di Stefano Ulliana |
Aristotele Metafisica, 990° 18 – 993° 27
Aristotele, Metafisica. A cura di Giovanni Reale. Milano, Rusconi, 1998 (1993¹). Pp. 51 e segg.
I passi di Aristotele e il commento
7) E, per certo, le cose sensibili non possono derivare dalle Forme in nessuno di quei modi che solitamente vengono indicati. Dire che le Forme sono <<modelli>> e che le cose sensibili <<partecipano>> di esse significa parlare a vuoto e far uso di mere immagini poetiche. (a) Infatti, che cos’è mai ciò che agisce guardando alle Idee? (b) È possibile, infatti, che ci sia o che si generi una qualunque cosa simile ad un’altra, pur senza essere stata modellata ad immagine di questa; sicché potrebbe ben nascere un uomo simile a Socrate, sia che Socrate esista sia che non esista. E sarebbe lo stesso, evidentemente, anche nel caso che ci fosse un <<Socrate eterno>>. (c) Inoltre, per una medesima cosa dovranno esserci numerosi modelli e, di conseguenza, anche numerose Forme: dell’uomo, per esempio, ci saranno le Forme di <<Animale>>, di <<Bipede>>, oltre che di <<Uomo in sé>>. (d) Inoltre, le Forme saranno modelli non solo delle cose sensibili, ma anche di sé medesime: per esempio, il Genere, in quanto Genere, sarà modello delle Forme in esso contenute. Di conseguenza, la medesima cosa verrà ad essere modello e copia.
Se anche venisse considerata immanente (Aristotele richiama le riflessioni di Anassagora ed Eudosso), l’idea avrebbe sempre su di sé il valore del principio, dal quale tutte le cose sensibili deriverebbero (secondo la relazione artistica sottesa fra modello ed ente partecipante). In questo modo l’idea sottrarrebbe la necessità di dimostrare la modalità e l’entità del rapporto, che lega ad essa l’ente derivato: la finalità che essa stessa rappresenta per l’operazione di costituzione dell’ente poi esistente dovrebbe assumere su di sé la funzione di causa produttiva, stabilendosi come termine produttivo per somiglianza. Ma per Aristotele la somiglianza non può avere valore causale: la somiglianza fra gli enti esistenti non ha un termine comune di riferimento ideale, che ne sia causa produttiva dall’esterno. Questo soprattutto perché sono molteplici le reciproche composizioni capaci di rendere la determinatezza dell’essere e dell’essere conosciuto di qualsiasi termine rappresentativo di un ente esistente (es: uomo come animale bipede implume). Poi in questa funzione terminale e produttiva le idee sarebbero sì produttive di altro, ma anche della propria stessa presenza e manifestazione, con una evidente doppiezza, che diventerebbe contraddizione qualora si continuasse ad utilizzare i termini di “modello” e “copia”. Esse finirebbero per diventare, appunto, nello stesso tempo “modello” e “copia”.
8) Inoltre, sembrerebbe impossibile che la sostanza esista separatamente da ciò di cui è sostanza; di conseguenza, come possono le Idee, se sono sostanze delle cose, esistere separatamente dalle cose? Ma nel Fedone viene affermato proprio questo: che le Forme sono causa dell’essere e del divenire delle cose. Eppure, posto anche che le Forme esistano, le cose che di esse partecipano non si produrrebbero se non ci fosse la causa motrice. E ci sono anche molte cose che si producono – per esempio una casa o un anello – delle quali non ammettiamo che esistano Idee. Di conseguenza, è chiaro che anche tutte le altre cose possono essere e generarsi per opera di cause dello stesso tipo di quelle che producono gli esseri sopra menzionati.
La relazione ideale viene dunque sostituita da Aristotele con la causa del movimento e della trasformazione produttiva (causa motrice), che non ha bisogno di un’entità separata, che funga da termine e da modello. Essa abbisogna solamente della sostanza come sostrato materiale ed intelligibile, per il divenire e l’essere della cosa stessa.
9) Inoltre, se le Forme sono numeri, in che modo potranno essere cause? Forse perché gli esseri sensibili sono altri numeri? Per esempio, questo dato numero è l’uomo, quest’altro numero è Socrate, quest’altro ancora è Callia? E perché mai quei numeri sono cause di questi? In effetti, il fatto che gli uni siano eterni e gli altri no, non ha alcuna importanza. Se la ragione, invece, sta nel fatto che le cose sensibili sono costituite da rapporti numerici (come per esempio l’armonia), allora è chiaro che esiste un qualcosa di cui i numeri sono rapporto. E se c’è questo qualcosa – cioè la materia -, è evidente che gli stessi numeri ideali saranno costituiti da determinati rapporti di qualche altra cosa con qualcos’altro. Per esempio, se Callia è un rapporto numerico di fuoco, terra, acqua e aria, anche l’Idea dovrà essere un rapporto numerico di certi altri elementi aventi funzione di sostrato. E l’uomo in sé – sia esso un determinato numero o no – sarà similmente un rapporto numerico di certi elementi, e non semplicemente numero; e, per queste ragioni, non potrà essere un numero.
Nella critica al proporzionamento per somiglianza con valore causale Aristotele inserisce pure la demolizione della stessa relazione formale di proporzionamento, operazione immaginativa e razionale che sussiste fra elementi materiali (sensibili o intelligibili), che vengono presupposti come elementi che devono appunto essere reciprocamente composti in una unità variamente proporzionata. La stessa duplicazione platonica – esistente sensibile, idea – rischia poi di duplicare la medesima modalità pure per il mondo delle entità e dei numeri ideali.
10) Inoltre da molti numeri si produce un numero unico; ma come può prodursi da molte forme un’unica Forma? E se, invece, i numeri non sono formati dai numeri stessi ma dalle unità che sono contenute nel numero – per esempio nel diecimila -, allora come saranno queste unità? Infatti, se sono della stessa specie, si cadrà in assurde conseguenze. E se non sono della stessa specie né le unità appartenenti allo stesso numero considerate l’una rispetto all’altra né le altre appartenenti a numeri diversi paragonate tra loro, si cadrà ugualmente in assurde conseguenze. Infatti, in che modo potranno distinguersi l’una dall’altra, dal momento che non hanno determinazioni qualitative? Queste affermazioni non sono ragionevoli né coerenti.
Non c’è dunque proporzionamento o rapporto numerico fra quantità elementari a stabilire la realtà e la funzione della vera causa del divenire e dell’essere degli enti. Mentre le operazioni con i numeri finiscono ad un termine e ad una determinazione unica, la molteplicità delle forme resta invariabile. E se la determinazione numerica dovesse essere considerata al livello delle relazioni fra gli elementi unitari, l’accostamento e la somma degli elementi stessi – simili o dissimili che siano – o non avrebbe lo stesso valore della loro integrazione, o non potrebbe nemmeno dare alcuna composizione.
11) Inoltre, è necessario ammettere un secondo genere di numero: quello di cui tratta l’aritmetica e tutti quegli oggetti che alcuni denominano <<intermedi>>. Ma, questi, in che modo esistono e da quali princìpi derivano? E perché mai devono esistere <<intermedi>> fra le cose di quaggiù e le realtà in sé.
Se, poi, il numero dovesse essere mediazione – dovesse cioè assumere su di sé la funzione esplicitata dal soggetto medio e mediante aristotelico, logicamente e ontologicamente fondato ed espresso dal combinato-disposto del principio d’identità e di non-contraddizione – di esso si perderebbe facilmente la possibilità di comprensione e di determinazione/giustificazione, in quanto non mostrerebbe un orizzonte di spiegazione e di scopo, valendo così come medio inspiegato e non finalizzato, scisso e separato dalle entità che dovrebbe spiegare e da quelle dalle quali dovrebbe prendere giustificazione. Un medio quindi alla fine inerte ed inoperabile.
12) Inoltre, le unità che sono contenute nella diade, dovrebbero derivare, ciascuna, da una diade anteriore. Ma questo è impossibile.
Un medio che, nel caso della diade platonica, avrebbe la necessità di riferirsi – contraddittoriamente rispetto alla sua principialità – ad una diade ulteriore e superiore, astratta e separata.
13) Inoltre, in virtù di che cosa il numero, essendo composto, è qualcosa di unitario?
Resta alla fine il problema massimo: come unire la diade all’Uno?
14) Alle cose dette si deve aggiungere anche questo: se le unità sono differenti, bisognava parlare, a questo riguardo, nello stesso modo in cui parlano quei filosofi che ammettono quattro o due elementi. Infatti ciascuno di questi filosofi non intende per elemento ciò che è comune, per esempio il corpo in generale, ma intende per elementi il fuoco e la terra, sia che esista qualcosa di comune fra loro – il corpo, appunto – sia che non esista. Ora, invece, i Platonici parlano come se l’unità fosse omogenea, come il fuoco o la terra. Se così è, i numeri non saranno sostanze; ma è chiaro che, se esiste una Unità in sé, e se questa è principio, allora l’unità si intende in molti significati diversi. Altrimenti sarebbe impossibile.
Che vi sia poi un’estensione in relazione alla quale vi siano degli elementi, come capi opposti (ad esempio fuoco e terra), oppure questi stiano nel vuoto, così come si afferma nel caso dei filosofi naturalisti od atomisti, i Platonici identificano l’elemento e l’unità, non aprendo alcuna differenza possibile e, dunque, impedendo alla variabilità del numero di coprire semanticamente quello stesso spazio, che loro stessi assegnavano all’identificazione della natura degli esseri. Senza questo orizzonte di molteplicità la stessa Unità superiore platonica, che sembra stare in se stessa, separata dall’interezza del mondo esistente, non riesce a collegarsi con la molteplicità particolare delle singole unità sostanziali o delle determinazioni d’essere esistenti, a meno di non considerare sussistente un quanto unitario d’essere (un punto ontologico), che proceda da essa stessa come determinazione e che successivamente si componga ulteriormente con le categorie dimensionali (con l’estensione del movimento, per la costituzione della linea, a propria volta determinativa in orizzontale della superficie ed in verticale, attraverso la superficie stessa, del solido tridimensionale). Forse allora è proprio dietro il suggerimento critico di Aristotele, che Platone assoggetta la propria teoria delle idee alla riformulazione critica presente nel Parmenide, mentre il Timeo avrebbe poi costituito la genesi e lo sviluppo delle idee iniziali di tipo geometrico (punto, linea, solido) nella definizione e costruzione deduttiva del mondo naturale, dei suoi soggetti e delle loro reciproche relazioni. Aristotele, però, sembra voler sottolineare qui l’impossibilità di vedere e considerare un’unica specie di unità: l’Unità superiore dei Platonici, se è principio – come principio onto-logico sono per lui l’identità e la non-contraddizione – deve ammettere necessariamente una forma inferiore di unità molteplice, da essa derivata e distinta. Ma anche separata? Come si può pensare facilmente, ritornano qui tutti i problemi precedentemente enucleati da Aristotele stesso, sinteticamente enunciabili attraverso la domanda: <<Ciò che è distinto può anche essere separato?>>
GF saggi Ulliana Ma la realtà è numero O sono le idee – Aristotele (3)
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