, meglio può figurare in questa richiesta di confronto con l’idea di cambiamento avanzata a livello nazionale da Zingaretti.

Nel salotto buono del Made in Campania, l’atmosfera è stata quella delle grandi occasioni e un pensiero è andato alla battaglia oltremare dei pastori sardi, che stavano sversando ettolitri di latte per chiederne la giusta valorizzazione. Le peculiarità eccellenti di Napoli e la loro tutela non chiede azioni meno eclatanti, e la loro visione strategica potrebbe essere l’asset fondamentale della politica regionale, tentando di ridestare una coscienza civica che sembra sopita sotto il tamburo battente delle campagne mediatiche permanenti ormai di moda.

Il discorso della Filippelli è stato teso a rispondere al clima della sala, un gruppo che si rincontra, affiatato e vitale. La chiamata a raccolta della sinistra napoletana è sentita e vede coinvolti esponenti del Partito Democratico napoletano, ma anche nomi importanti della società civile. Persone che si riconoscono in un’idea democratica che, seppur dopo la pesante sconfitta del 4 marzo scorso, non hanno abbandonato il campo, malgrado le sirene e la campagna elettorale perenne degli ultimi mesi. Parlando con i presenti l’idea è che si possa pensare e definire un cambiamento, e che si possa e si debba tornare a contare nella politica nazionale, anche senza fantomatiche piattaforme, ma con la forza e la coerenza di chi ascolta, si documenta e poi formula idee ed avanza proposte. L’occasione della cena è stata così un modo per fare squadra e scambiarsi opinioni, riconoscersi uniti, fare la conta delle forze. Così Filippelli si è destreggiata tra i tavoli gremiti per costruire quella prossimità smarrita da tempo: fare sintesi, gestire una squadra con tante anime, fondare le scelte sulla concretezza dei dati a disposizione, senza abbandonare la vision, sono doti necessaria in specie al PD in Campania. “Per tornare a contare serve che si discuta di lavoro, di sicurezza reale, di decoro delle città, ma anche di inclusione e di immigrazione, con un dialogo che possa essere compreso da tutti”. Addetti ai lavori e semplici astanti, chi mangia pane e politica e chi invece pratica l’espressione di voto dell’ultimo giorno, solo in vista della giornata elettorale. L’intervento di Maurizio De Giovanni ha seguito il discorso di Filippelli: la Città è stata allontanata dalla scena principale, perdendo quel ruolo di centro nevralgico e pensante di tutta una parte dell’Italia sostenuto per secoli. “Per storia e tradizione, ricorda lo scrittore, Napoli non può essere messa a latere, dimenticata come fosse una sperduta periferia”. “Napoli rimane capitale con un’area urbana tra le più densamente abitate d’Europa”. A questa comunità, va restituita la possibilità di essere ascoltata da un partito che, ha vissuto con trascuratezza il rapporto con la realtà partenopea che ha tanto da offrire al centrosinistra nazionale. “In una logica di ricchezza delle diversità, Napoli è assolutamente centrale”. “Piena di rischi per la grande eterogeneità che la anima, ma anche ricca di tante opportunità, di tante idee di sinistra che necessitano di essere valorizzate”.

Zingaretti non ha lesinato energie per continuare a credere nella “cultura del noi, contrapposta alla follia della cultura dell’io”. Ricorda che è la passione e non la rabbia, il motore trainante del cambiamento. Parla di comunità, come un corpo vivo, “un cervello pensante una proposta per l’Italia e per gli italiani”. Non trascura di raccontare il suo timore post elezioni politiche quando sembrava che del Partito Democratico non avesse alternativa che sciogliersi o morire nel proprio orgoglio. Parla di credibilità, chiedendo a tutti di fare un passo in più per “tornare a essere identificati come quelli che fanno e non solo quelli che criticano o che parlano”. Il fare, l’unico antidoto per dipanare la matassa di un discorso di Nazione sempre più all’angolo, appiattita su posizioni isolazioniste. È un discorso che invita la base del Partito a operare concretamente. L’accorato appello disegna un’immagine di compagine che si discosta molto dall’immagine giornalistica, anche appannata, di un Partito che si limita a salire sulle barricate criticando le divisioni della maggioranza. “È necessario, ricorda Zingaretti, “che ogni attivista, ogni simpatizzante si faccia carico per essere agente di cambiamento, alternativa credibile alla corrente cultura politica”. Ricorda che “occorre farsi trovare pronti prima ancora di poter pensare di riacciuffare una nuova occasione di essere guida per il paese. “È in gioco la Democrazia dell’Italia”, chiarisce Zingaretti, “quella stessa che già vacilla sotto le accuse ai magistrati, sotto l’autonomia spacca Italia, sotto gli inviti a non votare, confusa dalle sirene delegittimanti il Parlamento, la libertà di stampa, il sistema europeo”. “Alla ricerca sterile del nemico”, sostiene il candidato alla segreteria nazionale, “serve contrapporre proposte e idee”, tornando a presidiare quei problemi –inclusione, sicurezza, lavoro, povertà- che il Partito ha abbandonato durante la storia recente. “Serve tornare dagli ultimi della fila per dire loro che, grazie alle nostre politiche, saranno messi in condizione di essere all’inizio della fila”. “Serve dare prospettive, costruite sul senso di responsabilità, l’impegno, il sacrificio, l’identità di tutti” “Bisogna alimentare con gesti concreti la possibilità che, dopo il 3 marzo, ci sia non un leader che ha un partito, ma un partito, -tante anime, tante persone responsabili e pensanti- con un leader”. “È necessario”, ricorda ancora Zingaretti, “dare attuazione a quanto scritto nell’articolo 3 della Costituzione”. “È la Repubblica, cioè tutti noi, che si adopera per rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Con parole pregnanti fa notare come senza una visione differente dell’economia, è tutta l’Italia a rischiare la propria tenuta e i valori stessi che la tengono assieme. “Per questo”, conclude “serve un nuovo Partito Democratico che venga riconosciuto come una squadra di persone che ce la mettono tutta per trovare le migliori soluzioni”, efficaci efficienti e sostenibili che “radichi la sua identità non sugli schemi più convenienti, ma sull’ossessione di difendere la dignità della persona”.

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