GF saggi Cambi Pedagogia di Croce
di Franco Cambi, Università di Firenze
- Alla ricerca della pedagogia “implicita”
Due parole introduttive sulla nozione di “pedagogia implicita”. Ogni sapere ha sempre aspetti ideologici espressi o no, essi riguardano le idee di uomo, di cultura, di società. Ha una Weltanschauung di riferimento. Anche una Weltanschauung pedagogica ovvero un modello ideale formativo. Che può essere detto o taciuto. Perché taciuto? Per varie ragioni: divisione del lavoro scientifico, fedeltà netta al proprio specialismo, minore sensibilità ai problemi di cultura generale etc.
Per la pedagogia si può guardare alla sua stessa storia. Ci sono esempi precisi sì di pedagogia esplicita ma anche di quella implicita. E molti. È esplicita in Platone tra il suo socratismo dei dialoghi giovanili, dove si fissa in senso antropologico, poi nella Repubblica e nelle Leggi, dove si sviluppa in senso sociale e politico. Così lo è in S. Agostino tra i testi di metodo educativo e istruttivo e poi soprattutto nelle Confessioni e nel De civitate Dei o nel De vera religione. E ancora in Rousseau o in Dewey, ma anche in Gentile, pensatori in cui la pedagogia sostiene e integra tutto il loro “sistema” filosofico e in modo molto netto e consapevole, con precise fisionomie antropologiche e culturali e socio-politiche.
Ma c’è stata in pedagogia come filosofia (e come scienza) una lunga tradizione di modelli impliciti: già in Aristotele dove la ritroviamo oltre le poche osservazioni della Politica. Così avviene in Kant o in Hegel o in Marx: lì la pedagogia esplicita ha spesso espressioni occasionali e minori: le lezioni di Kant, gli scritti scolastici di Hegel, le note di politica scolastica di Marx, ma essa resta soprattutto implicita nei testi maggiori. Guardiamo a Marx: la sua pedagogia antropologica sta nei Manoscritti e nell’Ideologia tedesca; quella socio-politica sta nel Capitale soprattutto; quella “utopica” ne Grundrisse. Che sono, sì, tutte implicite ma di alta caratura pedagogico-formativa. Ritenuta anche come la più vera pedagogia di Marx.
L’implicito, però, c’è anche nelle scienze e perfino nelle ideologie, che sono i fronti diversi della pedagogia teorica. Si pensi a Comte e al suo scientismo applicato alla mente e alla società. Si pensi a Popper e alla sua visione della mente scientifica, legata al metodo, all’“errore”, al ruolo delle teorie e alla falsificazione. E potremmo continuare. E sul fronte ideologico? Si pensi solo al Capitalismo attuale, finanziario, produttivistico e consumistico e alla sua pedagogia veicolata tramite i Media e che si diffonde con sempre maggiore forza. Si pensi al pensiero democratico attuale, spesso formale e istituzionale, ma che implica sempre una teoria del soggetto e della cultura e della società: una pedagogia .Si ripensi al pensiero di Bobbio che ha tenuto ferma una concezione della democrazia assai nitida e avanzata, con precisi corollari pedagogici, impliciti.
Nell’idealismo italiano del Novecento fu Gentile a rendere esplicita la pedagogia, che mise al centro del suo sistema. E Croce? Fu attore di educazione come ministro. Ma fu la sua filosofia a farsi educatrice di generazioni di italiani sia con la sua filosofia-dello-Spirito, sia col suo liberalismo, ma anche col suo antifascismo e la filosofia-della-libertà. Qui Croce fu proprio un Educatore Nazionale. Allora la vera pedagogia di Croce è proprio quella implicita. E a più volti.[i]
- Il Grande Intellettuale della Nuova Italia
Croce fu veramente un grande interprete della Nuova Italia e in essa volle essere un Educatore Ideale, una Guida Spirituale e un Costruttore di un Modello di Cultura compiutamente moderno. Tale compito ebbe però fasi diverse e ambiti diversi di sviluppo, significativi proprio di questo ruolo ampio e “pedagogico” che venne a svolgere per sessant’anni. Centrale fu l’elaborazione filosofica ispirata a un criticismo teso tra Herbart e Hegel e riattivato attraverso Marx e riproposto alla fine come tensione aperta e costante tra vitalità, pensiero e prassi. Centrale fu anche la ricerca letteraria, storica e metodologica, terreni su cui Croce elaborò testi esemplari. Tale fu la sua Storia dell’età barocca, come lo furono, pur con i loro limiti, La poesia di Dante e Poesia e non poesia e molti altri sul fronte letterario. Su quello storico lo furono le due Storie del 1928 e del 1932, ma anche le più giovanili opere dedicate alle “cose napoletane” e alle “vite di avventure, di fede e di passione”.
In ognuno di questi campi lasciò traccia durevole e operò come Maestro. Lo fu nella filosofia e in modo profondo, anche se il suo sistema filosofico si rivelò carico di “falle” e teoretiche e culturali: tale lo schema ora herbartiano ora hegeliano del suo idealismo, ma anche la svalutazione della scienza come sapere di pseudoconcetti, anche la gnoseologia incentrata sulla sintesi a priori poco in sintonia col conoscere ben più complesso elaborato dai saperi contemporanei. Lo fu nella critica letteraria anche qui tra luci e ombre, ma comunque attivando un esame capillare di tutta la letteratura dell’Italia postunitaria. Lo fu in particolare sul piano della ricerca storica sia sul fonte del metodo (e si veda Storiografia e idealità morale del 1950) sia su quello delle due Storie già ricordate. Così fu veramente un Educatore Nazionale, attraverso il suo impegno polimorfo, la sua elegante prosa, la sua partecipazione ai dibattiti culturali e politici e agli eventi storici che contrassegnarono il percorso dell’Italia e dell’Europa del Novecento. E tale ruolo fu in lui consapevole e programmatico.
Un ruolo che esercitò tra gli intellettuali, nel mondo degli insegnanti della scuola secondaria, presso le classi dirigenti e a vario titolo con la sua visione della cultura e della stessa politica ancorata sempre più ad un liberalismo moderno e europeo, come testimonierà il suo allievo De Ruggiero nella sua Storia del liberalismo: testo tutto crociano. Così agì come interprete critico del Moderno e dell’Italia Nuova, soprattutto sotto il fascismo, visto come episodio di malattia nazionale da superare con energia tornando ai principi e valori liberali. Ma questo Intellettuale-Educatore che rapporto ebbe con la pedagogia? Certamente ci fu una “pedagogia crociana”, come ebbe a ricordarci Vittorio Enzo Alfieri nel 1967. Una pedagogia scolastica in primis legata al ruolo di Ministro della Pubblica Istruzione che svolse sotto Giolitti. Poi c’è la pedagogia connessa al suo “storicismo come ideale educativo”, diceva Alfieri, che va ricercata e resa esplicita dentro la sua vasta e complessa ricerca di Grande Intellettuale.
- Cenni sulla pedagogia esplicita di Croce-Ministro.
Su questo fronte della pedagogia crociana possediamo oggi alcuni lavori illuminanti: quello di Fornaca del 1968 e quello di Tognon del 1990 che ben ci fanno capire l’idea di scuola di cui Croce era portatore, sia come critica alla scuola del tempo sia come progettazione di una istituzione scolastica rigorosa e formativa rinnovata. La sua scuola era umanistica e laica con al centro la figura del docente. Ma una scuola anche gestita dallo Stato e da lui controllata secondo un modello tipicamente liberale. Una scuola scandita tra elementare per il popolo, poi tecnica e liceale per le maestranze produttive e per il ceto dirigente, sigillata da programmi univoci fissati dallo Stato e dall’esame di Stato finale. Una scuola per molti aspetti teorizzata da Gentile ai primi del Novecento (e già negli anni della stretta collaborazione con Croce) e realizzata poi con la riforma del 1923.
Croce fu ministro nell’ultimo governo Giolitti tra il 1920 e il 1921, dopo il complesso evento della Guerra Mondiale (tra Caporetto e Vittorio Veneto) e l’avvio del “biennio rosso” e delle sue forti tensioni, eventi che avevano coinvolto la scuola in critiche, istanze di riforma, richieste di “produttività economica”, bisogni di dar corpo a “Partiti educatori” e/o “Stato educatore” come ci ha ricordato Tognon. In quell’operato di ministro emerge un’idea di scuola, di cultura scolastica, di didattica, connesse tutte al ruolo-guida dello Stato. Secondo un ideale “liberale e laico”, come lo stesso Croce indicò retrospettivamente nel 1947 e in vista di un preciso compito “assegnato al dicastero” da Giolitti stesso. Come rappresentante del “liberalismo borghese” Croce guarda a una scuola “libera” (statale e privata) ma anche “religiosa” (ovvero educativa) e che ponesse al centro il ruolo di controllo da parte dello Stato con l’esame finale pubblico al termine della secondaria superiore in modo da esercitare una verifica su tutto il “sistema” istruttivo, concorrenziale per la compresenza dei due tipi di scuole, pubbliche e private.
Croce sarà attivo al ministero anche con incontri con vari gruppi politici e tecnici, con la nomina di Commissioni di lavoro, con la conferma del Consiglio Superiore dell’Istruzione, con a capo Credaro, applicando sempre un “rigido centralismo”. In generale Croce immaginava un “percorso riformatore che, attraverso l’eliminazione di tutti gli ostacoli politici e affaristici, conducesse la macchina scolastica in una situazione di moto uniformemente accelerato di ‘progresso naturale’ e di autonomia” (Tognon, 1990, p. 377). Della scuola stessa aveva poi una visione pratica, come spazio di incontro di soggetti e di trasmissione del sapere e di formazione del pensiero, ispirata al suo liberalismo da un lato e al suo storicismo dall’altro.
Va detto anche che gli anni del ministero Croce furono assai caldi e carichi di tensioni politiche, sociali, ideologiche che andavano a toccare anche la scuola e l’università, con agitazioni, scioperi, scontri etc. Anni difficili e cruciali insieme che Croce attraversò, nel suo mandato, con spirito giolittiano e con fedeltà all’alta cultura, anche se il suo disegno ministeriale fu “catastrofico”, dice Tognon, e legava di fatto all’esame di stato la riforma stessa della scuola. Assediato dai cattolici-clericali, dai fascisti, dai socialisti Croce terminò in breve il suo mandato né venne riconfermato da Bonomi uscendo di scena dalla Pubblica Istruzione in quel “dopoguerra senza pace” come fu detto da Codignola. Ma la sua fu un’esperienza precisa della scuola italiana: se ne riconfermò il centralismo e si fissò il ruolo dell’esame di stato, si riaffermò la tradizione umanistica degli studi come centrale, si vararono provvedimenti a favore dell’obbligo scolastico, si rinnovò il “costume amministrativo”, si rafforzò la funzione ispettiva, si pensò a riformare la libera docenza nell’università. Questi sono un po’ i punti-luce, si è detto, del Gabinetto-Croce. Secondo Fornaca anche l’idea laica della scuola e della sua cultura fu tutelata. Un altro punto-luce. Ma molte furono anche le zone-d ’ombra. Comunque un’idea di riforma della scuola era in marcia. Sarà poi Gentile a realizzarla se pure con uno spirito assai meno liberale e pragmatico, ancorandola alla sua visione filosofica attualistica, che risente in modo forte della Stato etico hegeliano e che fu attuata dentro l’esercizio dei pieni poteri assunti dal fascismo nel 1922.
- Una ricca e complessa pedagogia implicita: il modello e le frontiere
Dentro il “sistema” filosofico crociano (e sistema complesso e sempre in fieri, fino alla Indagini su Hegel del 1952 e toccando la Storia come pensiero e come azione del 1938 e altre tappe maggiori e minori) c’è e proprio legata al suo modello di pensiero una pedagogia idealistico-storicistico-liberale di alto profilo culturale, anche se rimasta inglobata nel suo lavoro filosofico e mai del tutto esplicitata. Una pedagogia articolata su più fronti e organica al tempo stesso, di alto profilo, ma rimasta “tacita”. Perché tale silenzio? Per varie ragioni. 1. La scarsa considerazione che Croce aveva della pedagogia, dichiarata “Musa bonaria” in un saggio su De Amicis e lasciata fuori delle Categorie dello Spirito e lasciata fuori proprio per l’ottica trascendentalista del suo idealismo storicistico che fa centro sulla Storia e gli organismi che la fanno: gli Stati e non i soggetti che di quelli sono solo strumenti (si rileggano le Pagine sulla guerra). 2. Lo stare “tra” pensiero e azione proprio della pedagogia, ma con lo sguardo rivolto all’azione e all’azione di soggetti su soggetti e pertanto oscillante tra teoria e agire pragmatico, situazionale, debole e incerto, quindi sapere subalterno e alla filosofia e alla politica, che sole possono “normarne” l’agire stesso. 3. La divisione del lavoro intellettuale connessa alla “rinascita dell’idealismo” attivata con Gentile, a cui fu delegata la pedagogia sia come teoria del sapere sia come progetto organico di riforma della scuola.
Sì, tutto vero. Però nel lungo, complesso, articolato e assai fine lavoro filosofico-culturale e etico-politico di Croce si sviluppa una pedagogia vera e propria, che può essere detta e valorizzata. Come già fece Vittorio Enzo Alfieri. Possiamo fissarla nei seguenti nuclei o punti-forza. 1) Una visione epistemologica, che c’è se pur debole. 2) Una pedagogia della Bildung nettamente espressa nel ricco scandaglio culturale a più volti, ma taciuta anche in polemica rispetto all’altro storicismo, quello tedesco e più neokantiano che hegeliano. 3) Una filosofia della mente che ne esplicita la formazione attraverso il dialogo con la cultura e ponendo come telos la riflessività o spirito critico. 4) Una pedagogia della cittadinanza che dal liberalismo borghese si svilupperà nell’esperienza antifascista e troverà la propria versione più matura nelle opere degli anni Trenta. 5) Lo storicismo come ideale formativo e culturale, come visione-del-mondo che ogni soggetto moderno deve far propria come interiore e sociale forma -di-vita.
Su tutti questi punti Croce si è espresso con decisione. Così ha dato corpo a una pedagogia organica e che viene a integrarsi in un disegno compiuto, se pure rimasto “silente”. Certo un disegno anche con le sue aporie. Prima fra tutte quella tra soggetto-individuo e trascendentale (sia esso la Cultura, lo Stato, la Storia) che viene risolta col primato dell’universale, pur coltivando anche l’individuale: e si pensi ai taccuini di lavoro pubblicati da Sasso, Per invigilare me stesso. Ma poi viene sacrificato al trascendentale. Un’aporia che tra l’altro inquieta lo stesso Croce dal 1938 al 1952.
Vediamo qui di seguito più in dettaglio i cinque punti sopra citati.
L’epistemologia pedagogica. La Filosofia dello Spirito crociana (ovvero la Realtà pensata nelle sue Forme – Estetica e Logica, Economia e Etica – e nelle sue Dinamiche – tra i Distinti e gli Opposti che ridefiniscono la dialettica di Hegel alla luce di Herbart –) lascia fuori campo l’educazione e il suo sapere, che vertono sull’empirico e il pragmatico e non sull’universale. La sua scienza è soprattutto pratica e connessa all’operari storico-empirico. Epistemologicamente allora la pedagogia è sapere debole e applicativo, contingente. Da orientare col “buon senso”, come ricordava Alfieri, e secondo un agire che collega norme a regole, a pratiche vissute e si colora di valenze artistiche, legate al particolare appunto. Di fatto qui la pedagogia viene liquidata e come forma dello Spirito e come sapere. Filosofico sì, ma sintesi delle quattro categorie e sintesi ad hoc di esse. Sapere minore: “bonario” appunto. Qui la lezione di Herbart risulta cassata poiché legge il soggetto fuori del trascendentale e ne tende il sapere per la sua formazione tra psicologia ed etica. Anche la posizione di Gentile viene respinta. In Gentile la pedagogia è “scienza filosofica” che attualizza l’Atto e sta così al centro della vita dello spirito, individuale e trascendentale, poiché è la loro sintesi attiva. Croce accoglie in parte questa posizione, ma la lascia fuori del “sistema” che guarda alla Storia come al trascendentale realizzato, disposto sopra e oltre ogni individuo. Purtuttavia nella Filosofia della pratica, al capitolo quarto della seconda parte (Gli abiti volitivi e l’individualità) si fanno affermazioni dissonanti: il reale è tale solo negli individui; l’individuo è tensione tra passioni, vocazioni, carattere nella volizione; così dà vita all’etica e in essa si risolve come processo educativo e auto-educativo o formativo come diciamo oggi. Allora tutta la “filosofia della Spirito” sta lì in sintesi e come nel proprio centro. Ma tale spunto resta sospeso e resterà in questa posizione anche nella Storia del ‘38, dove la “vitalità” viene ripresa ed esaltata, ma non si fa esperienza antropologicamente vissuta. Resta pensata come categoria.
La pedagogia della Bildung. Sempre quella parte della Filosofia della pratica già ricordata dà corpo, e in modo fine ed esemplare, a una pedagogia della Bildung a cui anche Croce appartiene (come Gentile) e che è stato un paradigma ampio e durevole in Germania e non solo (anche in Italia, anche in Spagna) su su fino ad oggi (nella scuola di Francoforte o nell‘ermeneutica contemporanea). Di fatto anche Croce sta lì, anche se non trae le conseguenze da tale posizione che pur accoglie. Se il reale è l‘uomo e nell‘uomo come soggetto individuo, proprio la sua universalizzazione umana dà corpo allo Spirito: lo fa essere. E tale universalizzazione è un gioco complesso che guarda all‘equilibrio e al superamento di sé in prospettiva di una umanizzazione più integrale. Così l‘universale sta nella formazione del singolo, che cresce su sé stesso, formandosi ben al di là (nel vitale) del puro gioco delle Forme dentro una filosofia della cultura. “L‘individuo ha l‘obbligo di creare se stesso; ma, per far ciò, ha l’obbligo insieme di coltivarsi come uomo universale” (Croce, 19496, p. 165). A ciò attende la scuola come “vivaio di attività spirituali e creatrici” (idem). Così ciascuno deve” cercare sé medesimo”, “indagare le proprie disposizioni”, “stabilire quali attitudini abbia”, conoscere “i propri abiti o passioni, non per discacciarli ma per adoprarli” e tale “ricerca non è agevole”, attraversa la giovinezza e deve fissarsi nella maturità dell’io (idem, pp. 161-162).
Qui è già attiva l’idea di Bildung come formazione/vocazione e come processo psicologico, etico e culturale in unum. Nozione europea e moderna, a cui Croce è ben sensibile e che si nutre proprio della sua visione polimorfa della cultura e della sua funzione di innalzamento alla “vita spirituale” da quella pragmatica e empirica. Spirituale che è l’universale che vive di fatto nell’io anche se, riflessivamente, si fissa come struttura della Storia. A tale pedagogia Croce fu sensibile anche a livello personale. Si pensi al Contributo alla critica di se stesso (1915) come autobiografia formativa che dal “vissuto” sale allo “spirito”. Si pensi anche ai Taccuini già citati, pubblicati con quel titolo significativamente pedagogico (Per invigilare me stesso), lacerto tratto dai testi lì raccolti.
Certo che tale pedagogia della Bildung resti ingessata in Croce nel culto dell’universale e dello Spirito e della Storia è significativo: spengendo quella vitalità posta come ontologicamente primaria. Comunque anche in altre opere tale orizzonte riemerge, dalle Vite su su fino ai Frammenti di etica, accolti in Etica e politica, come le osservazioni su scuola e insegnamento fissate in alcuni contributi di Cultura e vita morale.
La filosofia della mente. Nella analisi strutturale e dinamica della cultura c’è anche un programma formativo della mente, che ne valorizza la dialettica e ne fissa il pluralismo, in un’ottica di costruzione di pensiero critico e di una mente autoriflessiva. Tale dimensione resta, in verità, un po’ ai margini della riflessione crociana, ma c’è. C’è nella dialettica tra arte come espressione e logica del concetto, tra economia come bisogno vitale e tensione etica come universalizzazione e regolamentazione dell’io che si fa sé, cioè identità propria e progetto di vita. C’è nella centralità assegnata alla cultura umanistica (dall’arte alla politica e all’etica) col sigillo finale e trasversale insieme dello “spirito critico” contrassegnato dalla filosofia. Si rileggano i quattro tomi della “filosofia dello Spirito”, ma anche Il carattere della filosofia moderna che ne pone in luce le strutture eidetiche e dialettiche, con valore cognitivo e formativo insieme. Sì, certo, c’è anche la chiusura alla scienza moderna, declassata a elaboratrice di pseudoconcetti e orientata solo all’utile. Concezione falsa e riduttiva. Da rileggere tanto come “reazione idealistica” contro lo scientismo (dogmatico e metafisico) del positivismo, quanto anche come dovuta a una filosofia nutrita dalle Humaniora e poco sensibile a forme diverse del pensare, sia come pensare analitico e sperimentale delle scienze sia come sapere utopico e carico di “redenzione” tipico della religione. Una “mente d’epoca” posta come modello ne varietur? Sì, forse. Ma anche un modello pedagogicamente forte. Anche scolasticamente forte: e lo affermerà Gentile. E dialetticamente e criticamente ancora oggi da tener presente e da valorizzare rispetto ai molti “miti” cognitivi della contemporaneità (dai media alle tecnologie, al virtuale etc.), sui quali tiene acceso uno sguardo critico e metacritico.
La pedagogia della cittadinanza. C’è poi in Croce una pedagogia che guarda al cittadino e al suo ruolo nello Stato, che è l’attore stesso della Legge, sia come estensore sia come custode. A lungo in Croce sarà lo Hegel della Filosofia del diritto ad essere l’ispiratore della politica. Sia nella Filosofia della pratica, sia negli Elementi di politica c’è questa forte presenza di Hegel erede di Machiavelli se pure temperata da un’ottica liberale: come “concezione della vita” e valore borghese, che sta oltre il liberismo economico e si risolve in senso squisitamente etico, anzi etico-politico. Alla luce di uno Stato non etico, bensì solo garante di regole e gestore di un pluralismo di posizioni sociali, che lui solo può integrare e armonizzare. Con una volontà d’azione che può calmierare il “pessimismo etico”.
Qui emerge quel modello politico liberale che è, insieme, etico e politico e che si nutre di questa dialettica in funzione di una tutela della libertà e dell’integrazione tra i vari bisogni sociali e il gioco plurale delle istituzioni che articolano la società. E qui il liberalismo di Croce si nutre anche di Constant, di Cavour, di Einaudi e si modella sulla visione liberale di Giolitti, andando oltre Hegel e Marx, Sorel e Treitschke.
Ma dopo l’avvio del fascismo come regime emergerà in Croce anche un altro modello di cittadinanza: il cui valore-sacro è la libertà, da rilanciare sempre e soprattutto nei regimi totalitari, come ben testimonia la sua Storia d’Europa che fu un manifesto di opposizione al fascismo (etico-politica) e un richiamo ai valori dell’antifascismo, rivissuti come “religione della libertà” in chiave di opposizione, di dissenso e di tensione utopico-regolativa, non astratta ma ben operativa.
Allora anche questa pedagogia oscilla: tra etica dello Stato (ma non Stato etico) e religione della libertà. Due etiche politiche che scandiscono due periodi storici e che richiamano a pensare la politica sempre dentro un’ottica storicistica, di dipendenza dal tempo storico per viverlo con decisa tensione etica. Una pedagogia sì che oscilla, ma che si fa esemplare e pregnante proprio nel suo oscillare.
La pedagogia dello storicismo. Lo storicismo è in Croce il sigillo finale della sua filosofia. Un pensiero della e per la storia e una storia riletta, via via, in forme sempre più problematiche. Che, però, tiene fermi i principi dell’immanentismo e della radicale temporalità socio-culturale dell’esperienza e della sua vitalità. Tutto si dà ed è nella storia, poiché è e si dà nel linguaggio, nella cultura, nella società. E in una storia che si può pensare en structure e fissare nelle sue forme e nella sua dialettica, scandita poi nel ‘38 tra vitalità, pensiero e azione. In un circolo tensionale e reciproco costante.
Lo storicismo maturo di Croce sta oltre le insidie della Miseria dello storicismo sottolineate da Popper e fa parte di quella concezione storicistico-critica che è stata ripresa da Gramsci, da Garin, da Tessitore e Cacciatore, ma anche da Antoni e che risulta ancora dotata di attualità (per la quale rinvio al mio Pensiero e tempo).Storicismo critico che è presente in Croce se pure “insidiato“ da una metafisica dello Spirito prima e da un metodologismo storiografico poi, perdendo la sua caratura antropologico-ontologica. Poi anche coniugato in un processo che, alla fine, legittima sempre se stesso, perdendo ogni vocazione regolativa, fosse pure quella dell’utopia e della redenzione. Certo non uno storicismo status quo, ma che pur lascia vuota la propria auto-trascendenza.
Comunque sia quello storicismo si fa in Croce modello educativo. Si fa principio di una visione-del-mondo da introiettare, da far propria, da rendere attiva e nel pensare e nell’agire. Si fa modello di formazione di sé come soggetto nutrito di storia e in essa operante. Si fa modello di societas liberale e in crescita su se stessa secondo un processo ascendente, non prefigurato ma che si fa, via via, più luminoso. Posizione, insieme alta e pericolosa. Che tributa il suo incenso al Progresso e che fa di esso una metafisica. O almeno rischia di cadere in tale mito della Storia. Allora: quello crociano è uno storicismo problematico ma talvolta non pienamente critico. Esso comunque costituì per i colti un modello di vita, una coscienza di sé, un progetto di azione da tener ferma nella memoria e nell’elaborazione attuale di percorsi di pensiero/azione. Ebbe una valenza antropologica ed educativa forte e significativa, soprattutto sotto il totalitarismo fascista.
- Per concludere
C’è complementarità tra pedagogia esplicita e implicita in Croce? Sì, c’è un parallelismo, sia pure nella differenza tra soluzioni tecniche (scolastiche) e principi generali (di filosofia dell’educazione). É però a quella pedagogia generale storicistica che dobbiamo guardare come all’exemplum più ricco e maturo elaborato da Croce. Che tocca i cinque punti di sopra fissati un po’ di scorcio ma che ben delineano una pedagogia idealistica connessa al primato della storia. Significativa anche se con i suoi equivoci. Forse gli storicismi tedeschi, da Dilthey a Simmel, a Weber, hanno elaborato pedagogie più complesse e sottili in campo epistemico, in quello della Bildung e della formazione politica dei cittadini, come in quello più squisitamente antropologico e culturale; e proprio perché hanno tenuto un dialogo più aperto con la cultura moderna, e con tutta. Con attenzione alla scienza e alla tecnica, alla società democratica, alle “due culture” e al soggetto come attore di cura sui. È vero c’è tra Croce e questi storicisti tedeschi un linguaggio spesso comune, un panorama parallelo di problemi, una volontà simile di riduzione metodologica della filosofia, ma spesso proprio l’eredità hegeliana pesa sul pensiero di Croce con forza e ne marchia la pedagogia anche nelle sue oscillazioni e nei suoi stessi “confini” o “limiti”.
Comunque sia tale pedagogia si rivela come un modello europeo e aperto al concerto delle ideologie e dei problemi e teorici e sociali di quel tempo storico, saldandosi ad un compito tanto europeo quanto italiano: farsi educatrice della nazione come insieme di cittadini integrati nei valori del Moderno e capaci di vera resistenza morale a ogni forma di Stato etico e di totalitarismo politico, facendosi testimoni attivi del principio-libertà e di una società organizzata intorno alle regole del liberalismo, inteso sì come forma-stato, ma anche e ancor più come vera “religione laica”.
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Tra le opere di Croce sono state tenute presenti: Vite di avventure, di fede e di passione, Bari, Laterza, 1936, Filosofia della pratica. Economia e etica, Bari, Laterza, 1909; Cultura e vita morale, Bari, Laterza,1914; Pagine sulla guerra, Napoli, Ricciardi, 1919; Elementi di politica, Bari, Laterza, 1924; Storia d’Italia dal 1871 al 1915, Bari, Laterza, 1928; Etica e politica, Bari, Laterza,1931; Storia d’Europa nel secolo XIX, Bari, Laterza, 1932; La storia come pensiero e come azione, Bari, Laterza, 1938; Il carattere della filosofia moderna, Bari Laterza,1941; Storiografia e idealità morale, Bari , Laterza, 1950; Indagini su Hegel e schiarimenti filosofici, Bari, Laterza, 1952; La letteratura italiana. I, II, III; Bari, Laterza, 1959; Lettere a G. Gentile (1896-1924), Milano, Mondadori, 1981, Carteggio Croce-Einaudi 1902-1953, Torino, Fondazione Einaudi, 1988
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