di Clementina Gily, Editoriale
Ora che il corso “La Pedagogia della Bellezza” si affaccia alla fine del suo biennio, ed è ancora tempo di lavoro e non di consuntivo, le tante cose già fatte già iniziano a radunarsi come un piccolo patrimonio da comunicare. Non si può certo ancora dire se il corso farà il suo goal, vale a dire riportare l’attenzione delle istituzioni e della formazione sul tema dell’educazione attraverso l’arte: ma sono già emerse tante azioni spontanee che rincuorano, le conversazioni con i docenti delle scuole li dimostrano entusiasti e fattivi, nonostante la trincea in cui spesso lavorano.
Ad esempio ad una conferenza sulla “Bellezza” alla Chiesa di Donnaregina Vecchia appena aperta al pubblico, incontro una docente che non è del nostro corso, Maria Speranza Perna, che insegna francese al liceo Villari, convinta che l’arte sia un ottimo modo per suscitare interesse, per entrare nell’esperienza degli allievi aggirando la cattedra, senza togliere l’autorità docente, nel mutuo rispetto, come tra nonno e nipote negli interessi comuni.
Ad esempio lei, racconta, verso fine marzo inizio aprile, cioè di questi tempi, quando seguendo il calendario programmato ad inizio anno viene il tempo de “La Madeleine”, il testo celebre di Proust che evoca il potere della memoria, giunge in classe proprio con le madeleine – “quelle della BALSEN, precisa, vengono proprio da Saint-Michel, il luogo di origine del dolce” – e invita alunne ed alunni al thè. Con un minimo di preavviso, visto che la preparazione fa parte della festa, il thè compare in un termos portato da casa oppure ordinato al bar. La scuola diventa un salotto, “ci sediamo comodamente, versiamo il thè, distribuisco le madeleine.
Ora comincia la magia. Leggo ad alta voce, ma (NON tanto) il testo, qualche volta approfitto della presenza di una lettrice di madrelingua.
Già al secondo, terzo rigo, i ragazzi sono RAPITI. Quando arriviamo a ce gout, c’etait celui de la madeleine mi fermo e, in silenzio, ognuno dei presenti immerge la madeleine nel suo thè…
chiedo di fermarci un secondo per provare con il NOSTRO palato la stessa sensazione che può aver avuto Marcel Proust.
I ragazzi restano TUTTI in silenzio, poi ricomincio a leggere il testo, fino al gioco giapponese…
Nonostante la difficoltà insita nel testo, ai ragazzi piace questo brano, lo GUSTANO, lo ASSAPORANO e si INNAMORANO della SUA BELLEZZA”.
Una piccola performance crea il coup de theatre, rapendo l’attenzione degli allievi in una emozione estetica: “Vi assicuro, anche nei professionali, ho sempre avuto successo… Se volete, vi racconterò anche della sfilata di moda, dell’incontro tra don José e Carmen, teatralizzato e DISEGNATO…”
Non si stenta a crederlo, quindi restiamo in attesa di altre esperienze. È una delle tante perle che da anni mi raccontano i docenti e che invece sono perdute nella storia delle scuole, anche se non in quella degli studenti. Viene da pensare a quella biblioteca delle buone pratiche che Cosimo Laneve raccomanda di costruire, che potrebbe essere il vero punto di forza della pubblicità al lavoro della scuola cui tende il POF. Oggi la rete offre la possibilità di collezionare con giudizio esempi che possono essere una guida non solo per i genitori ma anche per i giovani docenti, senza mandare perduta la didattica in azione e le sue ricchezze.
W editoriale 6.14 La Pedagogia della Bellezza – La Madeleine