La vita, la folla e il Sacro. Corpo, Corpi, Corpse.

di Gily Reda
Pelizza da Volpedo - Quarto Stato
Pelizza da Volpedo – Quarto Stato

Il sacro è un argomento capitale, anche nel nostro tempo. Basta un telegiornale, per capire come il mondo dei valori è ridiventato jungla – colpa del Novecento, grande secolo che ha concluso molti processi e gettato speranze: ma che, come segnalò nel 2011 Howard Gardner in Verità, Bellezza, Bontà, si è dimenticato di ripensare i valori della civiltà – ne ha solo cantato la crisi. Ma il vero parricidio non è di chi uccide, ma di chi ricostruisce – altrimenti si liquefa senza costrutto. Pare ormai si cambi idea, il nuovo millennio non consente più di dormire sugli allori. Occorre rispondere all’azione di altri popoli, di diversa civilizzazione, che vogliono imporre il regresso in forma aggressiva: economicamente, politicamente, socialmente.

Il Sacro è il punto cuspidale del valore – che sia in crisi è un paradigma del tempo. Perciò ad esso dedico il mio seminario annuale – detto stavolta del Giovedì Santo, che inizia il 24 marzo 2016 alle 16 all’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Gerardo Marotta e Antonio Gargano (continuerà il 21 e 22 aprile, è accreditato per studenti e docenti) aprirà una linea di discussione: per ora con Massimo Cacciari, Giuseppe Cantillo, Massimo Iiritano, Vincenzo Omaggio, Ernesto Paolozzi, Aldo Trione. Invece di lezioni, quest’anno ho preferito una tavola rotonda, che sarà rapidamente stampata su Wolf.

Il tempo necessita di una autorevole attenzione al campo: è ben avviata la strada che va dall’esaltazione del quotidiano – tipica del 900 – a quella del sottoquotidiano. Nei telegiornali e talk show tuona alta nel mondo la voce rozza di razzisti e qualunquisti. Essi considerano la politica un mestiere, andando dagli ideali alle buche in strada; senza ideali, è un mestiere; consente ottimi profitti; perché criticare il mercato? Il popolo del quarto stato, ormai, chiede solo privilegi.

Perciò, vale la pena di ricordare la scaturigine del problema del sacro, che è qui. Viene da quando si dava tutta la debita attenzione a Feuerbach, Darwin e Dostoevskij, i prinmi maestri del sospetto che cantarono l’Ode alla Morte di Dio con Leopardi e Carducci. Adler seppe parlare con equilibrio: non fu ascoltato. Oggi, certo, è storiografia e non storia viva, nostra – ma la memoria è la chiave del futuro, se non si capisce bene il problema, la soluzione diventa impervia.

Il marxista austriaco Max Adler 1873-1937 trattò di religione sin dall’inizio, pubblicando molti scritti dal 1904 (Das Neue Evangelium) fino a Religione e Chiesa del 1921 alle lezioni del 26 all’Arbeiter-Hochschule: ma tra le carte del Max Adlers Archiv lasciò due manoscritti, stampati pià di vent’anni fa: CITO: Max Adler, Schiavitù e Cristianesimo e Religione Affare Privato. Testo presto stampato da Lido Chiusano (Cadmo, Roma 1991 (1981) col titolo Religione e società, a cura di Tommaso La Rocca, già studioso del tema (Gramsci e la religione, Queriniana, Brescia 1981). La posizione di Adler si distingue per porre come alternativa la scelta, quadrisecolare ormai, di Pico della Mirandola, poi seguita dagli irenismi europei non confessionali. Diversamente dal celebrato Kautzsky, Adler bene intende l’intimo potere rivoluzionario della religione, il suo essere forma non comprimibile del pensare: non è solo strumento di potere. Il potere ha consentito la sopravvivenza del Verbo, ma dall’età moderna ha corrotto la sua idealità facendone una ferale, cattiva consigliera. Quando non sa essere anche Religione Affare Privato e diventa Kat-Holon, unica e intollerante, difende la propria superiorità spirituale anche con il sacro, tende al fondamentalismo diremmo oggi. Lo furono le religioni riformate, che s’incatenarono e incatenarono del pari, Lutero e il Concilio di Trento: se si perde la doppia anima del sacro, la magia del due diceva Giordano Bruno, si pretende per l’istituzione il riconoscimento spirituale sacro – la confusione con lo Stato completa il cerchio. Così facendo, disse Gramsci, non si seppe rispondere a Hegel, Ricardo e Robespierre, non si andò all’ugualitarismo di Cristo, si mestò l’aria vantando inesistenti conquiste, come la vittoria sulla schiavitù. Nella religione l’aspetto esperienziale (p.84) – lega ognuno al tutto; salva la coscienza ma fugge dal mondo. Perciò Adler vuole risolvere come il marxismo il sacro nella massa – che oggi intendiamo ‘folla’; la ribellione al controllo socio politico esercitato dalle chiese, la richiamerà al ruolo di giudice interiore che accompagna la vita dell’uomo coi valori umani.

Il modo migliore, però, mi pare citare la pagina finale del testo, che evoca il problema al suo nascere – è la visione di tanti, nello stesso periodo:

“il 22 gennaio del 1905 d.C., il povero popolo di Pietroburgo, ignorante ma fermamente fiducioso in Dio e negli Zar, si recò a  migliaia davanti al Palazzo d’inverno per mostrare agli occhi dell’unto (dal Signore) la sua miseria e il suo strazio, al fine di ottenere nuovo conforto da un’occhiata al volto del rappresentante di Dio sulla terra. Si avvicinavano con mogli e figli, il prete davanti, le immagini dei santi in processione e le loro voci unite in inni religiosi. Appena il popolo si avvicinò, proprio come sempre i suoi signori volevano, non come ribelle e non come partito che pretendeva con l’arroganza e con la forza, ma in processione implorante guidata e frenata dalla religione, come anche l’intendeva il popolo, ecco come si comportarono quelli che in genere sostenevano sempre così fortemente l’esigenza che la religione deve restare per il popolo.  Non impedirono ai soldati schierati davanti al palazzo d’inverno dello Zar di sparare senza pietà su questa massa di fedeli, causando così la domenica di sangue di Pietroburgo, da cui doveva derivare la prima rivoluzione russa. Quando i gonfaloni svolazzanti delle chiese vennero strappati dalle pallottole, quando le croci caddero per terra e le immagini sacre caddero nella neve arrossata di sangue sulle centinaia di persone che dovettero pagare con l’amara morte la loro fede religiosa, dove fu il profondo rispetto, custodito di solito così con tanto zelo anche al cospetto dei semplici simboli e immagini della religione, che viene normalmente mostrato in pubblico tanto volentieri dai governanti ed il cui riverente uso lo prescrivono finanche le leggi penali dello stato? La chiesa strettamente legata al potere statale non ebbe paura di fronte all’interruzione grandemente sacrilega del culto religioso, non appena lo suppose di essere debitore per il mantenimento dell’ordine esistente. La chiesa cristiana inoltre arretrò addirittura rispetto al ‘paganesimo’; poiché presso i ‘pagani’ romani e greci perfino il procedimento più rigoroso doveva arrestarsi davanti al diritto di asilo del tempio degli dei, davanti ai gradini dell’altare e la bacchetta del sacerdote stesa sui malfattori fermava tutti gli accusatori e vendicatori. Ma qui nella cristiana Pietroburgo degli Zar non venne tenuto conto per niente di tutto questo. La religione non ebbe bisogno più di essere mantenuta più a lungo per il popolo, appena questo aveva avuto l’ardire di reclamare diritti politici in suo nome e di minacciare i privilegi dei signori regnanti”.

La storia riporta così l’uomo all’aut aut esistenziale: bisogna scegliere tra la religione come potere e privato colloquio, come pubblica o privata – ed è ovviamente è chiara la risposta di Adler. Ridicolo discutere senza competenza di Dio: i popoli perciò seguono il sacro in tante forme. Nell’annata 2015, in Wolf trovi gli articoli su Jaspers di Cecilia D’Alise.

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