Libertà di pensiero, non discriminazione e tutela delle diversità

di  F. D’Isanto e D. D’Anna[1]

1.Introduzione

Il rispetto delle diversità e delle identità degli individui, la libertà di pensiero e la non discriminazione sono obiettivi prioritari per assicurare una coesistenza pacifica all’interno del territorio europeo e nel mondo intero.

Oggi le duplici tendenze della globalizzazione e della crescente diffusione delle tecnologie di informazione e di comunicazione hanno allargato la possibilità di interagire e comunicare pensieri e idee in tempo reale tra persone di ambienti diversi. Allo stesso tempo, tuttavia, si assiste ad un appiattimento od omogeneizzazione, derivato principalmente dal processo economico, che erode l’unicità delle culture individuali. I crescenti flussi transazionali delle popolazioni portano spesso ad attriti culturali che rischiano di venire inaspriti “dall’intenzionale istigazione” all’odio e alla diffidenza. Le differenze e le caratteristiche distintive che potrebbero arricchire le nostre vite diventano  invece bersaglio di attacchi o barriere di separazione tra le presone, che troppo spesso sfociano in conflitti violenti o generano altri tipi  di minaccia all’esistenza e alla dignità delle persone (Ikeda, Boulding, 2010).

Ecco perché uno degli obiettivi fondamentali che l’Unione Europea si prefigge di perseguire è  la difesa e la tutela delle diversità. La diversità non è semplicemente qualcosa che deve essere rispettato ma un’occasione che può arricchire di significato l’esistenza di tutti i cittadini. Valorizzare le diversità significa creare opportunità di crescita e di sviluppo per ogni paese.

 

2. La pluralità delle nostre identità

        

L’economista indiano Amartya Sen (2007), sostiene l’idea che la pluralità delle nostre identità può svolgere un ruolo chiave nell’aiutare le persone a resistere  alla forte spinta trascinatrice della psicologia di massa e alle istigazioni alla violenza che provocano conflitti. Egli ci avverte che: “l’insistenza, anche solo implicita sulla natura univoca, senza possibilità di scelta, dell’identità umana, non è soltanto riduttiva per noi tutti, ma ha anche effetti incendiari sul mondo (…). La principale speranza di armonia nel nostro tormentato mondo risiede semmai nella pluralità delle nostre identità, che si intrecciano l’una con l’altra e sono refrattarie a divisioni drastiche lungo linee di confine invalicabili a cui non si può opporre resistenza”.

I membri di qualunque gruppo etnico non rappresentano un corpo unico nella loro identità: gli ambienti in cui sono cresciuti, le loro occupazioni e i loro interessi come singoli individui sono diversi, come lo sono le loro convinzioni e i modo di vivere. E’ grazie a questa diversità di identità  che, pur sussistendo differenze concrete di etnia, religione, idee politiche, è sempre possibile trovare nello scambio umano da persona a persona punti di confluenza e risonanze reciproche. Come fa notare Sen, ciò può permetterci di superare “linee di confine invalicabili” e stabilire molteplici legami stratificati di non discriminazione, empatia e amicizia.

In linea con l’interesse di Amartya Sen per la pluralità umana, la filosofa politica tedesco-americana Hannan Arendt (1970) scrisse: “Per quanto siamo colpiti dalle cose del mondo, per quanto profondamente possano scuoterci e stimolarci, esse diventano umane per noi solo quando possiamo discuterne con i nostri compagni”. La Arendt prosegue chiarendo che la parola “compagni” vuole indicare una relazione di amicizia e non di fratellanza, in particolare l’amicizia tra persone con diverse visioni della verità. E’ proprio grazie a simili differenze che il mondo si umanizza attraverso il dialogo, e la ricca varietà della vita umana risplende della sua magnificenza.

Anche il presidente della SGI (Soka Gakkai Internazionale) Daisaku Ikeda (2003) ribadisce il valore di questo tipo di amicizia, basato sul rispetto della libertà del pensiero altrui, che previene l’ulteriore spaccatura delle società in cui la differenza troppo spesso funge da marcatore per l’esclusione. Sostenere questo tipo di amicizia è cosa fondamentale per impedire che il senso di connessione empatica con gli altri esseri umani venga spazzato via da una cultura di discriminazione, da un vortice di odio e di violenza. Per contribuire a radicare una cultura di pace e di rispetto per la diversità è necessario contrastare con pazienza ogni episodio di odio e di scontro che possa verificarsi. In quanto esseri umani gli uomini sono dotati degli strumenti che servono a questo scopo: 1) l’autoriflessione grazie alla quale immaginare la  condizione (e il dolore) degli altri come se fosse la nostra; 2) il ponte del dialogo per arrivare ad ogni persona, in ogni luogo; 3) la vanga e la zappa dell’amicizia con cui coltivare terre più aride e desolate. Egli afferma: “un’amicizia capace di sviluppare una vibrante cultura di non discriminazione ci farà provare una gioia condivisa in quanto persone che vivono insieme su questo pianeta e ci farà promettere di tutelare, a tutti i costi e nonostante qualsiasi differenza, la dignità innata in ciascuno di noi”.

Le Nazioni Unite, per trasformare la radicata propensione del genere umano alla guerra, hanno lavorato alla costruzione di una cultura di pace basandosi sulla Dichiarazione di Siviglia, un esempio di ciò è stato il Decennio Internazionale  per una cultura di pace e nonviolenza per i bambini del mondo (2000-2010), e continuano ad impegnarsi a tale scopo.

 

3. Dal concetto di libertà nel pensiero kantiano al Trattato di Lisbona

 

La Comunità Europea (CE) trae la propria origine dal pensiero cosmopolitico che possiamo ritrovare nella “Pace perpetua” di Immanuel Kant (1795). Egli è stato l’autore che più di ogni altro si è collocato all’origine di un’idea pacifica di Europa, che prendesse in considerazione anche il tema della propria unità. Alla base del pensiero kantiano ritroviamo i fondamenti dell’attuale Unione Europea (UE). Oltre alla centralizzazione del potere sotto un’unica legislazione comune, il filosofo ottocentesco sosteneva la necessità di introdurre Costituzioni Repubblicane ove fossero elencati i principi di libertà fondamentali dei cittadini, il principio della separazione del potere esecutivo da quello legislativo, l’uguaglianza fra i membri senza discriminazione alcuna ed il diritto di visita. Tali concetti sono facilmente riscontrabili nell’acquis comunitario seguito dall’Organizzazione Sovranazionale europea; la Carta Europea dei Diritti fondamentali dell’Uomo (CEDU), l’introduzione della Cittadinanza Europea con il Trattato di Maastricht e il Trattato di Schengen rappresentano solo alcuni esempi delle conquiste che l’epoca moderna ha ottenuto mediante un’unione intergovernativa fra Stati europei.

Il progetto kantiano ha introdotto nelle profonde radici dell’Europa il senso di una società aperta, legata a un processo di “umanizzazione della storia”.

Basti considerare che il filosofo illuminista sosteneva l’importanza di trasformare il diritto internazionale da mera separazione di molti stati indipendenti l’uno dall’altro a vera e propria federazione di liberi stati – e liberi popoli – in grado di porre fine alle guerre europee, le quali, nei secoli antecedenti la Comunità europea, avevano portato il Continente alla devastazione.

Non bisogna, infatti, dimenticare che l’obiettivo della CECA era controllare la produzione di carbone e acciaio in Europa (specialmente di Germania e Francia) per scongiurare un’altra, definitiva, guerra in Europa e preservare la pace (aspetto questo che oggi non viene ricordato ma è un merito dell’UE se non vi sono più state belligeranze nell’Europa moderna).

In oltre cinquanta anni d’integrazione, lo Stato europeo si è evoluto allargando le sue competenze alle materie di carattere economico, politico e sociale, con la nascita della Comunità Economica Europea (la CEE aveva come obiettivo la creazione del Mercato Comune o unico europeo, obbiettivo raggiunto in parte, ma pur sempre da perfezionare), con la creazione di uno Spazio di Libertà, Sicurezza e Giustizia (SLSG) ed una Politica Estera Comune (PESC).

Particolare attenzione è stata posta sugli aspetti di natura sociale.

Il Trattato di Maastricht ha posto le basi per la creazione dello SLSG, mediante il quale l’Unione Europea ha mirato ad assicurare la libera circolazione delle persone e ad offrire un livello elevato di protezione ai cittadini. E’ stato legiferato in materia di spazio e cooperazione in ambito Schengen per assicurare la libera circolazione dei cittadini europei nell’Unione e l’attraversamento delle frontiere interne, sui diritti dei cittadini di Stati terzi, l’immigrazione clandestina, i visti, l’asilo, la riammissione e le relazioni con paesi terzi. Allo Spazio di libertà, sicurezza e giustizia compete, inoltre, il delicato compito della lotta contro le discriminazioni. Esso, infatti, dedica una parte consistente delle sue attività alla lotta contro il razzismo, la xenofobia e l’antisemitismo, oltre a favorire la parità di opportunità tra gli uomini e le donne.

Di grande rilievo per la nostra trattazione, però, risulta essere la proclamazione, durante il Consiglio europeo di Nizza del 2000, della Carta fondamentale dei Diritti dell’Uomo.

L’Unione Europea ha, da sempre, proclamato il proprio impegno per il rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, confermando apertamente il proprio impegno riguardo ai diritti sociali fondamentali. Il primo passo verso la proclamazione di una Carta dei diritti con valenza giuridica è stato attuato con il Trattato di Amsterdam.

In tale occasione si è insistito sul rispetto dei diritti fondamentali, in particolare quelli garantiti nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU), adottata a Roma nel 1950 dai membri del Consiglio d’Europa. Nel preambolo del Trattato UE si fa riferimento ai diritti sociali fondamentali definiti nella Carta sociale europea (Consiglio d’Europa) del 1961 e nella Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori del 1989.

A norma del Trattato, l’UE ha acquisito il potere di prendere adeguati provvedimenti per combattere la discriminazione: possibili motivi d’intervento erano diventati le discriminazioni basate su sesso, razza o origine etnica, religione, credenze, minorazione, età o orientamento sessuale.

Con il Trattato di Amsterdam è stato conferito formalmente alla Corte di Giustizia europea il potere di vigilare sul rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali da parte delle Istituzioni europee. In seguito, l’adozione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, ha focalizzato l’attenzione sulla necessità di un’Unione democratica e solidale. La Carta è stata preparata da rappresentanti dei Parlamenti nazionali, del Parlamento europeo, della Commissione e dei capi di Stato e di governo, su input iniziale e politico del Consiglio europeo di Colonia del 1999, poi “lanciata”, infine, durante il Consiglio europeo di Nizza del dicembre 2000. L’esito, in tale occasione, è stato di lasciare ad una successiva fase di maturazione il compito di sciogliere il nodo della valenza giuridica della Carta, dunque di come costruire il rapporto con i trattati comunitari e di come renderla formalmente e solennemente vincolante. A tal fine, il rito normale di una conferenza e di un Trattato internazionale è imprescindibile, quale che sia lo sbocco stabilito, se un testo separato ovvero una parte di un futuro trattato.

La Carta dei diritti fondamentali sancisce un complesso di diritti fondamentali, insieme articolato sui valori della dignità, della libertà, dell’uguaglianza, della solidarietà, della cittadinanza europea e della giustizia. In definitiva, lo scopo dell’iniziativa enunciato a Colonia era di rendere “più visibili” i diritti fondamentali all’interno dell’esperienza comunitaria. Non si voleva innovare, dunque, ma rendere esplicita e solenne l’affermazione di una serie di valori destinati a ispirare il vivere insieme dei popoli europei, nei limiti e secondo il quadro di competenze già delineato con le dovute forme dei Trattati comunitari, dalla Convenzione di Roma sui diritti fondamentali, dalle Costituzioni degli Stati membri e, soprattutto, della giurisprudenza della Corte di Giustizia.

Se si considera il suo significato rispetto ai valori che ispirano il processo d’integrazione europea complessivamente considerato, la Carta ha fortemente contribuito a consolidare i principi comuni ai popoli europei e alle istituzioni comunitarie.         

Ciò, indipendentemente dal valore formale della Carta, ha rappresentato un passo avanti nel processo d’integrazione, nella misura in cui accompagna sul piano dei valori un cammino, lento ma sicuro, verso l’integrazione politica in senso lato. In qualche modo si è trattato di un elemento che ha contribuito, sotto un profilo politico, a stimolare il completamento di un disegno cominciato con l’integrazione economica e in particolare con la realizzazione di un mercato unico, nel quale i rapporti economici, sociali e culturali si sviluppano in uno spazio senza confini. Non va trascurato, peraltro, che il regime comunitario di libera circolazione delle persone aveva già ridotto in maniera significativa ogni rilevanza della qualificazione della persona stessa, ormai di per sé beneficiaria di quella libertà.

Infine, con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea ha completato il suo exursus venendo inclusa nel Trattato stesso. La scrittura di una Carta dei diritti incorporata, come allegato, nel testo del Trattato europeo ha esaltato il ruolo costituzionale della Corte di Giustizia, anzitutto perché ha potenziato la sua legittimazione; in secondo luogo perché ha svincolato la Carta da una lettura meramente economica dei diritti fondamentali e le ha permesso di entrare nelle problematiche dei diritti fondamentali dalla “strada maestra”, che è quella del bilanciamento dei valori, non quella della integrazione economica; infine, perché il Trattato di Lisbona non ha espunto le altri fonti di ispirazione della giurisprudenza comunitaria, in materia di diritti fondamentali.

 

4. Il diritto di voto come esercizio di libertà

 

La Carta dei diritti non assorbe completamente le altre fonti di tutela dei diritti fondamentali, differenziandosi, così, dalla temuta “Bill of Rights” in grado di trascinare con sé l’incremento di competenze delle Istituzioni europee. Infatti, nelle clausole finali, all’articolo 51, par. 2, è stato enunciato che “La presente Carta non estende l’ambito di applicazione dell’Unione al di là delle competenze dell’Unione, né introduce competenze nuove o compiti nuovi per l’Unione, né modifica le competenze e i compiti definiti nelle altre parti della Costituzione”. Scongiurato, dunque, con le clausole finali, il rischio dell’allargamento delle competenze, nella Carta sono potute comparire importanti novità contenutistiche alla tutela dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Nella Carta compaiono importanti diritti che non trovano traccia né nella giurisprudenza comunitaria pregressa, né nelle Costituzioni nazionali degli Stati membri, né nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Inoltre, i diritti già conosciuti assumono spesso nuove connotazioni nel testo della Carta.

Innanzitutto vi è il riconoscimento di “nuovi diritti” che non erano mai stati codificati, ma solo occasionalmente anticipati dalle avanguardie delle giurisprudenze costituzionali ed europee. Inedito, specie per il lettore italiano, è tutto il Titolo primo riguardante la Dignità umana e, in particolare, l’articolo 3 che affronta il problema della ricerca medica e biologica sulla persona; ma anche l’articolo 6 sul diritto alla libertà e sicurezza lascia intravedere problematiche mai affrontate in forma di diritti fondamentali. La libertà cui si allude non è solo quella legata all’habeas corpus e la sicurezza viene per la prima volta fraseggiata in termini di diritto fondamentale. Similmente gli artt. 24, 25 e 26 sui diritti del bambino, degli anziani e dei disabili non hanno corrispondenti nelle Costituzioni nazionali.

In generale, la Carta dei diritti arricchisce i cataloghi dei diritti fondamentali dell’uomo, facendosi carico di esigenze nuove indotte dall’evoluzione della società, dal progresso sociale e dagli sviluppi scientifici e tecnologici, come si afferma nel Preambolo.

C’è da sperare che il dinamismo della giurisprudenza della Corte di Giustizia europea e l’operato dell’Agenzia europea dei diritti fondamentali, pur se cristallizzati fedelmente nella Carta, continuino a cogliere al giusto le spinte incessanti di una società sempre più esigente su questi temi, adeguando di conseguenza e rapidamente il sistema.

Un’ultima analisi va fatta sull’introduzione, con il Trattato di Amsterdam, della cittadinanza dell’Unione. La cittadinanza europea attiva porta con sé alcuni valori imprescindibili. Innanzitutto l’eguaglianza fra cittadini pone tutti i membri dell’Unione sullo stesso piano giuridico-sociale; in più, la cittadinanza europea, conferisce a tutto il popolo dell’Unione Europea, il diritto di voto e l’eleggibilità alle elezioni municipali e del Parlamento europeo. Conseguenza diretta è, inoltre, la protezione diplomatica e consolare dei cittadini come sancito dall’articolo 23 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (ex art. 20 TCE) secondo cui “Ogni cittadino dell’Unione gode, nel territorio di un paese terzo nel quale lo Stato membro di cui ha la cittadinanza non è rappresentato, della tutela da parte delle autorità diplomatiche e consolari di qualsiasi Stato membro, alle stesse condizioni dei cittadini dello Stato”.

Il diritto di voto è l’espressione concreta della libertà di pensiero, ed è un principio indispensabile per le moderne democrazie. I cittadini, mediante l’esercizio del voto, assumono la funzione di controllo dell’operato dell’esecutivo. Con la riforma dei poteri delle Istituzioni europee, il Parlamento europeo ha assunto un valore centrale all’interno dell’Unione. L’articolo 14 del Trattato di Lisbona elenca le funzioni del Parlamento europeo: legislativa e di bilancio, esercitate congiuntamente con il Consiglio, di controllo politico e consultiva, nonché di elezione del Presidente della Commissione. La “fiducia” data dal Parlamento alla Commissione coinvolgerà anche il nuovo Alto Rappresentante per la politica estera dell’Unione, che ricopre anche le vesti di vicepresidente della Commissione. Grazie a questo connaturato legame fiduciario, oltre alla lettura dei trattati, il Parlamento, se ne sarà politicamente capace, potrà condizionare la scelta dell’uomo (e quindi la sua azione) cui spetterà animare la politica estera dell’Unione. 

Ulteriore “novità” che figura fra le mansioni del Parlamento è la possibilità di proporre modifiche ai trattati oltre che al compito di approvare gli accordi internazionali, anche non commerciali, siglati dall’Unione Europea.

Dunque, i cittadini europei, attraverso il proprio voto, potranno rendersi partecipi della vita politica dell’Organizzazione sovranazionale, limitando, se necessario, anche la politica estera dell’Unione (fino ad ora prerogativa esclusiva degli esecutivi). Soltanto un Parlamento Europeo, forte di un’ampia affluenza alle urne, sarà in grado di risolvere le problematiche intrinseche all’Unione Europea.

 

5. Considerazioni conclusive

 

Negli ultimi anni gli organismi internazionali e comunitari si stanno impegnando nel promuovere una visione del mondo basata sulla interconnessione. In un mondo sempre più interdipendente tutto ciò che sembra avere un impatto soltanto locale, ha inevitabilmente ripercussioni su scala globale, e l’evoluzione di ciascun individuo, come lo sviluppo di un intero paese, non può prescindere dall’educazione ai diritti umani e dal rispetto delle identità altrui.

Nel settembre del 2012,  la rete internazionale degli Associati per l’educazione ai diritti umani (Human Rights Education Associates, HREA) e l’ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani (Office of the United Nations High Commissioner for Human Rights, OHCHR) hanno presentato “A Path to Dignity. The Power of Human Rights Education (Un sentiero verso la dignità: il potere dell’educazione ai diritti umani) per promuovere presso un pubblico più ampio gli ideali e i principi della Dichiarazione delle nazioni Unite sull’ educazione e formazione ai diritti umani adottata dall’Assemblea generale dell’ONU nel dicembre 2011.

L’equilibrio esistente nella relazione, tra libertà individuale ed interconnessione con gli altri esseri umani, è l’essenza delle riflessioni che ci siamo proposti di analizzare in questo lavoro.

Il nesso importante individuato nel pensiero seniano è quello tra libertà individuale e sviluppo sociale. In altri termini non può esistere sviluppo sociale se non esiste libertà individuale intendendo per essa quella che concretamente può realizzarsi alla luce di vari fattori: le opportunità economiche, le libertà politiche, i poteri sociali e le condizioni abilitanti. Ma, nello stesso tempo, sugli assetti istituzionali che rendono possibili queste condizioni agisce l’esercizio delle libertà individuali, mediato dalla libera partecipazione alle scelte sociali e alla formazione di decisioni (e tra queste rientra anche  l’esercizio del diritto di voto come esercizio della libertà di pensiero e di partecipazione).

Sen (1999) sostiene che la libertà è un elemento fondamentale nel processo di sviluppo per due ragioni fondamentali. La prima è una “ragione valutativa”: quando si giudica se c’è o non c’è progresso, ci si deve chiedere prima di tutto se vengono promosse le libertà di cui godono gli esseri umani; la seconda è la “ragione dell’efficacia”: la conquista dello sviluppo dipende, in tutto e per tutto, dalla libera azione degli esseri umani. Il concetto di libertà porta con sé varie considerazioni di valore, ma quando si parla di efficacia è necessario guardare alle specifiche connessioni empiriche fra libertà di diversi tipi. E’ grazie a tali interconnessioni che l’azione libera e sostenibile emerge come motore principale dello sviluppo. Egli sostiene che l’azione libera non è soltanto di per sé una parte “costitutiva” dello sviluppo, ma contribuisce anche a rafforzare altri generi di azione libera. Sono le connessioni empiriche a collegare i due aspetti dello sviluppo come libertà.

Il concetto seniano di libertà e la sua visione dello spazio d’incidenza, può essere considerata per certi aspetti come l’ evoluzione del concetto kantiano di libertà. Quando si parla di libertà di pensiero ci si riferisce alla sua fase genetica e alla possibilità che il pensiero abbia avuto di formarsi liberamente. Solo la  scelta di un individuo che nasce all’interno di uno spazio ampio di opportunità, può essere considerata una scelta secondo libertà.

 

L’altro scopo di questo lavoro è stata la riflessione sugli effetti negativi che le disuguaglianze e le discriminazioni possono generare in ogni paese.

I ricercatori britannici Richard Wilkinson a Kate Pickett (2009) hanno studiato gli effetti della discriminazione e della disuguaglianza  sulle popolazioni, notando che associata ad una perdita economica essa ha un effetto corrosivo sia sulle relazioni individuali che sulla società nell’insieme. Nella loro opera La misura dell’anima: perché le disuguaglianza rendono le società più infelici sottolineano che non solo le disuguaglianza economiche aggravano i problemi sanitari e sociali, ma che con una disuguaglianza maggiore le persone sono meno altruista l’une con l’altra, c’è una minore reciprocità nelle relazioni, le persone devono badare a se stesse e prendere quello che possono, così inevitabilmente, c’è una minore fiducia. Inoltre, poiché “la disuguaglianza sembra rendere le nazioni socialmente disfunzionali in una vasta gamma di risultati”, nelle società più inique se la passano male non solo i poveri ma le persone di quasi tutti i livelli di reddito. La disuguaglianza, la discriminazione determinano deprivazione economica per determinati gruppi di individui. Tale situazione si aggrava quando le persone percepiscono che la loro stessa esistenza è disprezzata, si sentono alienate e private di un ruolo significativo  e di un posto all’interno della società. In una persona che sta lottando  per migliorare la propria esistenza in mezzo a tali condizioni difficili, reazioni fredde e insensibili (provenienti dall’ambiente più vicino o dalla società nel suo insieme) intensificano la sensazione di isolamento e di insicurezza, e feriscono profondamente la dignità.

Ecco perché negli ultimi anni, oltre alle misure economiche per affrontare il problema della disuguaglianza, si è sottolineata sempre più l’importanza di un approccio di inclusione sociale concentrato sul ripristino del senso di connessione con gli altri e di scopo nella vita. Ecco perché l’importanza di questi temi per gli organismi internazionali e comunitari.

 

 

Bibliografia

 

Arendt, H.,  “Men in Dark Times”, Houghton Mifflin Harcourt, New York, 1970, pp. 24-25. 

Ikeda,  D., Boulding E.,  “Into Full Flower: Making Peace Cultures Happen”, Dialogue path Press, Cambridge, 2010, p.113. 

Ikeda,  D.., “L’educazione Soka”,  Esperia, Milano, 2003, pp. 79-80. 

Kant,  I., “Per la pace perpetua”, 1795, traduzione dall’originale tedesco, di Maria Chiara Pietavolo sulla base degli appunti di Giuliano Marini, Bollettino telematico di filosofia politica. 

Richard, W., Pickett, K., “ The Spirit Level: Why More Equal Societies Almost Always Do Better”, Allen  Lane London, 2009, p. 56. 

Sen, A., “Identity and Violence: The illusion of Destiny”, Penguin Books, London , 2007,  p.16. 

Sen, A., “Development as Freedom”, Oxford University Press, Oxford, 1999.



[1] I paragrafi 1, 2, 5 sono stati scritti da Federica D’Isanto; i paragrafi 3 e 4 sono stati scritti da Daniele D’Anna.