di Clementina Gily
Negli Eroici Furori Giordano Bruno mostra se stesso fuori dell’ironia e del grande sapere con cui ovunque descrive il suo pensiero. Brevi stacchi ce lo mostrano dal vivo, quasi tra parentesi, mentre vede la fine del grande sogno di far rinascere intorno alla Regina Elisabetta lo spazio di una religione rinnovata nel senso da lui voluto: filosofica, ampia, non dogmatica, aperta al nuovo. Come quella che poco più tardi e basandosi proprio su di uno scritto di Bruno, Lo spaccio della bestia trionfante, che John Toland diffondeva, prese il nome di deismo inglese, una religione che apre le vie al multiculturalismo, scegliendo la via della religiosità intima invece che della costruzione delle Chiese coi loro dogmi e fondamentalismi. Una religione filosofica che in qualche modo abbraccia tutte le fedi, persino, paradossalmente, l’ateismo (che ha fede nella scienza, cioè nell’armonia universale – la legge scientifica – che per tante religioni, anche per Giordano Bruno, è il sinonimo di Dio – e quindi non pongono aut aut tra le fedi come l’ateismo fa come tutti i confessionalismi).
Ma per far sì che una Regina, e la sua corte, potesse seguire una strada tanto diversa dal potere politico, e filosofica, occorreva un uomo di corte capace di essere meno diretto di Giordano Bruno, atto a fondersi alla corte e convincere i sovrani. La fede nella verità rende gli uomini intolleranti e poco politici, e Bruno, come un tempo Socrate e Platone, perse la sua battaglia: nonostante l’amicizia subito fatta per la sua grande personalità e il legame col Re di Francia, con potentissimi uomini di corte come Robert Dudley, conte di Leicester ex favorito della regina, e proprio allora tornato nelle sue grazie dopo molti contrasti.
Fu per Bruno una grande delusione constatare che anche la Regina, che pure lo aveva incontrato ed apprezzato, non poteva essere la sovrana della nuova Europa che finalmente ponesse fine alle guerre di religione sanguinose e terribili. Un momento difficile che gli consigliò di tornare nel continente, in Germania, ma che generò forse la malinconia che lo portò a grandi immagini di poesia, autobiografiche, il ripensamento sul sé che sono il grande fascino dell’ultimo dei dialoghi italiani, dedicato ad Eros, gli Eroici Furori, in cui viene in luce l’anima stessa della sua riflessione. Momenti autobiografici che restano immagini potenti della mente: il solitario Giordano che si perde nei campi per ascoltare la voce dell’Anima del Mondo e insieme ama e odia questa propria tendenza, che lo porta a chiamare Dio il Grazïoso Nemico, che lo allontana dalle gioie della vita e della compagnia, da lui pure tanto amate, per cercare il vero ascolto della sua misteriosa voce. E l’altrettanto trascurato quadro di Laodomia e Giulia che narrano la famosa diadochia dei ciechi che in nove percorrono le strade tenendosi per mano e svelando ognuno le origini della loro cecità, che a volte li condanna e a volte li salva, quando sa suggerire il silenzio in cui ci si riappropria del sé più profondo.
Sapere, significa sempre lasciarsi portare dall’amore, dice Bruno, se s’intende cosa vuol dire amore. Non solo il più o meno casto connubio, la divisione d’amorosi sensi; non solo il fervere di abnegazione per l’amico, non solo il furore assassino nei confronti di chi si vorrebbe tenere sempre vicino.
Amore significa passione, interesse profondo, amor di Dio, amore di carità, amore di sapere e tante altre cose insieme, tutte suggerite dall’ascolto della voce che guida l’uomo oltre di sé. Ma tutti questi così diversi sensi si legano in una alla genuina ingenuità, all’esser liberi, come dice l’etimologia della parola ingenuus, cioè uomo libero e non schiavo, capace di giudicare da sé ascoltando la voce del cuore, seguendo la stella non ci si perde, dice Bruno.
Quella voce riporta Giordano di Nola alla terra natia della prima infanzia, quando riconosce una parola antica e dimenticata, ricorda l’amore per Giulia, un amore casto ed infantile che tutti vivono e dimenticano, che era pieno come può l’amore fanciullesco, privo di diffidenze e desiderio di affermazione, la bimba cui Laodomia, la sorella più grande, racconta la storia dei ciechi tenendoli tutti e due vicini a sé, Giulia e Giordano. Quel trasporto spontaneo torna in mente a Bruno come l’immagine che lo ha tenuto all’ancora della purezza, lui uomo fatto che canta la bellezza delle donne inglesi con golosa sensualità per pagine e pagine della Cena delle Ceneri; lui che ha tante volte esaltato Circe maestra all’uomo perché gli ricorda la sua animalità, la sua bassezza, il suo amare senza pietà e rispetto: ciò che lo matura e lo fa riflettere su di sé per tornare alla sua propria umanità dopo una purificazione.
Quel primo amore che si appagava di sguardo e vicinanza, è più affine all’amore per il sapere di quell’ambizione alla vittoria in cui spesso finisce l’amore la passione. Nel farsi immagine, questo sapere si mostra essere quello dell’artista, della voce del cuore, più che quello possessivo della scienza; è l’artista il tipico genio accompagnato dalla maledizione, perché reca in sé il contrassegno di elezione e perdizione per il suo giocare tutto di sé per un fine che lo oltrepassa. Che è il segno di chi sa creare, in ogni campo, lo scienziato anche, nel momento della ricerca. Per tutti gli amanti del sapere, scienziati, poeti, artisti e quant’altro, il pensare creativo procede attraverso un travaglio d’arte, una ricerca cieca, analogica, che vede tutto e cerca l’essenziale. Un sapere che va conosciuto nella sua irregolarità, irragionevolezza, tendenza alla perdizione, per correggersi e diventare metodo – il che non è facile in molti rami del sapere ed è impossibile senza studio.
La ricerca della bellezza è un cammino che comprende larga parte della vita dell’uomo, nella diversità che ognuno attribuisce al termine, che non a caso nel greco comprendeva nel termine molto più del bello, il fine positivo di scienza e morale verso cui dirigersi superando il proprio utile quotidiano che nella vita ognuno persegue come unico lume. Ma per questa ricerca non si può essere esaurienti e ben definiti, ognuno deve disegnare a suo modo questo cammino per essere creativo e originale, rispondendo all’oltrepassamento che il bello impone. Tanti momenti teoretici nella ricerca millenaria si presentano come tasselli di una linea di lettura lunga e difficile, cui l’immagine improvvisa dona chiarezza. La storia è la risposta ai problemi che guidano la ricerca, se è sostenuta da un problema che fa notare le stelle dove sono, posate tra tanti approfondimenti seri e pieni di concetti, ma che non parlano al cuore, all’uomo intero che ognuno è. Se no anche il pensare nella storia diventa accademia, un dedalo, un labirinto senza uscita, in cui un singolo particolare obnubila invece di chiarire il problema che spinge a cercare.
Se la filosofia è formazione sin dal suo inizio con Socrate e i Sofisti, tutti maestri nel bene e nel male, perché, diceva Comenio, quando due uomini sono insieme, si realizza un rapporto di formazione, o almeno di informazione, su di sé, sui fatti appena accaduti, sul pensare, sulla storia, occorre meditare attentamente sull’educazione che l’arte suggerisce.
Non sono forse questi stralci autobiografici forse anche più parlanti di tante dotte disquisizioni sull’aristotelismo che Bruno ha poi composto, guidato dal suo Eroico Furore, da quell’anelito di verità che è la traccia più profonda dell’Anima del Mondo in noi? Che nasce nell’ingenuità, nella libertà, nell’ascolto senza prevaricazione, fatto solo per rispondere ad un problema della sete di sapere?
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