di Alessandro Savy
L’espressione sarebbe, secondo l’ipotesi di Darwin, “un relitto, il residuo del gesto, pieno di diretto significato, che in stadi remoti traduceva in azione immediata il turbamento psichico. […] Il gesto reattivo dei progenitori è divenuto segno; impedito nella sua traiettoria naturale ha acquistato una funzione “espressiva”, ha costituito un linguaggio, anzi la forma elementare e universale del linguaggio[1].
L’espressione, secondo Darwin, ha due volti: da una parte essa è una testimonianza inconfutabile della antica origine dell’uomo, dall’altra è un sistema di comunicazione non verbale, la cui conoscenza può portare ad un miglioramento dei rapporti nel genere umano. Per dimostrare la sua teoria, Darwin ricorse alla fisiologia, prendendone a prestito il modello di funzionamento del sistema nervoso: E’ un modello insieme energetico ed idraulico: nel corpo esiste un sistema di canalizzazioni entro il quale l’energia nervosa scorre come un fluido, con la tendenza conservativa a seguire i percorsi abituali”.[2]
A conclusione di questa sua trattazione lo studioso osserva come le espressioni siano riconosciute senza che vi sia un’operazione consapevole di analisi, e come le più importanti tra esse si ritrovino pressoché identiche in tutto il genere umano, offrendo un’ulteriore conferma alla sua teoria secondo cui le diverse razze sono derivate da un unico ceppo parentale. Il testo si conclude così: “L’espressione per se stessa – o il linguaggio delle emozioni, come è stata chiamata qualche volta – ha certamente una grande importanza per il benessere del genere umano”. [ibid., p. 420.]
[1] G. A. Ferrari, Introduzione, cit., p. XIII.
[2] ibid., p. 115.
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